Settembre 2004

lo straniero con la valigia in mano

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Il rigattiere
della solitudine
Oliver Friggieri  
 
 

 

 

 


 

Malta è il più piccolo dei Paesi entrato a far parte dell’Unione europea. La lingua maltese è la meno conosciuta del Vecchio Continente.
Pertanto, siamo particolarmente lieti di ospitare alcune poesie in lingua originale (con l’ottima traduzione di Bruno Rombi) di uno scrittore, Oliver Friggieri, egregio amico di Apulia, che nella sua qualità di docente universitario da gran tempo compare sulle pagine della Rivista con saggi critici di riconosciuto spessore.
Il titolo attribuito a questa breve raccolta è puramente elettivo: si tratta di un’espressione che compare in questi versi, e che abbiamo scelto perché particolarmente suggestiva. E, ci sembra, emblematica dell’antropologia umana e culturale dell’Autore.

 

Noi siamo un desiderio
Non siamo che una pistola tra le dita,
Con forza bruta essa governa il mondo.
Non siamo che un arco fissato al centro della freccia
D’un gigante che spezza i secoli mirando al bersaglio.
Noi siamo un minuto nel denso calendario
Che riunisce e scompiglia gli anni per confonderli.
Non siamo che il tic-tac d’un pendolo accelerato
Che vuol lasciare il rumore del suo procedere.
Siamo un soffio, un sospiro, un sogno, un gemito,
E siamo un desiderio. Con un desiderio distruggiamo tutto,
E con un solo desiderio trainiamo una vita intera,
Sonnecchiando durante il giorno e sbadigliando di notte.
Moriamo per desiderio, invalidati da tale malattia
Che uccide tutti noi definitivamente: un desiderio.
Siamo una pistola, un arco e siamo un minuto,
Un semplice tic-tac, e l’oggi siamo, e non il domani,
Siamo l’opposto del desiderio che ci farebbe vivere,
Il desiderio è l’ancora che con sé ci mena al fondo.

La poesia è una donna
La poesia è una donna che abbiamo in noi
Durante nove lunghi mesi, lunghi come nove secoli,
E’ una gravidanza senza parto ed è bene così,
Altrimenti la matrice sarebbe sterile, e il neonato morto.
I suoi nove secoli non passano mai.

Alla banca della fortuna
Sia il ladro sia il vagabondo, pur se innamorato,
Tutti gli uomini sono clienti della banca della fortuna,
Avventurieri nel casinò del loro cuore.
Desiderano le lire e si rigiocano i centesimi,
Si trascinano al sole e toccano le stelle con le dita,
Così essi immaginano, certi di tale follia.
Al mercato del tempo si vendono e ricomprano,
Si scambiano, si prendono in prestito e si offrono.
La gioia si paga sempre a un prezzo elevato,
Niente è gratuito in questo gioco di perdenti.
Anche nella morte il cuore, per morire, si farà povero
E sperpererà i suoi ultimi danari.
Soltanto così si compra il biglietto della fine.

E’ una commedia
L’ora scende diretta sulla mia testa,
La ferita giunge al cuore e lo trafigge,
Sempre così devono chiudersi i semplici drammi,
Si tirano le funi del sipario di scena,
Poi si riaccendono le luci del teatro.
Col vecchio copione nelle mani l’attore abituale
Conosce ogni parola e ogni movimento.
La rappresentazione è senza colore e senza sorpresa.
Il direttore sbadiglia e si stira,
L’autore alza le spalle e aspira un sigaro,
Il pubblico applaude sempre al momento giusto,
Il portinaio attende il momento di andarsene.
E’ una commedia, questa, da non doversi mai rappresentare.


Il cuore dell’universo
Quando si lacera il cuore dell’universo
Ben pochi l’avvertono: solo gli emarginati
Che basta una brezza a far cadere.
Sofferenza silenziosa
L’impalpabile soffio sulla superficie dell’acqua
Aperto come un desiderio che lascia
Il sangue affiorare
Per scorrere poi sino a morire.


Analfabeta
Analfabeta, con queste mani che tremano
Ho estratto dal suo sito il libro dell’universo
Per leggerne le pagine gialle sotto la lampada.
Analfabeta, ne leggo le parole e inciampo,
Balbetto e farfuglio senza comprendere.
Analfabeta, perdo la speranza, e con le dita
Morse tra le mie labbra, io le rinchiudo,
Spengo dolcemente la luce e m’addormento.
Analfabeta, sogno di un bambino che piange
Per sempre inchiodato ai suoi esami.
Indifferente, la terra gira e gira,
E mi trascina in sé, ebete, analfabeta.

La notte in questa stazione
Questa notte è giunta in stazione un po’ prima di me
E io non attendo più niente. S’allontana intanto
All’istante, il treno dolcemente.
Io ansimo ed esso avanza senza affrettarsi
Entrambi affaticati in quest’angolo di città
Addormentata.
La notte in questa stazione è arrivata un po’ prima
Ed era l’ultimo viaggio. Vagoni oscuri
Si occultano nell’oscurità, e l’ultimo rumore sfuma
E con esso la speranza di un’altra città.

La porta chiusa
Se la sera aprirai il tuo grandissimo cuore
Entrerò spesso in te per trascorrervi la notte.
Se tutta la notte fisserai le stelle
Ti parleranno una lingua segreta.
Se passerai le ore sveglia, sentirai
Nel silenzio battere il cuore dell’universo.
Non esserne sorpresa: ascolta attentamente
E capirai che i nostri cuori battono all’unisono.
Troverai chiusa la porta del mistero
E da essa più nessuno passerà.
Tu ricorda la strada per tornarvi.

Lo straniero
Lo straniero porta in valigia la solitudine,
E come lui essa conosce il cammino, e gli amanti
Che non viaggiano mai soli, anch’essi la portano.
A est come a ovest, saluta con una parola,
E la gente, a est come a ovest, continua il suo cammino.
Non ha nulla da dichiarare, scendendo dall’aereo:
Nulla di sospetto.
Senza passaporto, senza danaro, con un biglietto aperto,
Lascia pendere la sua borsa senza allentarla
E aggiunge a ogni viaggio una nuova solitudine
Che serra con quelle prima ammassate.
Se è bloccato sa difendersi,
Affidandosi al trattato dei nomadi senza famiglia,
Né nazione, né stato civile.
In ogni aeroporto, il rigattiere della solitudine
Aumenta il suo patrimonio esente da tasse.

Questo secolo nel mio petto
Questo secolo è caduto nel mio petto, simile a un neonato
Assuefatto alla matrice, ma che rifiuta di nascere.
Questo secolo è giovane e si ubriaca di primavera,
Questo secolo è vecchio e sa che l’inverno s’avvicina.
Questo secolo è un paradosso dalle mani di una strega,
Esplode come un vulcano dopo la pausa,
Si libera come il fruscio dei rami,
Si trascina come un ciclone testardo,
Stimola con una mano per distruggere con l’altra.
Questo secolo è troppo pesante per essere sopportato,
Attendo la liberazione che mai arriva.
E’ un sisma che scuote senza demolire,
Un bel tempo che risuona in silenzio.
Questo secolo è caduto nel mio petto, e ogni suo moto
E’ a me vincolato, come una calamita
Che aumenta e diminuisce con esso.
Il mondo gira sul suo asse sconnesso, nascosto,
Questo secolo lo guarda e lo corrompe.

 

   
   
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