Giugno 2005

Ricordando wojtyla

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L’uomo dell’Est
che abbatté il Muro
Aldo Bello  
 
 

Un Papa che emergeva dal buio del mondo marxista, e dalla cattedra di Pietro parlava al mondo, equivaleva a un terremoto.

 

Wojtyla era stato eletto Papa il 16 ottobre 1978. Pochi giorni dopo si riuniva al Cremlino il Politburo del Pcus, il partito comunista sovietico, con un ordine del giorno composto da un unico punto: «Che cosa significa per l’Urss l’elezione di un Pontefice che arriva da un Paese socialista?». Il risultato di quella prima discussione, che si svolse sotto la presidenza di Leonid Breznev, fu un documento firmato da Oleg Bogomolov, al quale era stato affidato lo studio del “caso”. Un anno dopo Mikhail Suslov, che della stagnazione sovietica era il ferreo custode, in nome di un’ortodossia da tempo svuotata di anima e divenuta pura e semplice liturgia conservatrice, firmò la risoluzione operativa. I documenti (che furono due) sono fondamentali per capire il rapporto tra l’Urss e il nuovo Pontefice, ma anche tra l’Urss e se stessa, di fronte al mondo che stava cambiando e di cui Wojtyla era il testimone “per conto della Provvidenza”: novità inattesa e incomprensibile per l’anchilosata dirigenza moscovita.
Nel corso di quella riunione gli uomini di Breznev si posero queste domande: «Nuovo Papa di Roma è diventato un cittadino di un Paese socialista, e per noi si pongono alcuni problemi. Quali scopi perseguono i gerarchi della Chiesa cattolica? Quali effetti avrà il nuovo Papa sui rapporti tra il Vaticano e i Paesi socialisti, soprattutto con la Polonia? Da parte nostra qual è la reazione più opportuna?».

Queste, le questioni che il Cremlino si mise davanti e che rivelano subito due elementi: per Mosca, l’elezione di Wojtyla fu una sorpresa assoluta; immediatamente i dirigenti sovietici capirono che da quel momento il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Il ferreo bipolarismo nato dalla seconda guerra mondiale andava in frantumi, i due campi non erano più ermetici, un uomo dell’Est sedeva sul Soglio di Pietro, un’entità che nella visione sovietica del mondo apparteneva all’Ovest. Che cosa stava per succedere?
Oleg Bogomolov, direttore dell’Istituto del sistema socialista mondiale dell’Accademia delle Scienze dell’Urss, il 4 novembre 1978 consegnò al Politburo la sua diagnosi sul caso Wojtyla. L’analisi, fredda, ruvida e profetica, sosteneva: «L’elezione va inserita nel contesto del rafforzamento della pressione politica e ideologica dell’Occidente sull’Urss e sui Paesi socialisti: con l’elezione di Wojtyla la gerarchia cattolica cerca di rafforzare l’influenza della Chiesa nel mondo e di opporsi alla proliferazione delle idee socialiste […]. L’elezione di un cittadino di un Paese socialista causerà nei prossimi tempi la crescita della religiosità e la destabilizzazione in Polonia, innanzitutto, ma anche in Ungheria, in Jugoslavia, in Lituania, e probabilmente nelle regioni occidentali dell’Ucraina e della Bielorussia [...]. Tenendo presenti i numerosi interventi di Wojtyla in difesa dei diritti e delle libertà dell’uomo, si può prevedere una più attiva partecipazione del Vaticano a questa campagna [...]. Una tale linea verrà sicuramente accentuata in Polonia, ma si può prevedere che Wojtyla non rinunci a denunciare anche atti di repressione che si svolgono in Paesi capitalistici o in altri Paesi, tipo Cile e Nicaragua [...]. Wojtyla, che è sensibile ai problemi dei lavoratori, sicuramente cercherà di allargare l’influenza della Chiesa nei Paesi socialisti, ma porrà problemi anche al mondo capitalista [...]. È sensibile alla pace, appoggerà l’idea del disarmo [...], legandola però al problema dei diritti dell’uomo, e ciò renderà più difficile il nostro dialogo con il Vaticano [...]. È per l’ecumenismo, ma bisogna indurre i nostri circoli ortodossi a pronunciarsi contro i piani vaticani di riunificazione della Cristianità [...]. Wojtyla ha vasti legami internazionali, anche se forse non conosce bene i meccanismi segreti che funzionano nei corridoi del potere vaticano. All’inizio, dunque, il nuovo Papa dipenderà dalla Curia, che cercherà di sottoporlo alla sua influenza. Ma il carattere indipendente di Wojtyla fa pensare che presto si libererà dalla tutela della Curia».

L’attenta, predittiva analisi di Bogomolov terminava con la più classica delle domande: Che fare? Nei confronti del Vaticano: far capire a Wojtyla che «troppi interventi a favore dei diritti dell’uomo porteranno alla riduzione della possibilità di manovra della Chiesa cattolica nei Paesi dell’Est»; operare in modo che la questione dei diritti dell’uomo sia posta anche nei Paesi occidentali. Per le società socialiste: «È necessario affrontare con maggiore attenzione il problema di realizzare le esigenze morali e spirituali della personalità; spesso l’atteggiamento semplificato e formale che abbiamo nei confronti della sfera spirituale della vita umana e la riduzione di essa ai momenti politico-sociali creano la base per il rafforzamento della Chiesa nelle nostre società».
Un anno dopo, Mikhail Suslov traduceva in politica e azione l’analisi dell’intellettuale. Il repertorio era da guerra fredda e talmente convenzionale che sarebbe stato bene anche in una spy story: «Assegnare a radio, televisioni e giornali un’intensa attività di propaganda; consultare i partiti comunisti del mondo, e in particolare quello italiano; stimolare i circoli vaticani più favorevoli alla pace nel mondo; incaricare il Kgb di provocare pubblicazioni all’estero sulle “pericolose tendenze” di Papa Giovanni Paolo II; allargare gli studi nel campo dell’ateismo». Questa “risoluzione” era firmata da Suslov, Breznev, Kirilenko, Chernenko e Gorbaciov, che sei anni dopo sarebbe diventato segretario generale del Pcus e che Wojtyla avrebbe poi definito «uomo provvidenziale».

Karol Wojtyla ha abbattuto il comunismo? La risposta l’ha data lui stesso: «L’albero era già marcio, io gli ho dato una buona scrollata». E i documenti Bogomolov-Suslov ne sono eccezionale testimonianza: negli argomenti usati in quelle parole c’è la traccia di quanto quel mondo fosse arrivato ai suoi ultimi atti. Il comunismo sarebbe crollato ugualmente, ma sicuramente la novità di un Papa che emergeva dal buio del mondo marxista e dalla cattedra di Pietro parlava al mondo equivaleva a un terremoto, era l’immagine vivente del fallimento di un sistema.
C’è poi, ovviamente, tutta la storia dell’attentato del turco Ali Agca, ci sono i misteri rimasti tali, ci sono le piste (quella bulgara, in particolare) che portavano ad Est. È stato generalmente riconosciuto che a tutto questo Wojtyla ha dato una risposta da Papa, sviluppando una “mistica dell’attentato”, considerato segno della sofferenza che il vicario di Cristo doveva patire perché fossero realizzati i piani della Provvidenza sul finire del XX secolo, primo fra tutti il crollo del sistema comunista. Nell’anno giubilare, il Papa rese noto il terzo mistero di Fatima e dal Vaticano venne diffusa l’interpretazione che il “vescovo bianco” ucciso dai nemici della fede visto dalla veggente era una metafora di Giovanni Paolo II.
La risposta della storia civile è diversa. Dall’elezione di Wojtyla gli eventi si succedono a velocità e intensità impensabili fino a quel momento. Nei cantieri navali di Danzica nasce Solidarnosc, il sindacato libero di Lech Walesa. Gli operai polacchi che sfilano dietro il ritratto del Papa e l’icona della Madonna Nera chiedono democrazia e libertà sindacali, ma anche la trasmissione via radio della messa domenicale. Il Cremlino è tentato dall’antico riflesso: invadere la Polonia. L’operazione è pronta. I leader del Patto di Varsavia e i segretari dei “partiti fratelli” (il tedesco Honecker, innanzitutto) insistono per l’intervento.
Oggi sappiamo che Wojtyla scrisse personalmente a Breznev e fece un parallelo ingombrante, paragonando l’invasione che stava per compiersi con quella nazista del ‘39. L’invasione non si verificò. Ma a Varsavia prese il potere il generale Jaruzelski per conto di Mosca. Tuttavia si trattava degli ultimi sussulti di una costruzione che non stava più in piedi. Nell’89 in Polonia si svolsero le prime elezioni libere e pluraliste.
Un anno dopo Walesa fu eletto presidente della Repubblica. I regimi dell’Est caddero in successione, ormai senza scampo: Budapest, Praga… Il Muro di Berlino crollò in una notte di festa. A Mosca, Gorbaciov stava consumando gli ultimi due anni di potere e la sua personale utopia: riformare democraticamente un sistema irriformabile. Il 31 dicembre 1991 l’ultima bandiera rossa fu ammainata anche dalla cupola del Cremlino.
Sebbene abbia seguito (da Roma a Maastricht, da Bochum a Istanbul e a Sofia) l’intero processo per l’attentato di Agca al Papa, non sono riuscito a capire, al pari di altri giornalisti, alcune cose. La prima: il presidente della Corte d’Assise,
Severino Santiapichi, ad un certo punto aveva creato in aula un’atmosfera rarefatta, propensa alla confessione dell’attentatore. Stavamo per conoscere la verità sui mandanti, e dunque sui fini dei due colpi di pistola sparati a Piazza San Pietro. Ma proprio a quel punto, mentre il silenzio era solcato soltanto dalle voci del giudice e dell’imputato, un avvocato lanciò un insulto verso il turco, rompendo l’incantesimo. «Lei è indegno della toga che indossa!», reagì Santiapichi. Ma ormai la verità era ridiscesa in fondo al pozzo.
La seconda: un giorno, mentre rispondeva alle domande del magistrato, il turco sostenne di essere Cristo, sproloquiò sul terzo segreto di Fatima, e fece intendere che pazzo non era, ma che da quel momento in poi non avrebbe detto nulla che interessasse il processo in corso. Perché lo fece? Aveva subìto pressioni? E da parte di chi? Dagli archivi di Mosca e da quelli della Stasi tedesco-orientale fino a questo momento non è emerso nulla che possa illuminarci in proposito. Il Papa non era mai tornato su questa vicenda. Agca è in carcere in Turchia, e si guarda bene dal dire una sola parola: forse il silenzio gli garantisce ancora oggi la vita.
Sono trascorsi, dal giorno dell’attentato, poco meno di due decenni e mezzo, troppo tempo per l’investigazione di chi è fuori dai giochi carsici fra i labirinti del potere, troppo poco invece per i ritmi di emersione della verità storica. Per ora ci restano le ipotesi, le legittime suspicioni, i teoremi logici. Sono ancora vivi alcuni depositari dei segreti interessi che portarono all’attentato dell’81. Ma lasceranno mai memoria o testimonianza di un progetto che voleva fermare la storia del mondo?

 

   
   
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