Giugno 2005

Vent’anni dopo

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La Perestrojka
e i suoi nemici
Mikhail Gorbaciov  
 
 

 

 

 

 

Il primo colpo
alla schiena le fu inferto dai golpisti conservatori,
il secondo dai
radicali
avventuristi
che si spacciavano per democratici.

 

PERESTROJKA – In russo vuol dire “Ricostruzione” • Intendeva essere una rivoluzione pacifica dall’alto compiuta nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche da Mikhail Gorbaciov, eletto il 10 marzo 1985 Segretario generale del Pcus • Il tentativo (1986-1991) si trasformò in una tempesta democratica. Liberalizzazione e fine delle persecuzioni contro i dissidenti permisero il costituirsi di movimenti che si imposero sulla scena politica • Fallì sia nei riguardi delle nazionalità sia nel campo economico. I ritardi nell’affrontare la questione nazionale esasperarono le spinte secessionistiche • Contribuì a mettere fine alla Guerra Fredda, definita come una terza guerra mondiale combattuta senza armi in campo. La distensione culminò alla fine del 1989, nelle “rivoluzioni” dei Paesi dell’Europa dell’Est • Il percorso interno fu frenato e “deviato” dal fallito colpo di Stato a Mosca dell’agosto 1991: Gorbaciov fu arrestato nel quadro di quell’anomalo golpe subito abortito. Ma nel dicembre veniva sciolta l’Urss: la bandiera rossa fu ammainata dalla cupola del Cremlino.


Se dovessi riassumere in pochi termini il senso della perestrojka, direi che coloro i quali la promossero si proponevano di umanizzare e di rinnovare il mio Paese: gradualmente, attraverso la democrazia nell’ambito di una scelta socialista. E, simultaneamente, si proponevano di dare un potente contributo alla modificazione delle relazioni internazionali verso un nuovo ordine, in grado non solo di procedere in pace, ma anche di affrontare politicamente le grandi sfide che erano e sono tuttora irrisolte di fronte all’umanità. Io ritengo che quel tentativo non solo non fu vano, ma che debba ancora essere compiutamente analizzato, poiché ad ogni svolta, in ognuna delle crisi che si sono susseguite da allora, si sono ripresentati gli stessi problemi che all’epoca non vennero risolti.

Tra i molti insoddisfatti e critici dell’attuale stato delle cose in Russia vi sono, per esempio, quelli che pensano che tutto sia colpa della perestrojka. E, per quanto possa sembrare paradossale, anche taluni pensatori occidentali ritengono che sia stata la perestrojka la causa principale della dissoluzione dell’Urss e della scomparsa dell’unico modello alternativo alla democrazia liberale occidentale. C’è chi la chiama rivoluzione e chi controrivoluzione; chi vede in essa un progresso e chi un totale regresso della Russia. Chi le assegna un ruolo di grande mutamento positivo sul piano internazionale, chi le assegna la responsabilità di avere creato un mondo unipolare in cui gli Stati Uniti ora possono fare tutto quel che vogliono.

Credo che si debba dire prima di tutto che la perestrojka fu una rivoluzione pacifica in senso anti-totalitario, realizzata in nome degli ideali democratici e socialisti. Certo, eravamo consapevoli che, dopo l’enorme impulso democratico e culturale che seguì alla Rivoluzione di Ottobre, era presto sopravvenuta una vera e propria reazione, quella che fu giustamente definita come il “termidoro staliniano”, con l’instaurazione di un sistema di potere totalitario. Quel sistema fu il risultato di un’offensiva sanguinosa condotta proprio contro coloro i quali avevano fatto la rivoluzione. Si può dire che i figli della rivoluzione vennero inghiottiti dallo stalinismo. Il nostro punto di partenza fu che si potesse, e si dovesse, tornare alle origini del socialismo e liberare la società sovietica da quell’eredità. Cioè che ci si dovesse muovere verso un modello di “socialismo – come poi fu detto – dal volto umano”.
Che fosse un progetto possibile ce lo diceva tutta la società sovietica. Essa, come fu detto allora, era letteralmente gravida di quel tipo di aspettative. Esse erano state frustrate ripetutamente nei decenni precedenti, che avevano fatto seguito alla dittatura staliniana, ma erano rimaste vive e forti, ed erano sopravvissute sia al tentativo autoritario-democratico di Krusciov, e del “disgelo” che comunque produsse, sia a quello palesemente autoritario-burocratico di Breznev. E quando cominciammo esse erano diventate tanto impetuose che sarebbe stato veramente irresponsabile non vederle. Di questo gridava l’intelligencija, invocando la libertà di parola, il pluralismo politico e ideale; questo chiedevano i lavoratori, che consideravano ormai insopportabili i privilegi della nomenklatura e un egualitarismo umiliante; questo voleva la maggioranza della gente, che chiedeva una vita migliore e più giusta.

Cento volte mi sono sentito porre questa domanda: – Ma era riformabile il sistema sovietico? –. Vi erano, anche tra gli iniziatori della perestrojka, opinioni disparate al riguardo. E la domanda in un certo senso è aperta tutt’oggi. Ma io, dopo avere molto vissuto, molto riflettuto, sono giunto alla conclusione che non esistono in natura sistemi sociali non riformabili. Altrimenti non vi sarebbero progresso e sviluppo nella storia. La perestrojka durò soltanto sei anni e fu interrotta in modo artificioso, con un colpo di Stato: il primo colpo alla schiena le fu inferto dai golpisti conservatori, il secondo dai radicali avventuristi che si spacciavano per democratici.
Riandando agli anni difficili della perestrojka io vedo che essi aprirono la strada sulla quale cominciarono a modificarsi le idee di milioni di persone, in cui si sprigionò una nuova energia, in cui si dimostrò che i popoli della Russia – per quanto fossero diversi gli uni dagli altri – potevano muoversi rapidamente verso una nuova prospettiva. Fu dato un potente impulso alla democrazia e alla libertà di pensiero. Basta ricordare, per questo, l’atmosfera del Primo Congresso dei Deputati del Popolo, primo Parlamento democratico (seppure in condizioni formali di “partito unico”) della storia post-staliniana, le discussioni accalorate, i dibattiti sotto gli occhi di tutti i sovietici, trasmessi per televisione giorno dopo giorno, senza segreti. Evgenij Evtushenko allora scrisse: «Noi siamo tutti nel partito della Perestrojka».
Non avevamo una strategia? Che cos’era il “nuovo modo di pensare”? Certo, la strada era nuova e non poteva essere disegnata fin dall’inizio, individuando tutti i passaggi pratici che si sarebbero presentati. Ma le idee-forza principali, quelle di dar vita a un passaggio graduale verso un sistema democratico in cui venissero conservate le caratteristiche socialiste, con l’introduzione di un mercato socialista accompagnato dal consenso popolare e da una vasta partecipazione della gente alle decisioni, tutto ciò era chiaro. Volevamo eliminare l’estraneità dei cittadini alla produzione, al potere, alla cultura, alla vita sociale. Volevamo riformare la politica, e con essa l’economia e la società intera. E andammo in quella direzione. Noi riconoscemmo politicamente e definimmo giuridicamente la proprietà privata e nello stesso tempo cominciammo a sviluppare una forte politica sociale dello Stato. In sostanza, avevamo intrapreso la via socialdemocratica.
È evidente che ciascuna di queste trasformazioni si scontrò con un’accanita resistenza. Il passato gravava sulla coscienza sociale e ostacolava la comprensione del significato del cambiamento. Molti non compresero che la contrapposizione tra il comunismo e la socialdemocrazia aveva già perduto una gran parte del suo significato e delle sue ragioni storiche (e su questo tema gli storici potranno discutere ancora per decenni). Anche noi eravamo mutati, così come era mutata la socialdemocrazia.
I dogmatici temevano che noi volessimo passare al capitalismo. Noi cercavamo di spiegare che le trasformazioni in atto sarebbero avvenute all’interno della scelta socialista. Loro non capivano che l’allontanamento delle masse dalle idee del socialismo era avvenuto proprio perché il socialismo si era presentato ai loro occhi nella forma dello stalinismo.
Anche in questo senso, tuttavia, non tutto fu chiaro sin dall’inizio. Né poteva esserlo. Molti approfondimenti nacquero nel vivo della battaglia e del dibattito. Ed è davvero ingeneroso pretendere da noi – che pensammo la perestrojka, ma che eravamo figli della nostra storia e dunque del nostro tempo – che avessimo compreso tutto fin dall’inizio.
Sulla questione della futura società umana, in particolare, giungemmo – io stesso giunsi – traendo le conclusioni dall’analisi della situazione mondiale, dei rapporti di forza planetari, dei pericoli di un avvitamento della confrontazione tra i due sistemi sociali: L’idea della “nuova civilizzazione umana” crebbe all’interno di questa analisi, mentre lavoravamo sui temi del disarmo, sulla necessità (che io vidi assai presto) di liberare definitivamente l’umanità dall’arma nucleare.
È in questo contesto che la perestrojka ha dato al mondo i risultati più spettacolari. In quei brevi sei anni furono raggiunti risultati senza precedenti in tutte le direzioni del disarmo nucleare strategico e tattico.
Il mondo intero trasse un sospiro di sollievo. Anche questo dimostra che gli spazi di trasformazione furono utilizzati ed ebbero successo. Stava cominciando ad emergere, seppure tra mille difficoltà, una nuova idea del futuro comune, una nuova visione della convivenza, un altro livello, qualitativamente diverso del potere, dei rapporti tra i popoli, ma anche di quelli tra i popoli e i loro governanti. Un’idea più alta di democrazia, alla fine dei conti, strettamente connessa con un mondo liberato dalle armi di distruzione di massa e capace di progettare la pace.
Sfortunatamente, questa prospettiva è rimasta un progetto non realizzato. L’Occidente preferì trarre vantaggi immediati dalla situazione che si era creata con la fine dell’Unione Sovietica. Forse soltanto adesso in Europa e persino negli Stati Uniti si comincia a capire che sarebbe stato utile agire in modo più lungimirante.
C’è ancora una cosa di cui non posso non parlare. Non si sono ancora spente le dispute attorno alla questione del perché la perestrojka venne demolita. Esiste l’opinione che la causa fu un complotto esterno. Sono molti coloro i quali pensano che la perestrojka fu schiacciata dalla corsa alle armi imposta dall’Occidente. Io sono convinto che i fattori esterni – sebbene abbiano avuto un peso – non furono decisivi. Di gran lunga più importanti, davvero cruciali, furono i fattori interni. È qui che si trovano gli errori dei riformatori, la resistenza degli avversari dei cambiamenti, l’impazienza dell’intelligencija radicale. La perestrojka si trovò di fronte a due opposizioni radicali, a destra e a sinistra. Il putsch dell’agosto 1991 fu l’apogeo di quel dramma.
Ma è significativo, e rimane nella storia, che sia i radical-democratici sia i conservatori-burocratici votarono insieme nel Parlamento russo per ratificare la decisione della triade Eltsin-Kravchuk-Shushkevic che sanciva lo scioglimento dell’Urss. Solo pochi deputati, su alcune centinaia, votarono contro.
Così terminò la perestrojka: con la cancellazione del soggetto che avrebbe dovuto essere riformato. Al posto di una strategia che aveva puntato sul mantenimento dell’Unione delle Repubbliche, accompagnata dalla decentralizzazione, da riforme profonde e graduali, subentrò una prospettiva di rottura immediata e di frantumazione del Paese.
Il risultato adesso è sotto gli occhi di tutti. Ora sono necessari sforzi giganteschi per superare le conseguenze del caos che ha investito la Russia negli anni Novanta. La realizzazione di questo difficilissimo compito storico tocca agli anni del presidente Vladimir Putin. In una prima fase è stata raggiunta la stabilità, e questo è un fatto positivo. Oggi la cosa principale è continuare le trasformazioni democratiche, poiché senza queste non è possibile riportare la Russia verso una crescita dinamica. Io sono convinto che l’esperienza della perestrojka e del nuovo modo di pensare sia attuale anche oggi, nel momento in cui l’umanità si trova di fronte alle sfide della sicurezza, della povertà, della crisi del suo rapporto con la natura. La comunità mondiale può vincere queste sfide solo con un’azione comune e solidale.

 

   
   
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