Dicembre 2004

Grandangolo

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E’ tempo
di guerre asimmetriche
Samuel Huntington Docente di Scienze politiche Università di Harvard
 
 

 

 

 

 

Bernard Lewis vede nell’Islam
la reazione storica di un vecchio
rivale contro
la nostra eredità giudaico-cristiana, la nostra presenza secolare e la
diffusione
mondiale di questi due elementi.

 

A dieci anni da Scontro di civiltà, un saggio per “Foreign Affairs” che nel 1996 fu pubblicato in forma di libro e tradotto in 32 lingue, in un certo senso l’11 settembre è stato per me una conferma: non la previsione di una guerra fra Stati come nell’Ottocento, né una guerra fra ideologie come nel Novecento, ma l’attacco di un gruppo islamico isolato contro il simbolo della civiltà occidentale, l’America. Infatti si è trattato di persone che in modo deliberato si sono identificate con un ramo della civiltà islamica. Lo stesso Osama bin Laden si è sempre espresso in termini di “lotta fra culture”. Solo se le società e i governi islamici si fossero schierati con costui ci sarebbe stato il rischio di uno scontro mondiale.
Il potenziale per un vero e proprio scontro c’è, anche perché nella lotta delle culture si sono aggiunti altri due fattori: l’intermittenza dei confronti armati fra India e Pakistan per il Kashmir e la trasformazione delle Intifade in “martirii” di kamikaze.
Una frase di quel mio saggio («L’Islam ha dei confini di sangue») va spiegata. L’Islam non è sanguinario di fondo. Ci sono più fattori in gioco. Uno è il sentimento storicamente condiviso fra i musulmani di essere stati soggiogati e sfruttati dall’Occidente. Un altro è il rancore per forme concrete della politica occidentale, soprattutto per il sostegno che l’America dà allo Stato di Israele. Il terzo fattore è il “rigonfiamento demografico” nel mondo arabo. Il gruppo più consistente è fra i quindici e i trent’anni. Questi giovani non trovano lavoro nei Paesi di nascita. Tentano di andare in Europa o si lasciano reclutare per la lotta contro i non-musulmani. I capi del terrorismo pagano bene.

Le società “vecchie”, cioè i popoli con aspettative di vita piuttosto alte, non conducono più guerre. Gli europei erano molto violenti un secolo fa, quando il loro profilo demografico assomigliava a quello del mondo arabo attuale. Il massacro della prima guerra mondiale fu possibile soltanto perché c’erano così tante persone da massacrare. Ma non esaltiamo troppo questo fattore. Nel 2020 il fenomeno sarà ridotto e ciò renderà più facile avere rapporti pacifici con l’Islam. I “confini di sangue”, dunque, si riferiscono a un fenomeno più ampio del conflitto fra israeliani e palestinesi. Ma è giusto che gli Stati Uniti considerino la sicurezza di Israele un interesse nazionale.
Che dire, poi, di tutti gli altri conflitti che mobilitano i musulmani contro i non-musulmani? Bernard Lewis vede nell’Islam la reazione storica di un vecchio rivale contro la nostra eredità giudaico-cristiana, la nostra presenza secolare, e la diffusione mondiale di questi due elementi. E’ una rivalità storica che esiste fin dal VII secolo, dalla nascita dell’Islam e dalla conquista islamica dell’Africa del Nord, del Vicino Oriente e di vasti territori europei. E’ cambiato tutto nell’Ottocento, quando l’Occidente cominciò a colonizzare il Medio Oriente e portò avanti l’opera fino al secolo appena scorso.
Per quel che riguarda l’ostilità islamica nei confronti di idee occidentali, quali l’individualismo, il liberalismo, il costituzionalismo, i diritti umani, la pari dignità fra i sessi, in una parola, la democrazia, dobbiamo distinguere fra varie correnti e gruppi. Naturalmente esistono musulmani che condividono questi valori occidentali. Ma purtroppo sembra che dappertutto questi gruppi siano in minoranza, con scarso potere e possibilità d’influenza. Gran parte dei governi del mondo islamico sono solo delle dittature, delle mono-o-teocrazie.

La domanda allora è: perché non esiste democrazia nei Paesi islamici? Forse il motivo è culturale. Ma se guardiamo all’Islam nella sua interezza, vediamo che la Turchia, ad esempio, è una forma di democrazia, che anche il Pakistan ha avuto forme democratiche, che il Marocco ha avviato riforme moderne, che la Tunisia ne è direttamente influenzata. Non credo che l’Islam sia di per sé antidemocratico. E’ vero che nell’Islam arabo non esiste un solo Stato democratico, eccezion fatta per il Libano. Ma il Libano era più cristiano che musulmano. Quando i rapporti di maggioranza sono cambiati, è scattata la guerra civile. Tuttavia esistono grandi differenze fra i quaranta Paesi islamici.
Il fatto è che gli interessi di molti si riferiscono a un avversario comune, gli Stati Uniti. Forse anche all’Occidente in blocco. La politica di potere non si esaurisce mai: viene rafforzata dalla cultura e dalla religione, sebbene queste non riescano a spiegare tutto. Si veda l’alleanza fra Ankara e Gerusalemme. E si legga bene la storia della Russia: da Pietro il Grande in poi, ogni tanto la Russia si è spostata verso l’Ovest. Occidentalizzazione e modernizzazione sono un vecchio motivo della storia russa. Ma c’è anche il motivo contrario, il motivo “slavo”, secondo il quale la Russia ha una destinazione del tutto divergente dall’Occidente. Questa corrente del resto si può trovare anche nel bolscevismo: «Siamo diversi e migliori, siamo il futuro e seppelliremo l’Occidente». Ora, sicuramente esistono seri conflitti all’interno dello stesso Islam, anche se tutti sono musulmani, e se tutti hanno movimenti fondamentalisti e regimi estremamente autoritari.
Ecco: la cosa interessante dell’ex blocco sovietico è che democratizzazione e riforma economica si muovono lungo linee culturali molto precise. Tutti i Paesi che appartenevano all’Europa centrale oggi manifestano grandi progressi. Le culture ortodosse di Bulgaria, Bielorussia e Ucraina sono invece più lente nei processi riformatori. Ma l’Albania musulmana e i Paesi dell’Asia centrale sono ancora molto più lontani dal raggiungere successi di riforma minimi.

   
   
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