Dicembre 2004

Meridionalisti senza voce

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Oscurati dalla politica
Claudio Alemanno  
 
 

 

Al Meridione va restituito un ruolo sociale forte,
in una stagione politica in cui scompare l’animo missionario
e aumentano
le relazioni
adulterine imposte dalle logiche
di potere.

 

Ragazzi del Sud, narrateci le vostre esperienze! E diteci delle vostre speranze! E’ un invito-speranza di fronte al muro di silenzio che ci fa navigare senza bussola, senza sapere nulla dei neurotrasmettitori di euforia, degli stati d’ansia, delle convulsioni dell’anima, della configurazione di un immaginario collettivo che ci appartiene. Come anarchici randagi restiamo tutti inconsapevolmente succubi di un ancestrale desiderio di eludere, rimuovere, esorcizzare i problemi che ci sovrastano. E dunque restiamo più esposti ai movimenti ondivaghi della politica.
Giustino Fortunato invitava a guardare i nostri calanchi, le grandi distese di terra rese aride e brulle dal pascolo delle capre, che non lasciano crescere neanche un filo d’erba. Un giorno, parlando con il giovane Montanelli, aggiunse: «Sai perché i pastori lasciano distruggere erbe e arbusti? Perché non credono in Dio. Chi non crede in Dio non crede nel domani. E chi non crede nel domani non pianta alberi. Ecco, ragazzo mio, la questione meridionale».

Anni di meridionalismo di élite coltivato in era repubblicana, sempre schivo e compromissorio, sempre dialogante con i soggetti politici istituzionali, non hanno scalfito questo radicato sentimento di rassegnato fatalismo. Hanno creato solo prestigiosi centri di potere nella galassia dei micropoteri. Con le benemerenze conseguenti. Con il perenne disagio diventato scuola di letargo sociale. Ma in era di multiculturalismo, di società aperte, di mercati globalizzati, di federalismo, si attende qualcosa di diverso, di più vero e spregiudicato, si attendono voci che non parlino nei salotti buoni ma ai cittadini e alle istituzioni. Compito non agevole per le culture omologate e i cultori delle nicchie. Compito che non può essere assolto dal meridionalismo “ortodosso” e aventiniano, disarcionato dal ruolo nobile di Consigliere di un Principe consegnato al regno dell’oblio.
Il campionario delle profezie attende dal lavoro intellettuale un momento di attenzione ai problemi meridionali che non sia atto dovuto, assolto con la regia dell’ozioso occuparsi. E’ il momento di parlare per scuotere le coscienze, per trovare un comune senso di marcia, un motivo di orgogliosa appartenenza che esca dalle voci della riflessione storico-politica. Non per dire qualcosa di destra, di sinistra, di moda federalista. Ma per svolgere vigilanza critica sul sistema, sugli interessi e sulle regole, per colmare il vuoto delle certezze mancanti, per denunciare la percezione delle dissonanze che tendono a trasformare il futuro nazionale in tanti rivoli di potere territoriale minuto. Con l’inevitabile conseguenza di poteri deboli che diventano più deboli se con i moti dell’anima non si riesce a rivitalizzarli, per condurli nell’arena dei poteri forti e competitivi.
Bisogna restituire alle popolazioni meridionali un ruolo sociale forte per un fare e un agire coesi, in una stagione politica in cui scompare l’animo missionario e aumentano le relazioni adulterine imposte dalle logiche di potere.

L’agenda delle priorità è fittissima: il nuovo Welfare, l’impoverimento dei ceti medi, il dibattito sugli Statuti regionali e sui nuovi poteri locali, i rapporti difficili banca-territorio, con un credito fortemente burocratizzato per la ridotta presenza di banche locali, la questione ambientale, le politiche di sviluppo nel contesto dell’Europa allargata. Tutte tematiche che rompono la tradizionale, rigida, contrapposizione Stato/Mercato, introducendo nel sistema fattori di mobilità che vanno colti come momenti propositivi di crescita e di correzione strutturale.
La posta in gioco è un nuovo patto sociale cittadini-classe di governo che va attivato e fatto vivere all’insegna della partecipazione attiva della società civile. Essendo ormai tramontati i miti rivoluzionari, bisogna restare al cuore delle cose, convincersi della necessità di costruire nel Mezzogiorno le infrastrutture culturali della gente comune, riscoprendo la finezza dell’analisi e il talento della sintesi espositiva. Per incidere sul costume, facendo perdere l’ansia dell’instabilità e riscoprire il gusto dei sogni possibili. Abbandonando la palude dell’immobilismo, della legalità affievolita, dell’apprendistato permanente, delle mobilitazioni revisioniste, ispirate al galateo della comunicazione.

   
   
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