Dicembre 2004

Il sistema delle aree protette

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Tutti i colori
del mare e della terra
Tonino Caputo - Roberto Scaglia - Giovanni Gavazzeni
 
 

 

 

 

Oggi si può
parlare di un vero e proprio sistema di aree protette che si avvia verso un futuro in cui economia ed
ecologia possono convivere
perfettamente.

 

Quanti di coloro i quali si sono tuffati nelle acque di Rio Maggiore o Portovenere, hanno fatto snorkelling nei fondali dell’isola di Ustica o in quella di Capraia, hanno attraversato in barca a vela le acque che circondano Ventotene, hanno perlustrato le suggestive insenature della Penisola Sorrentina o si sono lasciati avvolgere dalla frescura delle docili correnti di Porto Cesareo, si sono resi conto che non si trattava di mari qualsiasi, ma di preziosissimi lembi di un patrimonio italiano da tutelare e allo stesso tempo da valorizzare?
Il nostro Paese ne conta ben ventitré, (venti aree marine protette, due parchi archeologici sommersi e un santuario per i mammiferi marini), ma presto la loro estensione geografica sarà aumentata con la nascita ufficiale di altre superfici tutelate. Allo stato attuale, parliamo di oltre 190 mila ettari di mare e di più di 570 chilometri di costa: una “rete azzurra” caratterizzata da innumerevoli ambienti marini e costieri, un vero e proprio sistema di aree che ha il duplice ruolo di conservazione della biodiversità e di sviluppo e sostentamento delle comunità locali.
Un impulso molto forte alla tutela e alla valorizzazione di questi autentici tesori italiani è stato dato nell’ultimo triennio, che ha visto nascere quattro nuove aree marine protette, i due parchi archeologici sommersi e il santuario dei cetacei. Queste aree di eccellenza, in cui sono sintetizzate le caratteristiche naturali tipiche della Penisola, sono meta ideale di eco-turisti convinti, ma anche di semplici visitatori e amanti degli ambienti naturali che scelgono di praticare vacanze ed escursioni eco-compatibili.

La missione delle aree marine protette, infatti, non è soltanto quella della conservazione degli habitat, della protezione e della tutela, quindi, della natura e delle peculiarità della fauna e della flora, ma anche quella di valorizzare gli aspetti culturali, sociali ed economici delle realtà locali: ed è esattamente ciò che si va sempre più verificando in numerose aree marine protette.
Turismo sostenibile, dunque, ma non solo. I parchi marini si trasformano in veri e propri laboratori di studio e di ricerca, per diventare modelli di promozione dell’educazione ambientale (in alcune aree si sta sperimentando anche la delfinoterapia). Per questa ragione divengono teatro di progetti volti all’informazione e alla divulgazione destinati ai bambini, e che prevedono anche attività nelle scuole elementari con l’organizzazione di concorsi nazionali a tema. Né mancano iniziative per l’accessibilità e la fruizione del territorio e dei servizi ai disabili e agli anziani, o azioni volte alla promozione della fruizione sostenibile da parte del turismo più complesso, quello nautico.
La mappa del mare protetto è distribuita sull’intero territorio nazionale, con maggiore presenza nelle regioni meridionali e nelle due grandi isole, dove si sono avute le più recenti espansioni. In Sicilia, infatti, ai parchi marini di Ustica, delle Isole dei Ciclopi e delle Egadi, si sono aggiunti quelle delle Isole Pelagie e di Capo Gallo, nell’Isola delle Femmine. La Sardegna, invece, ospita le aree marine protette dell’Isola di Tavolara-Punta Coda Cavallo, della Penisola del Sinis-Isola Mal di Ventre, di Capo Carbonara, dell’Asinara e di Capo Caccia- Isola Piana (queste ultime due istituite lo scorso anno). In Puglia, oltre alle Isole Tremiti, spiccano i parchi marini di Torre Guaceto e di Porto Cesareo. Da qui, scendendo verso la pianta dello Stivale, si raggiunge l’unica area marina calabrese, quella di Capo Rizzuto. La Campania, oltre alla celeberrima Punta Campanella, la propaggine estrema del lungo sperone roccioso della Penisola Sorrentina, custodisce entrambi i parchi archeologici italiani, quelli di Baia e di Gaiola, un intero universo risalente all’età romana, che il mare ha tenuto nascosto. Queste due aree, insieme a quella marina protetta di Secche di Tor Paterno, al largo della costa laziale, possono essere definite le “aree sommerse”, vale a dire aree che non hanno perimetrazione sulla terraferma e il cui valore è tutto da ricercare nei fondali.
Il Centro-Nord dell’Italia ospita l’altra area marina della regione Lazio, quella delle Isole di Ventotene e di Santo Stefano, nell’Arcipelago Pontino. Risalendo lungo il litorale, fino a raggiungere la costa del Mar Ligure, incontriamo i due parchi marini di Portofino e delle Cinque Terre. Anche una striscia di questo mare forma il santuario per i mammiferi marini, area marina internazionale.
Sull’altro versante costiero, quello adriatico, ci imbattiamo nella riserva di Miramare, in Friuli-Venezia Giulia.

La geografia del mare protetto, dicevamo, è destinata a crescere. Sono ormai giunte alla fine del loro iter istitutivo, infatti, altre quattro aree: Santa Maria di Castellabate e Costa degli Infreschi, nel Cilento; Capo Murro di Porco, in Sicilia; Capo Testa-Punta Falcone, in Sardegna. Lo scrigno con tutti i colori del mare italiano potrà diventare ancora più prezioso, nel momento in cui si sommeranno altre zone protette, particolarmente nelle regioni meridionali della Penisola. Nomi? Se ne possono fare a iosa: le due coste di Santa Maria di Leuca, dalla ionica Ugento all’adriatica Porto Badisco, ricchissime di grotte marine e costiere oggetto di numerosi studi scientifici; le zone umide del Salento, con rigorose norme che regolino, ad esempio, lo sviluppo alle Cesine di un turismo eco-compatibile; la tutela di quanto di buono è rimasto nel calabrese Capo Vaticano, zona che fu difesa a oltranza dallo scrittore Berto (il vicentino autore de Il cielo è rosso e de Il male oscuro che sono stati due capolavori della narrativa italiana contemporanea), finché fu in vita, e che alla sua morte venne invaso fin sull’orlo del mare da un numero abnorme di seconde case in forma di villette e piccoli condominii; la fascia che bagna Capo Colonna, sempre in Calabria, baricentro delle “poleis” dei coloni greci che sbarcarono qui fra il VII e il VI secolo prima di Cristo; il mare che bagna Mozia, in Sicilia, anch’essa un baricentro, ma della civiltà fenicia, al modo dell’area di Tharros, in Sardegna…
Del resto, cantieri sparsi, anche se non sempre operativi, per insufficienza di finanziamenti, ci sono. Se in molti tratti costieri della Penisola sono stati individuati relitti di navi naufragate con carichi di mercanzie e vari materiali da trasporto, (anfore, in genere), va ricordato il caso dei Gemelli di Riace, il cui recupero ci ha restituito due capolavori dell’arte ellenica. Rammentiamo, fra l’altro, le ricerche subacquee di un archeologo dilettante, Raffaele Congedo, che aveva esplorato molti tratti costieri salentini (era solito persino dipingere quadri ad olio sott’acqua), localizzando ad esempio da Porto Cesareo a nord alcune enormi colonne e una vasca in marmo pregiato, evidentemente colate a picco con la nave oneraria che le trasportava, e che lì sono rimaste, per la difficoltà di riportarle in superficie e, a quanto pare, per i mezzi finanziari mai resi disponibili per il loro recupero. Congedo raccolse le sue esperienze in un libro, Salento scrigno d’acque, ormai pressoché introvabile, nel quale indicava tutte le coordinate (disegni compresi) dei suoi ritrovamenti.
Piccoli, ma anche meno piccoli cantieri marini, e sparsi cantieri terrestri. Si riteneva che a Capo Colonna ci fosse poco o nulla da riportare in luce, al di là della superba colonne dell’antico tempio di Hera Lacinia. Ma scavi recenti hanno messo in luce una serie di ambienti che hanno allargato notevolmente il recinto archeologico, in una regione che in Magna Grecia ebbe “poleis” di enorme rilevanza per civiltà, storia e cultura. E passando dalla Calabria alla Puglia settentrionale, non va dimenticato che una città come Arpi, solo parzialmente riportata alla luce, può rivelare una struttura urbana addirittura più vasta di quella di Pompei, con probabile presenza di altri tesori d’arte.
Ventitré le riserve marine, ventiquattro – per ora – i parchi nazionali esistenti nel nostro Paese: una situazione che ha portato l’Italia ai primi posti in Europa per qualità e quantità del verde protetto (con la copertura dell’11 per cento del territorio di tutta la Penisola). Un bel successo per una nazione, che è stato riconosciuto anche dall’Ue e dall’Ocse. Ma non è soltanto una questione di numeri. Si è voluto fortemente puntare sulla valorizzazione di queste aree, non solo incrementando quelle da tutelare, ma coniugando tutela dell’ambiente, sviluppo, crescita economica e identità territoriale. Oggi si può parlare di un vero e proprio sistema di aree protette che si avvia verso un futuro in cui economia ed ecologia possono convivere perfettamente. Lo slogan “ambiente come opportunità di sviluppo” sta trovando una concreta attuazione. La gestione dei territori contribuisce allo sviluppo locale, attraverso le attività compatibili con l’ambiente, che riguardano l’agricoltura di qualità, il turismo sostenibile, l’artigianato tipico, la ricerca. E’ in questo modo che i parchi si stanno trasformando da luoghi inaccessibili a laboratori di studio ed esperienze per la valorizzazione delle risorse, in una visione sistemica tra le più complete del Vecchio Continente, in cui convivono natura, cultura ed eco-sviluppo.

E’ necessario insistere in questa direzione per garantire un analogo sviluppo anche alle aree marine protette. Allo stato, tutti gli sforzi sono rivolti al potenziamento del sistema parchi marini. Tutela del mare e simultanea incentivazione delle attività legate ad esso possono rappresentare la formula che porta direttamente allo sviluppo di un sistema integrato. Sono già numerose le iniziative nate per potenziare le attività tradizionali: dalle immersioni allo snorkelling, dalle escursioni guidate al pescaturismo, alle visite ai Musei del mare e agli acquari. Sempre più diffusi sono, ad esempio, il sea-watching, praticabile anche navigando su battelli a fondo trasparente, e il whale-watching, per andare alla ricerca dei giganti del mare, come balene, capodogli e delfini, facilmente avvistabili nel Santuario dei mammiferi, la vasta zona tutelata compresa tra le coste toscane, liguri, sarde, francesi e del Principato di Monaco.
Proprio per tenere alta la guardia nei confronti della salute del nostro mare è stato messo in moto un Programma di monitoraggio dell’ambiente marino-costiero, in collaborazione con le quindici regioni italiane bagnate dal mare. In un triennio sono stati archiviati circa 250 mila dati, col controllo di 81 aree marine variamente considerate lungo le coste. Per la prevenzione e la lotta all’inquinamento da idrocarburi e da altre sostanze nocive opera una flotta di 71 unità navali: 10 navi d’altura, 12 unità speciali e 49 mezzi costieri (due unità vennero impiegate con successo alle operazioni di disinquinamento sotto le coste galiziane della Spagna, in seguito all’incidente della “Prestige”). Sono coinvolti per ora 310 marittimi e 42 operatori terrestri; si pattugliano costantemente gli 8.000 chilometri delle coste nazionali. Infine, si dispone di 15 battelli ecologici antinquinamento, che presto diventeranno 30, destinati al pattugliamento delle sole aree marine protette situate in Liguria, Lazio, Sardegna, Sicilia, Campania, Calabria e Puglia.

   
   
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