Marzo 2006

Per il futuro del Vecchio Continente

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Più Europa
Carlo Azeglio Ciampi Presidente della Repubblica Italiana
 
 

Di fronte alla gravità di queste sfide, perseguire la visione di un’Europa più unita non è una manifestazione di idealismo, ma un atto di realismo politico.

 

È insistente l’affermazione che l’Europa stia attraversando un periodo di crisi istituzionale, seguita alle difficoltà che la ratifica del Trattato costituzionale ha incontrato in due Paesi membri, contestualmente al più cospicuo allargamento della sua storia; a questa crisi si aggiungono le difficoltà economiche, connesse anche ai cambiamenti in atto sul piano mondiale.
Le preoccupazioni per l’occupazione, per le prospettive di benessere delle future generazioni, per la coesione sociale, suscitano disorientamento nei nostri cittadini. In alcuni casi, li portano a dubitare della capacità dell’Europa di rispondere alle loro attese e di tutelare i loro interessi: sono dubbi che molto spesso vanno al di là delle obiettive responsabilità dell’Unione europea e degli strumenti di cui essa dispone per perseguire i propri obiettivi.
In questo clima, si tende a dimenticare, o a sottovalutare, i vantaggi dell’integrazione europea. Eppure, quest’ultima ha assicurato 55 anni di pace e ha offerto al nostro Continente condizioni di sviluppo e di crescita civile ed economica senza precedenti nella storia europea.
Anche grazie al sostegno e alla capacità di attrazione esercitata dalle Comunità economiche prima e dall’Unione europea dopo, la democrazia si è gradualmente estesa a tutti i Paesi del Continente: dall’Europa meridionale a quella orientale, undici Stati hanno potuto ripristinare le più ampie libertà, dotandosi dei moderni strumenti delle politiche comunitarie e di avanzate normative in ogni settore dell’economia e del diritto.
Oggi l’Unione esercita la stessa influenza stabilizzatrice ai suoi immediati confini: con un impegno crescente nei Balcani, dove siamo subentrati ad alcune responsabilità della Nato e ci apprestiamo ad accrescere il nostro ruolo nell’ambito delle missioni Onu; in Ucraina, dove abbiamo contribuito ad assicurare uno sbocco pacifico e democratico alla crisi post-elettorale; nei Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo e in quelli dell’Africa, che sono stati tra i primi con cui la Cee ha stretto accordi di associazione e dove l’Unione investe ancora oggi ingenti risorse. Cresce anche il ruolo dell’Unione europea nel processo di pace in Medio Oriente, come testimoniato dalla missione di polizia europea decisa per contribuire alla sicurezza del valico di frontiera tra la Striscia di Gaza e l’Egitto.

A tutti questi Stati, l’Unione propone un modello di riconciliazione e di rispetto dei diritti fondamentali, intervenendo a sostegno delle riforme e dello sviluppo economico e civile. Basta riflettere sull’importanza e sulla portata della sfida che rappresenta accompagnare questi Paesi verso la stabilità e l’avanzamento democratico per comprendere quanto sia essenziale e benefica l’azione dell’Unione.
Appartengo a una generazione che ha conosciuto la devastazione della guerra. Vorrei lanciare ai giovani un monito: la pace non è mai acquisita per sempre, come non può esserlo nessuna delle condizioni umane. Il sessantennio di pace di cui il nostro Continente ha beneficiato è una breve eccezione rispetto ai secoli di conflitti che lo hanno preceduto. Se una guerra tra le nazioni europee oggi ci appare inimmaginabile, è solo grazie all’esistenza dell’Unione europea.
Le conquiste della libertà e del progresso sono preziose; ma, per quanto esse possano apparire solide, vanno instancabilmente difese e rafforzate. Lo possiamo fare solo nell’ambito di un’Europa forte e coesa, di un sistema che pone il rispetto dei diritti e della democrazia come condizione essenziale per divenire e rimanere membri dell’Unione.
Alcuni dei Paesi che oggi compongono l’Unione europea sono stati a lungo poveri: tutti hanno conosciuto, man mano che aderivano al processo d’integrazione, una costante e sostenuta espansione economica. Negli ultimi cinquant’anni il reddito pro capite è cresciuto in Italia di oltre tre volte.
La costituzione di un unico grande mercato, le politiche comuni e l’azione dei fondi strutturali hanno dischiuso nuove, straordinarie opportunità per le nostre imprese e agito come motore degli scambi e volano dell’economia di tutto il Continente.
Dall’Europa abbiamo ricevuto – e continuiamo a ricevere – progetti coerenti per la realizzazione delle nostre infrastrutture, per il loro razionale coordinamento infraeuropeo; stimoli per lo sviluppo delle aree arretrate e per la riconversione industriale; strumenti normativi per la tutela dell’agricoltura e dell’ambiente; piani globali per la ricerca e l’innovazione; programmi di sostegno alle piccole e medie imprese; impulsi per la modernizzazione della nostra economia, per la semplificazione e liberalizzazione dei mercati, per la riforma delle nostre amministrazioni pubbliche; spinte all’elevazione degli standard in materia di protezione sociale; maggiori garanzie in tema di protezione dei consumatori e della salute pubblica.
La normativa europea è stata a volte troppo invasiva; è essenziale che i princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità vengano rispettati.

Ma non si possono non considerare i vantaggi in termini di semplificazione derivanti dal disporre, nell’ambito del mercato interno, di un’unica legislazione di riferimento, piuttosto che di una moltitudine di testi normativi mutuati da 25, e presto 27, Stati membri.
Dalle istituzioni europee vengono giusti e rigorosi richiami ad una linea di disciplina finanziaria nei momenti in cui l’elevato livello del disavanzo e del debito pubblico rischiano di strozzare le prospettive di crescita delle generazioni future. Dall’appartenenza all’euro traiamo stabilità monetaria, condizione indispensabile per uno sviluppo economico duraturo.
Come sovente accade per le innovazioni importanti, dell’euro vengono messi in rilievo i limiti e taciute le qualità. Ma come dimenticare l’inflazione che erodeva costantemente salari e risparmi o le tempeste valutarie che travolgevano molte delle nostre monete? Come non considerare i vantaggi insiti in una moneta europea forte di fronte ad aumenti tanto sostenuti del prezzo del greggio e di altre materie prime? Come tralasciare i minori costi, di transazione e di cambio, derivanti dalla moneta unica? Ed infine, come non ricordare quanto erano elevati i tassi di interesse in Italia – per lo Stato, innanzi tutto, ma anche per le industrie, per i piccoli prenditori di credito, per gli acquirenti della prima casa – prima dell’avvento dell’euro?
Esisteva la possibilità di svalutazione; ma era un impoverimento della nostra moneta. Si conseguivano solo vantaggi di breve periodo per le esportazioni italiane, peraltro compensati dai maggiori costi delle importazioni. L’economia non ne traeva un duraturo miglioramento della competitività. L’elevato costo del denaro penalizzava, invece, in maniera duratura, le nostre attività rispetto alla concorrenza europea e internazionale.
Certo, resta ancora molto da fare.
Sono convinto che i cittadini europei parteciperanno con pieno entusiasmo al progetto unitario, se avvertiranno che l’Europa dischiude per loro e per i loro figli nuove prospettive di lavoro e di benessere. Crescita e occupazione devono essere al cuore dell’azione europea; va posta rinnovata attenzione agli investimenti nella ricerca, nell’innovazione e nella formazione per accrescere la competitività dei nostri sistemi produttivi e creare durature prospettive di progresso; il mercato unico va completato al fine di creare nuove opportunità di sviluppo; il governo della moneta deve essere affiancato da un più efficace governo dell’economia per consolidare l’Unione economica e monetaria e favorire la crescita.
Solo uniti i Paesi europei potranno far fronte alla sempre più agguerrita concorrenza internazionale, mentre nel mondo emergono nuove, grandi potenze. La Cina conta 1,3 miliardi di abitanti; l’India 1,1. L’Europa a 25 riunisce 450 milioni di cittadini. Soltanto insieme disponiamo dei numeri per confrontarci nei negoziati internazionali con i nuovi attori globali, la cui crescita apre a noi nuove prospettive di sviluppo. Ricordiamo che, a prezzi correnti nel 2004, il nostro Pil è stato 7,77 volte quello della Cina, 19,3 volte quello dell’India, 1,09 volte quello degli Stati Uniti d’America.
Ma oggi le nostre priorità superano la sfera dell’economia. Di fronte alla complessità del mondo e al crollo dei precedenti equilibri internazionali, nessuno Stato può tutelare efficacemente gli interessi dei propri cittadini agendo in maniera isolata.
Il fronte del terrorismo si allarga e richiede risposte unitarie, per una gestione più efficace delle frontiere esterne dell’Unione e per misure coordinate nella prevenzione e nel contrasto alle reti terroristiche. In politica estera, per una linea che coniughi fermezza nella difesa dei valori occidentali e nel ripudio di ogni estremismo, con l’apertura al dialogo e all’ascolto di culture diverse. Nella strategia nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, affinché siano rimosse le cause degli squilibri fra regioni prospere e regioni povere.
Anche i cambiamenti climatici, le catastrofi naturali e le emergenze sanitarie dimostrano quanto, nel mondo globalizzato, sia essenziale l’azione coordinata dei Paesi europei.
Di fronte alla gravità di queste sfide, perseguire la visione di un’Europa più unita non è una manifestazione di idealismo, ma un atto di realismo politico. Le dimensioni dell’Europa comunitaria si sono progressivamente estese, dai 6 membri originari agli attuali 25, e il processo non è concluso. I confini dell’Unione vanno ormai dal Mediterraneo al Baltico, giungono alle frontiere con l’Ucraina e con la Russia.
Pensare che questo cambiamento storico possa essere gestito senza alcun adeguamento della struttura istituzionale è irrazionale. Occorre farsi carico delle conseguenze dell’allargamento e adeguare le istituzioni dell’Unione alle sue nuove dimensioni.
Dobbiamo scegliere. Vogliamo un’Europa unita e forte, o un’Europa dai vincoli labili, meno incisivi sulla scena del mondo, meno efficace agli occhi dei suoi cittadini?
Il Trattato costituzionale è stato negoziato e firmato da tutti i Paesi membri, ma esso è bloccato da difficoltà di ratifica. Urge superare lo stallo, perché l’incertezza e l’inazione, anziché dissipare, amplificano le apprensioni dei cittadini e perché il mondo ha bisogno di più Europa, ma continuerà ad evolvere anche senza di essa.
Sospendere il percorso di ratifica sarebbe irrazionale, iniquo nei confronti dei Paesi che hanno già adottato il Trattato, e controproducente per gli interessi europei. Il testo costituzionale aumenta la governabilità dell’Unione ampliata e rafforza la tutela dei diritti dei cittadini attraverso l’incorporazione della Carta dei diritti fondamentali.
È necessario che i Paesi che ancora non si sono pronunciati sul Trattato si adoperino urgentemente in tal senso, dando seguito alla volontà espressa con la firma apposta in calce alla Costituzione europea. Tutti gli Stati membri hanno il diritto e il dovere di chiarire la propria posizione su un testo così fondamentale per il futuro dell’Unione europea. Solo dopo che sarà stata udita la voce di tutti, si potranno decidere le sorti del Trattato costituzionale.

In un’Unione debole tutti gli Stati che ne fanno parte sono più deboli. E non possiamo illuderci che l’Europa possa governare gli effetti della globalizzazione, contribuire alla stabilità internazionale, alimentare lo sviluppo e l’occupazione, se non si dota essa stessa di strumenti di governo più efficaci. Solo un’Europa unita potrà crescere economicamente e affermare i suoi valori di pace nel mondo.
Ricordo l’insegnamento di Jean Monnet, quando affermò di non essere ottimista ma determinato, di essere convinto che l’Europa si sarebbe realizzata per crisi progressive e sarebbe stata il risultato non delle difficoltà incontrate, ma delle soluzioni che avrebbe loro apportato.

 

   
   
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