Marzo 2006

L’Europa utile

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Un supplemento di fiducia
Mario Pinzauti
 
 

 

 

 

 

Il “Piano D”
è un appello che
l’Europa rivolge
ai cittadini perché l’aiutino a
superare le
attuali difficoltà politiche.

 

Sembrano due linee parallele. Ma non lo sono. Anzi, a certe condizioni, potrebbero incontrarsi e unirsi.
Parliamo anzitutto dell’aiuto che, con il “Piano D”, l’Europa politica chiede ai suoi 453 milioni di cittadini in un momento di crisi di cui hanno messo in luce la gravità il fallimento dei referendum francese e olandese sulla Costituzione europea e la guerra fredda per il bilancio 2007-2013, conclusasi con la pace fredda del compromesso raggiunto al Consiglio europeo di dicembre. Parliamo poi dell’aiuto che l’Europa utile, in questo stesso momento, offre ai cittadini indicando loro la strada che li porta, o meglio potrebbe portarli, al superamento dei loro maggiori problemi, primo tra tutti quello della disoccupazione.
Si può dire che le due linee abbiano una comune origine, la stessa sorgente. Quando nella primavera 2000 il Consiglio europeo di Lisbona approvò una strategia che derivò il nome dalla capitale portoghese, l’Europa politica prese a marciare, anzi a correre con il vento in poppa spinta dall’impegno di fare dell’economia dell’Unione, entro il 2010, la più competitiva del mondo e di risolvere, nell’arco dello stesso periodo, i più gravi problemi economici e sociali dell’Europa comunitaria, tra l’altro creando 20 milioni di nuovi posti di lavoro.
Questo grande progetto non poteva non coinvolgere l’Europa utile, cioè quell’insieme di iniziative di piccola, media e notevole grandezza prese per migliorare le condizioni di vita dei cittadini, ad esempio offrendo loro – come abbiamo segnalato su queste pagine – garanzie sulla genuinità e sulla qualità dei cibi, la tutela dal rischio di endemie e epidemie, la difesa dall’inquinamento delle acque marine, la protezione del cinema europeo dalla concorrenza americana, eccetera eccetera. Ecco perché il consenso popolare, talvolta un vero e proprio plauso, andò sia all’Europa politica sia all’Europa utile. Nell’una e nell’altra allora buona parte dei cittadini videro spesso l’espressione dello stesso progetto, quindi, sostanzialmente, una sola linea.

Le cose cominciarono a cambiare; le due Europe, nel giudizio popolare, presero a diversificarsi quando, per effetto della crisi economica generale, e anche della tendenza di alcuni governi a scaricare sull’Unione la responsabilità di loro gravi errori, gli obiettivi stabiliti a Lisbona apparvero sempre più utopistici. L’alto tasso di astensionismo alle ultime elezioni per il Parlamento europeo mise in drammatica evidenza l’esistenza di due linee parallele nel giudizio dei cittadini a proposito dell’Unione. I referendum francese e olandese dell’anno scorso denunciarono la distanza che si stava creando tra una linea e l’altra. Distanza poi confermata dalle cifre dei successivi eurobarometri.
Era peggio di quanto avesse temuto Altiero Spinelli quando aveva parlato del rischio di arrivare all’Europa dei mercanti. Se non si trovava il modo d’invertire la rotta si sarebbe finiti col dar vita all’Europa dei mercatini, a mortificare politicamente il processo d’integrazione cominciato il 9 maggio 1950, con l’appello rivolto ai tedeschi dal ministro degli Esteri francese Schuman per la messa in comune delle energie del carbone e dell’acciaio.
Ora con il “Piano D” e l’invito ai cittadini europei perché, d’intesa con i governi nazionali e le istituzioni dell’Unione, si mettano al lavoro per curare i propri mali economici e sociali, il tentativo d’invertire la rotta, dunque di far incontrare le due linee parallele e di ridare consenso popolare a tutta l’Europa finalmente è in arrivo.
È un tentativo che ha probabilità di successo? Non azzardiamo previsioni, dato che i danni già provocati sono notevoli. Diciamo tuttavia che ci sembra che ci si muova nella direzione giusta. Non è poco con l’aria che tira in Europa. Ma vediamo di che si tratta.
Il “Piano D” (D come Dialogo, Dibattito e Democrazia) è un appello che l’Europa rivolge ai cittadini perché l’aiutino a superare le attuali difficoltà politiche. Approvato in ottobre dalla Commissione europea e articolato lungo tutto l’arco del 2006 in un gran numero di convegni, eventi di vario genere (solo quelli organizzati dalla Rappresentanza italiana della Commissione sono 72!), avvicina parecchie diecine di migliaia di cittadini, raccoglie le loro opinioni, le loro richieste, li informa sui vantaggi che sono stati offerti loro sia dall’Europa politica (garante tra l’altro di una pace che dura da sessant’anni), sia dall’Europa utile: con la speranza di raccogliere, alla fine, una notevole messe di consensi.
Per aumentare le possibilità di successo di questa che si potrebbe sottotitolare “Operazione di amicizia europea” ancora la Commissione mette si può dire in bella mostra sul palmo della mano tesa verso il cittadino dell’Unione l’offerta di rendere di nuovo possibili, con un impegno comune, gli obiettivi di Lisbona, soprattutto quello di una sostanziale riduzione del numero dei disoccupati.
L’offerta parte da una segnalazione alla quale segue una proposta. Il 2007, ricorda la Commissione, sarà l’anno europeo delle pari opportunità per tutti, dunque l’occasione anche per riaffermare il diritto al lavoro per ogni cittadino. Ma, si aggiunge da parte della Commissione, per ottenere che il riconoscimento di questo diritto passi dalle parole ai fatti occorre creare una serie di condizioni obiettive. La prima, la più importante è che il disoccupato abbia una cultura o un’esperienza che gli permettano di svolgere il lavoro disponibile. E questo purtroppo in tantissimi casi non avviene.
In Europa sono addirittura 80 milioni i lavoratori scarsamente qualificati. Lo denuncia la Commissione europea in un suo documento (una Comunicazione). Nella stessa sede aggiunge che senza le riforme dei sistemi d’istruzione «buona parte della prossima generazione dovrà confrontarsi con l’esclusione sociale».
Occorre dunque che governi nazionali, imprenditori, sindacati facciano un balzo in avanti per creare una forza lavoro che benefici di un’istruzione e di una formazione lunghe tutto l’arco della vita. È un obiettivo che viene indicato come indispensabile da parecchi anni. Ma finora, secondo la Comunicazione della Commissione, «pochi sono gli adulti che partecipano all’istruzione lungo tutto l’arco della vita». Qualche progresso si nota grazie soprattutto all’aumento dei laureati in matematica, scienze e tecnologie. Ma molto resta da fare e la cifra citata prima – 80 milioni di lavoratori europei «scarsamente qualificati», secondo la Commissione – lo sottolinea drammaticamente.
La Commissione ritiene che per superare questi ritardi un lavoro enorme dovrà essere fatto da governi, imprenditori, sindacati, singoli cittadini per dotare chi opera in un’azienda pubblica o privata o aspira a farlo almeno di otto competenze chiave. Sono le seguenti:

1) saper comunicare nella lingua madre;
2) saper comunicare in una lingua straniera;
3) avere una cultura di base in matematica, scienze e tecnologia;
4) possedere competenze informatiche;
5) essere dotato di capacità di apprendimento;
6) avere attitudini interpersonali, interculturali e competenze sociali e civiche;
7) essere dotato di spirito imprenditoriale;
8) avere espressione culturale.

Queste “competenze chiave” indicate dalla Commissione – e fatte proprie anche dal Parlamento e dal Consiglio dei Ministri dell’Unione – possono contribuire, secondo la Comunicazione, «all’espansione personale, favoriscono la partecipazione attiva e migliorano le capacità d’inserimento professionale».
Sarà davvero così? Speriamolo. In ogni caso, offrendo ai cittadini la sua “ricetta” contro la disoccupazione ed evidentemente impegnandosi a contribuire a realizzarla, la Commissione dimostra, anzi conferma, che l’Europa continua a meritarsi – sull’una e sull’altra delle due linee – l’amicizia e la fiducia popolari.

 

   
   
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