Dicembre 2004

Ercole Ugo D’Andrea - Corrispondenze/5

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Caro D’Andrea
Lettere di Mario Luzi (terza e ultima parte)
 
 

 

 

 

 

 

Trascriviamo i testi di alcune lettere che Luzi aveva indirizzato a Ercole Ugo D’Andrea in tempi diversi, ma che sono prive di data. L’ordine di trascrizione è del tutto soggettivo. Il criterio di trascrizione è dato dall’iniziale uso del “lei”, e dal successivo passaggio al “tu”, quando l’amicizia fra
i due si era consolidata non solo per via epistolare, ma anche per alcuni incontri, e soprattutto dopo una breve vacanza trascorsa da Luzi in casa D’Andrea, a Galatone.
In controluce, lettere brevi ed essenziali, che parlano di poesia, di libri, di ritmi impalpabili costruiti con le parole, ma anche di consigli, di complicità e di sintonie, di stanchezze e di lavoro “dannato e fatuo”. In un tempo che macerava l’uomo e il poeta, occasioni per parlare, per scuotere forse un po’.
E solo per affetto.

Caro D’Andrea,

vivo anche io il suo sottile rovello; mi metto nella sua esistenza e nel suo puntiglio a darle un senso. So che è uno stato non privo di tormento eppure è anche uno stato di relativa potenza. Del resto lei lo dimostra attualmente, non avendo rinunziato a nessuna delle domande importanti.
Questo non vuol dire che lei debba rimanere in quel limbo improgressivamente. Spero che il passo presso Mursia sia fruttifero. Scriverei a qualcuno se sapessi chi è il responsabile. Ma non so niente di quella casa editrice.
M’è venuta in questi giorni un’idea ricevendo un libro di Ercole Bellucci da Urbino, stampato in una collana nuova, elegante. Sentirò se è possibile farvi inserire il suo libro.
Per il resto la vita apparentemente ci scavalca; ma solo apparentemente. Nessuna prova ci è data, credo, che non possiamo (o dobbiamo) sostenere. Ma lei lo sa già. E io lo imparo un po’ per giorno.


Caro D’Andrea,

che dispiacere non averla ricevuta. In compenso mi arriva il suo libro pigmentato con matura coscienza di illusione e veleno com’è lei e come siamo un po’ tutti in questo tempo.
Devo rileggerlo naturalmente, ma mi è sembrato incidere su una vera sostanza e ne sono rimasto assai conquistato. E lieto anche per lei, naturalmente, che non paga inutilmente lo scotto d’un’esistenza filata con l’agro eppure accettata per quel che è.
Bravo, vorrei dirle, se non temessi il suo sorriso. Creda alla mia stima crescente quanto la mia amicizia.


Caro D’Andrea,

che dirà di questo ritardo? Spero voglia attribuirlo solo al mio disordine e all’affollarsi di tante scartoffie sulla mia scrivania. Ma la sua lettera mi fece piacere. E le sue poesie le lessi subito, e mi piacque l’arguzia amarognola-ridente di Buon segno e del Poeta. Mi pare che vada entrando in possesso di sé, del suo destino. Ed è tutto; tutto quello che si può pretendere.
Cercherò di passarle a qualche rivista, sebbene i miei contatti si riducano a ben poca cosa. Ma lei lavori, verranno a cercarla. Su!
Mi creda, il suo amico Mario Luzi.
Le accludo una foto; è un po’ sbiadita, ma è la mia stanza e mi ci ritrovo.


Caro D’Andrea,

grazie della felicissima (e a me particolarmente cara) poesia. Bene: vedo chiaro nel suo lavoro e questo mi dà allegria.
Stia su e mi ricordi.

(Caro D’Andrea),

Auguri, e mi ricordi a Comi. Quanto alla “Fiera” non posso prometterle niente per il momento perché mi pare abbiano sempre meno voglia di riservare spazio alla poesia. Ma certo un poemetto come La porta delle pecore, limpido e pieno di senso e di luci interne, lo avrei presentato volentieri e credo non avrebbero opposto resistenza. Sia comunque lieto di averlo scritto. Mi pare che Ramat abbia da poco dedicato una nota al suo suadente libretto. Non mancherà l’occasione di riparlare di lei, inclusa La porta delle pecore.
Suo Mario Luzi.
Sto uscendo, spero, da un brutto mese di sofferenza e di fastidio dovuto a un’affezione nevrotica e epidermica.


Caro D’Andrea,

complimenti per la laurea! E’, anch’essa, un’azione da parte sua; e, spero, una buona azione.
Ho dato tra un viaggio a Urbino e uno nel Trentino una rapida occhiata alle sue nuove poesie. Mi sembrano molto acute e molto dimesse, nella loro felicità, per così dire, domestica – felicità amarognola e grondante scontento. Il senso della riduzione sta per diventare un’arma a più tagli nelle sue mani. Ma le dirò di più quando avrò un po’ di pace per rileggerle.
Per la presentazione, d’accordo, con tutto il cuore.
E si goda le vacanze di Alfedena, un posto da cui sono passato e che m’è rimasto nel cantuccio inesplorato che sgomitola sogni e memorie.


Caro D’Andrea,

a Urbino non trovai Bellucci. Il colloquio si è svolto per lettera, dunque; e la conclusione è questa: Bellucci ha parlato a Bo (direttore nominale e reale della collana, cosa che francamente ignoravo), Bo gli ha detto di invitarci a mandare su il manoscritto. Credo che ciò equivalga a un consenso. Perciò lei dovrebbe senz’altro spedire il copione a Urbino, magari a Bellucci che provvederà a passarlo a Bo.
L’indirizzo è: dott. Ercole Bellucci-Facoltà di Giurisprudenza, URBINO.
Ho fiducia che questa sia la volta buona. Scusi se non m’indugio a parlare con lei che ascolta e comprende bene, ma in questo momento sono proprio sfinito.
Spero di avere presto l’occasione (di) riprendere il nostro discorso, intanto abbia i più cari saluti.


Caro D’Andrea,

sì, forse ha bisogno di qualcosa che ricapitoli in azione, faccia convergere su un punto vivo e creativo la sua sensibilità che tende a diramarsi capillarmente tra le presenze e le assenze del suo romitorio. Questo è stato del resto per lei un universo fervido e tornerà a esserlo. Conosco queste alternanze di stasi e di estasi. Una dissipazione impalpabile e perciò snervante sembra il contenuto della prima: e forse lo è ma congiunta a una forza sotterranea di arricchimento in attesa che scatti l’altra – che può essere un momento di trasparenza qualsiasi o il rivelarsi di una polarità finora nascosta. In sostanza lei aspetta una scintilla che riaccenda il circuito e dà, naturalmente, più nomi a quella aspettativa.
Sarei astratto se le dicessi che lei ha già in sé, latente, quella scintilla e deve solo liberarla dalla cenere: intendiamoci, in definitiva è così, ma non sono tanto pascaliano da non credere che l’esistenza con la sua moralità non incrementi il focarello e, ovviamente, lo esponga con soffio che può essere dissolvitore. Personalmente ho sentito il bisogno di correre tutto il rischio. Lei forse reprime un bisogno simile dissimulando in stanchezze e estenuazioni una paura di novità o di tradimento dal suo mondo intimo e familiare. E forse è invece in quella inconscia idolatria trepidante che lo tradisce addebitandogli la sua propria dolce inerzia.
Si sposi, si leghi a una donna perché tra le sue risorse inutilizzate c’è forse anche questa possibile dedizione. E non tema troppo di non avere niente in cambio. Sarà meglio che restare in qualche modo irrealizzato a prezzo di frustrazioni.
Lei fa già un piccolo calcolo di profittare delle frustrazioni come Sbarbaro ecc. Eh, no, non può scegliere lei, ma solo il destino. Purtroppo in queste cose della psiche, si è sempre molto rozzi. E lo sono anche queste mie parole. Il fatto è che la misura sta appunto all’interno della psiche individuale stessa. E ciò che a uno pare ragione, per l’altro è violenza.
Ma volevo solo parlare con lei, magari scuoterla un po’.
E solo per affetto.


Caro D’Andrea,

Grazie della tua lettera e delle buone notizie. Ero rimasto un po’ in sospeso e non osavo interpellarti. Mi dispiace che trovandomi per due settimane in viaggio (una in collegio a Dublino) non avevo portato con me l’indirizzo per mandare un augurio ad Aurelio e a sua madre, così ho mancato a un mio spontaneo desiderio. Spero che accolgano ugualmente bene i miei voti tardivi che gli trasmetterai. Può darsi che un’aria nuova intorno a te ti giovi.
Intanto ho piacere che qualcuno si sia accorto di te, ti richiedano poesie. Non conosco “Contrappunti” – non mi pare d’averla mai vista: ma Origine è fatta con insolita cura e amore.
Ti consiglierei di accogliere quell’invito.
Io? Forse pubblicherò presto Il messaggero, il dopo Ipazia. Salutami tua madre e a te un abbraccio.

Caro Ugo E.,

due frettolose parole per dirti che invidio i tuoi “ozi” pieni di solitari, tranquilli “negozi”: mi parli infatti di calme letture ad libitum: cosa di cui mi sono quasi dimenticato, non ci fosse quel breve raccoglimento prima del sonno e qualche resa alla malattia.
Sono anche bombardato da informazioni nauseabonde: tutti questi conati, questo gioco sinistro in cui si esprime una volontà e forse un diritto di esistere: un lavoro dannato e fatuo, un lavoro senza opera.
Vorrei proprio essere “altrove”. Ma basta.
Quando verrai ti farò leggere la lettera di Forti e mi dirai che cosa fare dei tuoi versi. Questa settimana andrò a Urbino (da giovedì a sabato), la prossima credo di no.
Vedo poco gli amici, eccettuato Betocchi che ti saluta.
A presto, dunque. Con affetto.
Caro Ercole,

ritorno adesso da un breve periodo di riposo in Sicilia: tutto sommato questi dieci giorni sono stati la mia sola vacanza. La salute ora va meglio, ma sono ben lontano da una forma accettabile.
M’accorgo d’aver interrotto completamente la corrispondenza da tre mesi: non te la prendere dunque se non hai avuto risposta alla prima tua lettera di agosto.
Bertolucci non mi ha fatto sapere niente, e non so dove si trovi attualmente. Lo solleciterò tra qualche settimana. Della pletora d’inutili poeti hai pienamente ragione: e così delle difficoltà e dei temporeggiamenti che si oppongono a te. Auguri fervidissimi per la salute di tua madre e, naturalmente, per la tua. Ti abbraccio.


Natale
Caro Ercole,

auguri di pace e di buon lavoro a te, un pensiero anche per tua madre e tuo fratello.
Mi dici di Bertolucci e di Garzanti: eh, non sai che non occorre dire no quando non si dice neanche sì… Tuttavia non dispero, i tempi psichici, la ruota delle convenienze e altro possono ancora spostare la lancetta verso un appuntamento. Io non manco di farti presente alla loro memoria.
Così si chiude quest’anno strano che ho passato più che altro in aereo e a letto, tra viaggi, intendo, e malattia, eppure non sono stato né troppo distratto né assente né con le mani in mano…
Un abbraccio.

(5 - continua)

   
   
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