Giugno 2005

Arte e civiltà del sud

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Il futuro di Magna Grecia
Tonino Caputo - Renzo Dominici
 
 

Si era in piena epoca fascista, quando tutto
doveva essere solo ed esclusivamente “romano”:
da Roma giunse l’ordine perentorio di ricoprire tutto
e di parlarne il meno possibile.

 

Ci hanno comunicato i loro nomi: Airon, Gari, Miura. Due falchi e un falcone fino a poco tempo fa in volo libero in una foresta britannica, e ora lanciati nei cieli di Ercolano, sopra i resti della città cancellata dal Vesuvio nel 79 dopo Cristo, riscoperti da scavi iniziati nel Settecento. I tre rapaci (harris hawk, per i cacciatori britannici) devono far fuori, e comunque terrorizzare, l’enorme numero di piccioni che, oltre a moltiplicarsi velocemente, devastano con i loro escrementi corrosivi marmi, colonnati, mura e dimore riportate alla luce.
Ercolano fa rumore. Clamorosa fu la scoperta della Villa dei Papiri, costruita intorno al 60 a.C.: era un edificio sontuoso, su due piani, lungo 250 metri, con due peristili, con una piscina di 66 metri, con un impianto termale. Si presume fosse la dimora di Lucio Calpurnio Pisone, console, uomo di cultura, e padre di Calpurnia, la moglie di Giulio Cesare. La villa venne alla luce nel XVIII secolo durante gli scavi diretti dall’archeologo elvetico Karl Weber.
Oggi si ritiene che accanto ai testi già recuperati ce ne siano altri, con i capolavori perduti dell’antichità classica. Dopo gli scavi settecenteschi, la villa era stata in parte risepolta. Nel 1985 era stata parzialmente riportata alla luce, dunque buona parte del complesso è inesplorata. Difficoltà ce ne sono: la struttura è a quattro livelli sotto il livello del mare e trenta metri più in basso rispetto all’abitato attuale. Ebbene: un gruppo inglese è pronto a spendere 20 milioni di euro per nuovi scavi, perché all’appello mancano capolavori che oggi riteniamo cancellati, per sempre: un centinaio di opere di Sofocle, una settantina di Euripide, un’ottantina di Eschilo, diversi dialoghi di Aristotele, e le versioni originali dell’Eneide e di Orazio. Tutto uno scibile fondamentale della civiltà occidentale, che potrebbe essere tra i rotoli ancora sepolti.

Contro gli inglesi, gli americani che hanno in corso una campagna di scavo nell’area: se recuperiamo altro materiale, dicono costoro, non avremo il tempo di studiare quanto già abbiamo ritrovato; dunque, tutto va rinviato a tempi più propizi. Cautela o interessi privati? O altro ancora?
Sta di fatto che a discutere di archeologia nel territorio italiano non sono gli italiani, ma gli stranieri. Almeno in prevalenza. Perché per i siti archeologici (in Italia ne sono stati elencati 2.100) sono disponibili pochi soldi. Meno ancora per i musei, che hanno scantinati opulenti, con opere d’arte anche del tutto sconosciute. Qualcosa si è mosso per il Progetto Archeomar dedicato alla tutela dei beni archeologici sommersi: settore a lungo trascurato, oggi in primo piano, con 1.300 schede raccolte, con 513 siti inseriti nel Sistema Informativo, 210 dei quali rilevati e documentati con urgenza.
C’è anche un cantiere romano al Palatino, che dovrà mettere in sicurezza la parte più degradata di quello che era il centro del mondo romano, qualcosa di simile all’Acropoli ateniese, sia pure senza il Partenone. Un altro programma di vigilanza riguarda sempre Ercolano, e sempre per via dei piccioni che nidificano nelle zone di legno carbonizzato; mentre a Pompei, città di innumerevoli complessi e monumenti riportati alla luce, va protetta la Casa di Menandro, che occupa un’estensione eccezionale, 1.800 metri quadri: sembra appartenesse ai Poppei, parenti della seconda moglie di Nerone; conserva molte pitture (con celebri affreschi erotici), tra le quali una del commediografo Menandro, dal quale ricava il nome. E inoltre Arpi, città sepolta in Capitanata, forse addirittura più estesa di Pompei, che già era stata una delle maggiori del Sud: scavata, costituirebbe un grande polo di attrazione anche turistica. Come accade per Capo Colonna, in Calabria, dove gli scavi sono ripresi da qualche anno, con successo; come dovrebbe accadere per Monte San Vincenzo, sempre in Capitanata, dove comunque è stato messo a soqquadro il sito con un villaggio neolitico e una fattoria romana, mentre a Montecalvello dovrebbero considerarsi perduti altri resti. Perché mai? La Regione ha avviato un programma di installazione di pale eoliche: si scava per gli impianti, distruggendo quanto c’è sottoterra.

Qualcosa di analogo è successo a San Giusto, dove una diga ha sommerso la villa romana e un complesso paleocristiano con un’interessantissima doppia chiesa.
Come è accaduto nell’area di Matera e in quella di Terra di Bari, dove vennero scoperte due necropoli con urne a incinerazione, segno evidente che si trattava di cimiteri etruschi: si era in piena epoca fascista, quando tutto doveva essere solo ed esclusivamente “romano”. Dunque, da Roma giunse l’ordine perentorio di ricoprire tutto e di parlarne il meno possibile. Inutilmente protestò, dall’Università di Genova, il professor Orsi: quelle scoperte erano eccezionali, rivelavano una linea, discendente (da Ravenna) e ascendente (da Salerno e da Ischia), che collegava il Tirreno e l’Adriatico per il più misterioso e affascinante popolo della penisola.
«Se l’arte, come la letteratura, è la spirituale irradiazione di un popolo attraverso i secoli, nessun imperativo sociale potrà mai giustificare l’ottenebramento di questa gloriosa tradizione; risanare non implica distruggere. Contro le molte manifestazioni di inciviltà, fermenta oggi un’ansia di rivolta, alimentata da quanto di meglio ha la nostra cultura». Così scrisse Umberto Zanotti Bianco, che citiamo non per caso. Di sangue piemontese, nato a Creta, merita di essere ricordato, come scrive Salvatore Settis, non soltanto per il contributo che dette all'archeologia di Magna Grecia, da Sibari a Paestum, ma anche perché «egli rappresentò e rappresenta una figura rarissima al giorno d’oggi, quella di un grande intellettuale che non disdegnava di scendere nell’arena dei problemi quotidiani del Paese, e che vedeva come essenziali per il suo sviluppo i temi del patrimonio culturale».
Fu impegnato sul piano sociale. Aveva conosciuto Fogazzaro, Gorkij, Salvemini. Di Fogazzaro aveva letto Il Santo, il romanzo che gli era costato una pesante censura dalla Chiesa romana. Di Salvemini aveva conosciuto la grande tragedia familiare (aveva perso i suoi nel terremoto di Messina). Di Gorkij aveva ammirato le battaglie in favore dei popoli slavi. Tutto questo gli aveva suggerito un principio al quale avrebbe tenuto per sempre fede: evitare a tutti i costi «il pericolo di una vita dell’intelletto che sia priva di ogni azione pratica nel campo sociale e morale».

Cominciò così la sua attività volta a superare le ineguaglianze tra Nord e Sud d’Italia. Nacque nel 1910 l’ANIMI (Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia), che ebbe Pasquale Villari come presidente onorario e Leopoldo Franchetti come presidente effettivo. L’ANIMI puntava soprattutto ad una redistribuzione della proprietà agraria fra i contadini come fattore primario di rinnovamento economico, civile e sociale. Zanotti Bianco, tuttavia, insieme con Tommaso Gallarati Scotti, puntava a individuare come veicolo essenziale del riscatto del Sud la cultura e la scuola. Sicché i due si proposero di aprire asili, scuole, biblioteche e ambulatori medici nei villaggi più isolati e derelitti (al consuntivo, crearono più di 2.000 scuole in tutto il Mezzogiorno, di cui 649 nella sola Calabria).
Trasferito a Reggio calabria per dirigere la locale sezione dell’ANIMI, Zanotti Bianco pensò che, oltre ai contadini, occorreva riscattare anche i monumenti del Sud. Cominciò con quelli bizantini e normanni. Proseguì con quelli di tutta la Magna Grecia. E gli fu guida eccezionale il professor Paolo Orsi. Dal seno dell’ANIMI nacque nel 1920 la Società Magna Grecia (presidente Orsi, direttore Zanotti Bianco), che mobilitò molti dei nomi dell’epoca: Eleonora Duse, Ernesto Buonaiuti, Bernard Berenson, Lionello Venturi, Corrado Ricci, l’archeologo Pirro Marconi, l’archeologa Paola Zancani Montuoro.

ANIMI e Società Magna Grecia, che corressero le disattenzioni del governo e dispiegarono un incredibile numero di progetti finanziati anche con autonoma raccolta di fondi, cominciarono a dar fastidio crescente, essendo viste come focolai di opposizione al regime. Furono costrette a sciogliersi. Nel 1939 l’ANIMI risorse come “Opera Principessa di Piemonte”, poco prima la Società Magna Grecia era risorta come “Società Paolo Orsi”. Solo dopo il secondo conflitto mondiale l’una e l’altra ripresero i nomi originali. Fino a che, nel 1955, nacque “Italia Nostra”, presieduta da Zanotti.
L’avvio delle esperienze archeologiche Zanotti l’aveva avuto in Sicilia, quando, nel 1929, partecipò con Pirro Marconi agli scavi del tempio dorico di Himera. Esperienze che proseguirono con gli altri scavi, nel 1931, con Paolo Orsi e Rufo Ruffo della Scaletta, a Sant’Angelo Muxaro. Proseguì da solo, nel 1932, quando si mise alla ricerca nella Piana di Sibari della città distrutta dai Crotoniati nel 510 a.C. Era una difficile scommessa, perduta da molti, ma che lui seppe vincere, come si sarebbe riconosciuto più tardi. L’antica polis era sepolta tra i fiumi Crati e Coscile, in un’area denominata Parco del Cavallo. Zanotti la identificò, appena in tempo: perché proprio allora gli pervenne il divieto di risiedere in Calabria. Passò allora in Campania, dove insieme con Paola Zancani Montuoro effettuò scavi importanti e scoprì il complesso dell’Heraion, alla foce del fiume Sele, con le sue straordinarie decorazioni figurate.
Si batté per far riconoscere al Sud le opportunità offerte dai siti archeologici, dai musei, da strutture potenzialmente uniche e originali, che avrebbero dovuto creare un tessuto reticolare di poli d’arte, quali promotori di uno sviluppo economico e sociale delle regioni di Magna Grecia. Ci fu dunque continuità, nella sua azione: aveva difeso, insieme con Ugo Ojetti, i monumenti del Nord durante la prima guerra mondiale; volle difendere quelli del Sud per il resto della sua vita, particolarmente durante gli anni in cui si dispiegava la tumultuosa crescita economica che avrebbe generato in tutta la Penisola disordinati e spesso distruttivi interventi edilizi, con cinici abusi, con lottizzazioni, con cementificazioni.
E restò fedele ai suoi princìpi etici, come dimostra, tra l’altro, una lettera con la quale lui e altre personalità (Gaetano Salvemini, Elena Croce, Corrado Alvaro, Carlo Levi, Gaetano De Sanctis e altri ancora) protestavano contro gli scempi nell’area della Via Appia antica.
Zanotti fu, dunque, a tutti gli effetti, il primo meridionalista del Nord, che con la scuola e la cultura intendeva tirar fuori dal circuito della povertà e dell’arretratezza le regioni meridionali, e che nella conservazione dei monumenti e del paesaggio vedeva un imperativo etico e un fattore di sviluppo. Fu spirito profetico, rimasto tuttavia poco ascoltato.
Gli sopravvive, fortunatamente, Italia Nostra, creatura ormai giunta al mezzo secolo, impegnata su molti fronti, simultaneamente, e quasi in assoluta solitudine votata a contrastare la proliferazione dei mostri, il disprezzo dei valori paesaggistici, la distruzione di ruderi ancora sommersi. Tutto ciò, dunque, che può generare ricchezza culturale per il Sud, che può dare un futuro diverso in Magna Grecia. O non si vuole che sia così?

 

   
   
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