Dicembre 2004

L’icaro innocente (terza parte)

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Per omaggio, Luigi Romano
Sergio Bello
 
 

 

Avendo deciso di restare a Matino, Romano dovette affrontare
il problema
di procurarsi
un reddito, sia pure minimo, che gli consentisse
di vivere
dignitosamente.

 

Era nato nel 1867. Suo padre, Donato, gli fece studiare musica dappresso il professor Luigi Papadia, a sua volta padre di Vincenzo Papadia, maestro e compositore. E la musica Luigi doveva averla nel sangue, visto che seguì con profitto le lezioni, acquisendo in breve tempo tutti i segreti della composizione. Giovanissimo, emigrò in America, dove aprì un club frequentato da personaggi che nel bene (Rodolfo Valentino) o nel male (Al Capone) erano presenti nelle cronache giornalistiche statunitensi. Come apprendiamo da alcuni documenti epistolari, negli Usa rimase per ventisette anni, poi decise di fare ritorno a Matino.

Sconosciute, almeno finora, le motivazioni del rientro nel paese natale. Furono spontanee, nel senso di un richiamo delle radici, di una mai sopita nostalgia per il suo “piccolo mondo antico”, oppure furono determinate da un qualche “rovescio economico” al quale accenna in una sua lettera, o da altri fattori esterni e contrari alla sua volontà? (Per quel che è stato possibile appurare, sarebbe stato espulso dal Paese perché il suo club era frequentato in prevalenza da personaggi ritenuti politicamente e intellettualmente schierati a sinistra, perciò invisi in tempi in cui negli Stati Uniti imperversava il più rigido maccartismo.
Di certo c’è la continuità della sua attività di musicista, con composizioni che poi sarebbero state cedute all’archivio-discoregistroteca della RAI di Torino, ove dovrebbero trovarsi ancora oggi. E proprio questa destinazione dovrebbe confermare il valore del materiale musicale di Luigi Romano.
Ma di certo c’è anche l’impossibilità per questo Autore di vivere esercitando l’arte di Euterpe. I tempi erano quelli, il Sud era devastato dalla miseria e dall’indigenza, le occasioni di lavoro per un musicista potevano presentarsi quasi esclusivamente nelle grandi città, la più vicina delle quali (ma, all’epoca, a distanza quasi siderale) era Napoli.
Avendo deciso di restare a Matino, Romano dovette ben presto affrontare il problema di procurarsi un reddito, sia pure minimo, che gli consentisse di vivere dignitosamente. Cominciò a questo punto la sua odissea epistolare, che senza soluzione di continuità lo portò a scrivere lettere ad esponenti delle istituzioni locali e provinciali, ma anche nazionali; e, successivamente, a far ricorso ad un ingegnoso espediente: quello di comporre testi musicali d’omaggio, che trascriveva sul pentagramma, facendoli precedere da una dedica per particolari avvenimenti (compleanni, onomastici, matrimoni, nomine ufficiali oppure onorarie, ricorrenze varie, ecc.), al fine di ottenere una (mai richiesta esplicitamente) qualsiasi ricompensa in denaro. Ne riportiamo qualche esempio, utilizzando documenti raccolti dal matinese Giorgio Romano.
In una lettera del 19 gennaio 1933-XI, diretta “A S.E. il Prefetto della Provincia di Terra d’Otranto - Lecce”, il musicista scriveva:
“Eccellenza, questo ill.mo Signor Podestà mi ha onorato dei ringraziamenti dell’E. V. per gli auguri da me inviataLe, e mi ha pregato di fornire maggiori schiarimenti in merito alla mia richiesta per ottenere un tenue stipendio finanziario del Comune di Matino per la costituzione di una banda tra gli organizzati all’O.N.B.
Eccellenza, speravo che a quest’ora io avessi dovuto rendere nella Patria mia, alla quale son tornato dopo ventisette anni di assenza, un tributo della mia modesta ma italianissima arte, per la quale io ebbi ammiratore e amico il grande Puccini e il mago dell’elettricità Edison, che mi affidò un messaggio autografo per l’amato Duce d’Italia, ed una penna stilografica personale da offrire in omaggio al Segretario del Partito S.E. Starace.

Durissime condizioni di vita e varie sciagure di carattere economico, mi hanno costretto nel mio paesello natio, senza la possibilità di muovermi e procurare a me stesso la soddisfazione di far conoscere i miei lavori.
Avendo appreso che l’E.V. può disporre lo stanziamento di una somma, anche modesta, nel bilancio del Comune di Matino, bilancio che trovasi attualmente all’approvazione dell’E.V., faccio vivi voti perché venga accolta la mia istanza onde possa con animo grato accettare l’aiuto che in questi momenti difficili della mia vita io chiedo alla Patria per la quale vissi onorato all’Estero.
Certo della benevolenza dell’E.V., in sicura attesa con ogni osservanza.
Dev.mo L. Romano”.
Ecco, di seguito, i testi di alcune lettere intercorse tra le varie Autorità in un modo o nell’altro coinvolte dalle petizioni di Romano.


Lettera del 20 dicembre 1939 al Podestà di Matino:

“Il nominato in oggetto, rimpatriato dall’America del Nord, si è rivolto a S.E. il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani lamentando le sue tristi condizioni economiche e chiedendo un aiuto finanziario. Ti prego pertanto di fare tutto quanto ti sarà possibile per venire incontro ai bisogni del Romano. Resto in attesa di un cortese cenno di riscontro. Il Segretario Federale Mario Cionini Visani”.

Lettera del 19 novembre 1940, diretta al Prefetto di Lecce:

“Assicuro l’Ecc. V. di avere consegnato al distinto in oggetto gli autografi e le lettere da lui inviate in allegato ad un esposto diretto a Donna Rachele Mussolini. Vi assicuro inoltre che in aggiunta alla assistenza che già si prodiga allo stesso in buoni viveri, sarà di tanto in tanto emesso un assegno di £. 50,00 da parte di questo E.C.A. Il Podestà dr. G.(iulio) Giannelli”.

Lettera del 2 dicembre 1940 al Podestà di Matino:

“Il Cav. Luigi Romano ha fatto pervenire all’indirizzo di Sua Maestà il Re e Imperatore un suo acrostico augurale per il 71° Augusto Genetliaco. Vi prego di esprimere al Romano, nel modo e nella forma che crederete opportuni, i Sovrani ringraziamenti per il cortese pensiero.
Il Prefetto [segue firma in sigla]”.

Lettera del 15 dicembre 1940 al Podestà di Matino:

“Vi trasmetto – con preghiera di disporne la consegna – l’unito vaglia cambiario N. 109005 di £. 500= quale sussidio concesso dal DUCE a favore del Cav. Luigi Romano. Per la regolarità degli atti resto in attesa di un cenno di ricevuta in carta libera da parte del beneficiario.
Il Prefetto [segue firma in sigla]”.

Lettera del 27 gennaio 1941, diretta al Prefetto:

“In riferimento alla nota sopra distinta, assicuro l’Ecc. V. che il Professore Romano ha ricevuto nello scorso mese di gennaio un compenso di £. 50,00 da parte di questo E.C.A. Il soccorso promessogli, pertanto, non è stato sospeso, ma soltanto diminuito in considerazione che nello scorso mese di dicembre, in ricorrenza delle feste natalizie, egli aveva già percepito: £. 500,00 quale sussidio del DUCE, £. 300,00 dal Prof. Tito Schipa e £. 200,00 dall’Ecc. V. Dopo quanto innanzi ho tenuto giusto diminuire il soccorso continuo in suo favore, a beneficio di gente più bisognosa di assistenza.
Il Podestà [segue firma in sigla]”.

Lettera del 7 marzo 1941 al Podestà di Matino:

“Il noto Cav. Luigi Romano ha fatto pervenire un ennesimo esposto per chiedere assistenza. Vi è noto tutto l’interessamento spiegato in suo favore dall’Eccellenza il Prefetto che gli ha concesso a diverse riprese sussidi in danaro, che lo ha proposto e gli ha fatto ottenere aiuti economici e per somme non indifferenti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero della Casa di S.M. il Re Imperatore, e che da ultimo lo ha segnalato a Voi per la concessione, nei limiti del possibile, di un sussidio a carattere continuativo. Dopo tanto non riesce possibile fare di più in favore del Romano. Vi prego di fargli comprendere l’opportunità di astenersi dall’inviare continuamente domande di aiuti economici, e ciò anche perché, essendo già note le sue condizioni di bisogno, ove possibile, l’Ecc. il Prefetto lo terrà senz’altro presente per la concessione di sussidi.
Il Capo di Gabinetto [segue firma]”.

Dagli Stati Uniti era ritornato milionario, ma in Italia non condusse una vita morigerata. Amava vivere alla grande, viaggiò molto e viaggiò soprattutto non facendo mancare attorno a sé tutto ciò che aveva a che fare con il lusso, senza risparmio e senza preveggenza, fino a quando le sue risorse finanziarie fatalmente si esaurirono.

Morì molto povero nel 1945, quando calava il sipario sulle sciagure della seconda guerra mondiale che aveva aggiunto rovine fisiche e spirituali, ferite e lutti in una terra che, come il resto del Sud, viveva in un proprio fuso orario, dentro i meccanismi di una società e di un’economia che restavano vischiose, non si muovevano e non si acceleravano a volontà. Sessant’anni dopo, di lui è rimasta una memoria ondivaga, tra poche luci e molti coni d’ombra, che soltanto un’accurata indagine biografica e una riscoperta della sua opera (con la ricerca anche degli “acrostici” che Romano aveva scritto e mandato in giro non soltanto nella provincia di Lecce) possono rimettere al sole, per una valutazione oggettiva dei contenuti artistici, e dunque del valore di questo talento emerso in una terra eccentrica, e in quella stessa terra malinconicamente tramontato, dopo l’avventurosa migrazione oltreoceano.

   
   
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