Dicembre 2004

Che Europa fa

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Il futuro dell’Ue
Ernst Maltz  
 
 

 

 

 

 

L’Italia
preoccupa per altri aspetti, tra i quali il gigantesco debito pubblico
e una finanza
pubblica
pigramente
orientata alla
crescita.

 

Per l’Unione europea è iniziata una fase densa di problemi. D’altra parte, la Ue è una costruzione continua, e ciò è condizione di forza e testimonia capacità di adattamento a patto che siano solide le pietre angolari. Tre, in modo particolare, vanno tenute in considerazione per consolidare l’euro-razionalità e per evitare gli estremi dell’euro-entusiasmo e dell’euro-scetticismo.
Una prima pietra portante (del tutto nuova, eppure non del tutto priva di storia) è il Trattato che stabilisce una Costituzione per l’Europa, approvato nel giugno 2004 dalla Conferenza intergovernativa dei Capi di Stato e di Governo della Ue a Venticinque. Sono da qualche tempo partite le ratifiche dei singoli Stati membri. Tutto dovrebbe concludersi bene, superate alcune difficoltà dovute a correnti di pensiero critico, com’è sempre accaduto per i Trattati europei.

E’ pur vero che l’eurocostituzione, con le sue dimensioni gigantesche di circa 450 articoli, cui vanno aggiunti i Protocolli, gli Allegati e le Dichiarazioni, può suscitare perplessità malgrado i suoi notevoli punti qualificanti. Bene hanno fatto perciò i servizi della Commissione europea a mettere sul sito “futurum” della Ue varie sintesi dell’eurocostituzione fino a un minimo di poche pagine. Soluzioni, pur senza alcun valore legale, molto utili, anche se un po’ radicali. Per questa ragione può essere suggerita una riflessione: la Convenzione europea che ha predisposto la bozza di eurocostituzione venga rinnovata in forma ridotta per ri-compattare la stessa. Così tra sette anni circa, tempo medio che intercorre tra un Trattato europeo e l’altro, si potrebbe addivenire ad una nuova versione dell’eurocostituzione che includa soltanto le parti essenziali.
I cittadini dell’Unione europea devono infatti poter capire a fondo l’eurocostituzione, altrimenti c’è il rischio che essa diventi appannaggio dei “giuristi-linguisti” del Consiglio che attualmente lavorano sul testo nelle ventuno lingue in cui la stessa farà fede. Agli italiani suggeriamo perciò di meditare a lungo sulle (abbastanza contenute) Parti I e II dell’eurocostituzione, leggendole alla luce del “Progetto politico europeo” che riprende alcuni interventi del Presidente Carlo Azeglio Ciampi.

Una seconda pietra angolare (nuova, ma di complesso avvenire) è l’allargamento che ha portato l’Unione da quindici a venticinque Paesi. Agli infiniti commenti su questo passaggio aggiungiamone due. Il primo prende spunto dalla nuova Commissione europea presieduta da José Manuel Barroso, che dal 1° novembre scorso resterà in carica per cinque anni, e dalla sua composizione di 25 Commissari, tra cui il Presidente e ben cinque vicepresidenti. Non ci rallegriamo, diversamente da altri, per il fatto che alla Francia sia andato il portafoglio “minore” dei trasporti, privato adesso del cruciale dicastero dell’energia, che è stato scorporato e affidato a un Commissario ungherese. L’idea che la Commissione diventi “forte” se a personalità di Paesi “deboli” si attribuiscono dicasteri importanti ci sembra davvero assai poco convincente.
Nella Commissione Barroso ci sono di queste peculiarità e preoccupano. Non va dimenticato, infatti, che il Presidente della Commissione è stato dal gennaio 1985 al dicembre 1994 un francese “doc”, come Jacques Delors, con il quale la Cee superò grandi difficoltà puntando al mercato e alla moneta unica. Un’esperienza, questa, che va tenuta presente come lezione di comportamento sul modo di governare la Ue in questi primi anni del XXI secolo.

Il secondo commento riguarda le cooperazioni rafforzate previste dai Trattati e sostanzialmente confermate dall’eurocostituzione se «gli obiettivi ricercati da detta cooperazione non possono essere conseguiti entro un termine ragionevole dall’Unione nel suo insieme, e a condizione che vi partecipi almeno un terzo degli Stati membri». Francia e Germania rimangono cruciali per la Ue anche come nucleo di cooperazioni rafforzate, per esempio nell’energia, nella ricerca scientifico-tecnologica, nella difesa.
L’Italia, che con i due citati Paesi fa circa il 54 per cento del Pil della Ue e che insieme con loro è stata la co-fondatrice della Ceca nel 1951 e della Cee nel 1957, dovrebbe essere co-attore di possibili cooperazioni rafforzate. Al proposito anche il Presidente della Repubblica ha affermato nell’ottobre 2003 che «l’impegno di un gruppo di Paesi d’avanguardia non preclude, ma anticipa – come è sempre stato nella storia dell’Ue – la partecipazione degli altri Paesi membri all’avanzamento dell’integrazione».

Una terza pietra angolare (recente, ma piuttosto invecchiata) è il Patto di stabilità e crescita. Con la sentenza del 13 luglio 2004 la Corte di giustizia ha affermato che «la domanda della Commissione di annullare la mancata adozione da parte del Consiglio delle decisioni di intimazione nei confronti della Germania e della Francia è irricevibile. Le conclusioni con cui il Consiglio ha sospeso le procedure per i disavanzi eccessivi e modificato le raccomandazioni da esso precedentemente rivolte a ciascuno di tali Stati membri per la correzione del disavanzo eccessivo sono annullate».
Non entriamo nel merito analitico della sentenza, della quale quasi tutti si sono sorprendentemente dichiarati soddisfatti, ma rileviamo che la stessa ha implicitamente evidenziato la necessità di riformare le procedure per evitare sia automatismi sia vuoti giuridici. Ma è anche la sostanza del Patto che va rivista. Dopo la sentenza il Presidente della Commissione europea ha affermato che avrebbe reso note alcune linee di riflessione sul Patto per migliorare la governance economica. Ora ci aspettiamo che una proposta incisiva di modifica del Patto (si pensi alle spese per investimenti in infrastrutture e nei settori della ricerca scientifica e della ricerca tecnologica) venga dalla Commissione Barroso, a fronte di un’Unione europea che cresce poco e che senza una ripresa robusta della Francia e della Germania, le cui finanze pubbliche sono sane, come rivela il loro basso debito sul Prodotto interno lordo, continuerà ad essere in difficoltà.
Quanto all’Italia, conta per la sua economia e per la sua storia europeista, ma preoccupa per altri aspetti, tra i quali il gigantesco debito pubblico e una finanza pubblica pigramente orientata alla crescita.

   
   
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