Settembre 2004

Ercole Ugo D’Andrea
Corrispondenze/4

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Caro D’Andrea
  Lettere di Mario Luzi (seconda parte)
 
 

 

 

 

 

Seconda parte delle lettere spedite da Mario Luzi a Ercole Ugo D’Andrea: l’ultimo documento epistolare porta la data del 4 settembre 1992, più di un quarto di secolo dai primi contatti tra i due poeti, risalenti con ogni probabilità al luglio 1966.
Sono documenti di notevole spessore, non solo perché codificano, nella genuinità del rapporto, il clima intellettuale dell’epoca e i graffi della vita reale, ma soprattutto perché ci restituiscono due personaggi diversamente impegnati ad affrontare e a risolvere l’urgenza della scrittura:
disincantato e realista il poeta fiorentino quanto penosamente inquieto e travagliato il poeta salentino, divorato dall’ansia di vedere pubblicate le proprie poesie. L’uno e l’altro persi nel ritmo dei versi, in un vuoto di storia e di geografie, dentro l’intrigo di parole traslucide e macerate, per conquistare al di là della “momentanea attualità”, forse, una quota di paradiso.

3.8.77

Caro Ercolino,

non ti ho visto a Urbino in questo scorcio di tempo; ma forse era agosto il tuo periodo.
Anch’io mi sono fermato poco: e anche meno resterò ad agosto. E’ un periodo in cui sono inquieto e impaziente: sento che un’altra stagione della mia vita si è chiusa e oscillo in una depressione lusingata da memorie (fallaci) e da promesse (improbabili).
Frattanto... frattanto riempi tu la frase giusta e solo apparentemente terribile, visto che ti intrattieni volentieri (per modo di dire) su queste visuali.
Non so come leggere la tua ultima lettera: ma è da leggere o da indovinare? Non vorrei essere diventato troppo bravo a farlo.
Non vorrei tu ne avessi bisogno. Sono febbricitante per via di denti: e devo per ora salutarti.

2.12.77

Caro Ercole,

potresti anche accompagnare sul serio tua madre alla Messa. Non ti dico di darti a pratiche di devozione: ma ascoltando la parola, da dietro la sua pronuncia esulta una quantità enorme di significato che il nostro cuore non contiene, che la nostra vita si è organizzata a escludere per non crollare. Ma di questo, tutto sommato, ci ammaliamo: proprio di questo cautelarsi, non esporsi, l’inaridisce. Sed dic tantum verbum et sanabitur anima mea. Non ricordi?...
Spero nelle vacanze di Natale di ritornare a stendere la nota che desideri. Per ora sono alle prese con

1° residui di un’influenza e faringite
2° conseguenze di un intervento sulla gengiva che, rimandato di anno in anno, ho dovuto rassegnarmi a subire. Poco parlare, quasi niente mangiare
3° preparazione in extremis di un corso, già cominciato, su Diderot
4° preparazione delle lezioni urbinati su Valéry e Mann (Faust)
5° contributi obbligatori al Giornale ed altri pedaggi
6° debâcle finanziaria dovuta al sorgere di difficoltà reali di andare avanti
7° sentimento chiaro e preciso dell’inutilità di tutto questo tramenìo
8° desiderio immenso di liberazione e di felicità...
Spero che le tue crisi si attenuino nella misura in cui le analizzi con lucidità e padronanza. Cerca di non farti pelare al poker.
Ricordami a tua madre e ad Aurelio. A te un abbraccio.

77/78

Caro Ercole Ugo,

esco da una seconda influenza in tempo per mandare agli amici – tu sei in primis – un augurio che indori un po’ il 1978: forse augurare consola e rallegra chi lo fa. Sarà per questo che ci tenevo tanto a non mancare. Provvedi a parteciparlo a tua madre e ad Aurelio con l’ancora sconosciuta sua moglie. Non trascuro di pensare ai tuoi versi e presto mi metterò al lavoro. Stai bene.


14 agosto 78

Caro Ercole,

sono di ritorno dalla Sicilia dove ho passato una decina di giorni, dopo essere stato per due settimane a S. Quirico d’Orcia per le acque termali e qualche giorno in Umbria. Fuori sede, dunque, spostamenti continui, interruzione dei rapporti (anche con me) di cui avevo assolutamente bisogno per vari abusi psichici. E non parliamo del cervello...
Spero che anche tu abbia potuto fare altrettanto in Abruzzo. Ora mi aspettano due settimane intense a Urbino; dovrò recuperare il tempo perduto oziando. E già la cosa a pensarla mi turba, segno che il riposo non c’è stato o non è stato abbastanza.
Non so prevedere che vento tira a Urbino: i problemi sono grossi e diffondono tensione e malumore. Constaterai tu stesso, se ti decidi a venire. Per adesso ti abbraccio.


22 ott. 78

Caro E. Ugo,

ecco il topolino partorito… Vedi se ti pare che non abbia fatto qualche scorreria proibita, non abbia commesso arbitri nei suoi confronti con la massima libertà. Stai bene. Un augurio.

Vedo da anni la poesia di Ercole Ugo D’Andrea – poesia solitaria, di un solitario per inclinazione e destino – appropriarsi sempre più lucidamente appunto di questo suo stato, elevarlo a condizione indispensabile di vita e di conoscenza. Di necessità virtù? Chi può dirlo? Certo il suo piccolo universo domestico ha quasi cessato di stillare elegia dalla sua elementare sacralità, dal suo implicito toccante rimprovero. Ciò che lo compone, la casa e chi vi è dentro, la madre che ne è anima, coscienza e vivente clessidra, la “cameretta” di lui figlio non trasmigrato furono a lungo inscritti dal poeta nel proprio testo come colonne d’Ercole e come luoghi santi insieme di una elettiva separazione e di un esilio accettato; furono, o apparvero, il salutare ancoraggio del deliquio e delle piccole dissipazioni della provincia. Furono anche, o apparvero, il contraltare a idoli di altro genere per i quali i “non appartati” spendono se stessi, o dicono di farlo, là dove infuria la mischia o più verosimilmente la grigia quotidiana schermaglia.
Ora la sua solitudine sempre più si spoglia, mi pare, dei propri simboli consolatori, sempre più il suo universo relega le figure amate e rituali nel triste eliso della citazione. Il mondo si restringe a lui stesso e la sua casa diventa un nudo osservatorio, una nuda polarità. Perfino i pochi suoni familiari gli sono divenuti superflui e svianti: la notte è meglio del giorno, ogni parvenza di quella vita che già gli era sembrata irreale per troppa e troppo irrefutabile verità è ora riassorbita nella pura consapevolezza di essa. Spogliata di ogni indugio o diversione, prosciugata di ogni pathos, a parte certi ritorni e omaggi del poi, la partita di rivela per quello che è: una scommessa tra il grandioso anonimo perpetuarsi che il poeta avverte nel silenzio di ogni altra voce, nel vuoto di ogni altra presenza, e lui che vorrebbe incidervi il segno e il senso di una esistenza, di una esperienza, siano pure esse state solo uno stillicidio. E’ una scommessa che non si sa neppure quanto il poeta desideri veramente vincere: si sa soltanto che non ritiene possa essere vinta se non con la ritrazione e con l’autoappiattimento dell’ego e dei suoi lamenti. Anche la pulita e asciutta moralità che egli rivendicava con arguzia alla sua condizione écartée e al suo mondo “povero” è ormai sottintesa e come rimasta alle spalle della linea su cui adesso combatte: una linea di estrema frontiera, come dicevo.
Dunque – ecco le considerazioni che il suo nuovo libro mi costringe a fare – tutte le strade conducono tutti da qualunque parte a quell’unico punto? Là dove improbabilità e certezza (di essere presenti, di avere una momentanea attualità) si alternano e si intercambiano; dove la possibilità di interloquire in ciò che la natura dice o tace anche senza di noi sono minime; dove si manifestano l’estrema verità e l’estrema menzogna della voce che si alza a testimoniare una sofferenza individuale o pubblica – perché già la trasforma, già la tradisce…
Forse spingo con un po’ di impazienza la sua musa dove ancora esita ad andare: a lei piace ancora delibare qualche fiore tardivo e agonico; piace anche rifare, più allarmato, il solito esame della sua penuria e della sua ricchezza. Ma ho pochi dubbi che è proprio là che essa si dirige; là sembra trascinare il poeta oltre le sue comprensibili resistenze. E’ per questo che si allontana e si distingue da quella che era prima stata: e si giustifica, più che altra, ulteriore. Inoltre è per questo che inversamente alla sua naturale e ostinata privatezza ha l’indice puntato ad additare un movimento oggettivo, un passo obbligato della poesia in questo tempo, quando tutti gli abusi sono stati commessi. Ha dunque in qualche misura un valore anche pubblico: è a modo suo anch’essa storica.

18 dic. 78

Caro Ercole Ugo,

ho dovuto muovermi parecchio, infatti, e ora sono qui in cattivo stato, abbastanza malconcio, ad aspettare il Natale e tutto quanto vorrà venire. Tra l’altro, sento, anche tu: che spero contento relati-vamente, è ovvio.
Appena il tempo per gli auguri a tua madre e a tuo fratello, visto che fra noi potremo farceli a voce. A presto.

1 feb. 79

Caro Ercole Ugo,

manda pure il tuo manoscritto a Raffaele Crovi C/o Rusconi, via Vitruvio 43 Milano. Sono avvertiti e promettono attenzione e riguardo. Speriamo. Sta’ bene. Ricordami ai tuoi.


7 luglio 79

Caro Ugo Ercole Ugo,

scusa il ritardo, dovuto al caos che conosci. In più faccende teatrali per via di Ipazia che si è data in anteprima e sarà data poi compiutamente a S. Miniato (dal 25 luglio) dall’Istituto popol. del Dramma. Beghe, ripicche tra regista e direzione... Infine sembra, dopo varie mie sfuriate, le cose si siano avviate.
Ho finalmente potuto parlare a Sereni delle tue nuove poesie da pubblicare nell’Almanacco. Mi ha consigliato di mandarle a lui personalmente… Spedisci il tutto dunque a suo nome (presso la Mondadori) e accenna al colloquio tra lui e me, di cui ti sto appunto parlando.
Urbino: quest’anno ci sarò pochi giorni nella seconda metà di agosto. Per il resto l’estate passerà, senza vero ozio, un po’ qua e un po’ là: Val d’Orcia e Sicilia. Forse qualche giorno in Versilia.
Ma pensando sempre al terribile ottobre che mi aspetta e per il quale mi devo preparare.
Salutami tua madre e tuo fratello, a te un abbraccio.


5 luglio 81

Caro Ercole,

scusa il ritardo, ma che vita!
Volevo solo dirti che ho letto e riletto il tuo libro che ho trovato bellissimo. Tenero e traslucido, macerato e freschissimo. Bravo! E’ davvero il tuo libro, quello che dovevi scrivere.
Io sono molto stanco, soprattutto psichicamente. Non vedo l’ora di potermi un po’ isolare e ritrovare il mio ritmo.
Salutami tua madre e tuo fratello e a te un abbraccio.


8.10.81

Caro Ercole,

di nuovo devo scusarmi per i lunghi silenzi. A un certo punto mi sono barricato nel mio egoismo: volevo scrivere, volevo essere libero di pensare un po’ anche a qualcosa di mio che aspettava di essere scritto e ho tagliato le comunicazioni: non ho aperto la posta, mi sono allontanato dalla stanza sommersa dalle carte di mezza Italia che reclamano giudizi, prefazioni, consigli ecc. ecc. Mi sono spostato qua e là, affaticandomi, è vero, ma dimenticando per un po’ questo incubo.
Poi sono rientrato, diciamo così, nel seminato: e qui, primo, trovo il tuo manoscritto. Indubbiamente hai trovato una vena pura, scavata non solo in te come prima ma anche nella realtà a cui resta aderente: tenue e profonda. Questi versi più recenti sono belli, meno forse degli altri letti nella primavera scorsa, ma belli e toccanti: forse un machadismo trasparente e anzi propugnato offusca un po’ la limpidezza del testo. Ma, detto questo per scrupolo di sincerità, resta un bel libro, cioè un vero libro.
Quella di Einaudi e di Scheiwiller è forse una tua fissazione, ma proverò: in ogni caso è assurdo andare in giro con una mia lettera e credere che automaticamente quelle porte si aprano. Non consideri la lumacosa politica degli scrivani addetti alle patrie stampe.
Puoi intanto essere contento di questa tua stagione. E del piacere che essa procura ai tuoi amici, tra cui il tuo vecchio Mario.


4.4.82

Caro Ercole,

le tue lettere tornano a intonare il lamento: capisco il tuo stato. Gratificato dal sentire, dal vivo percepire, della trovata chiarezza di un rapporto col tuo mondo che è poi il mondo, visitato dalla parola e non dalla attenzione dei tuoi simili...
C’è quanto basta per torturarsi come fai. Ti sembra anche che gli altri ti abbandonino, ti lascino alla tua povera ricchezza che in te la delibi. Ma non è così, e tu lo sai. Sai anche che tutti sono immersi in una violenza diffusa e velenosa da cui tu, a un prezzo difficile a valutarsi, sei risparmiato. E’ difficile per loro agire, per due ragioni, perché trovano opposizioni tanto più dure quanto più anonime, e perché sono essi stessi induriti nei loro pensieri e nei loro movimenti. Quello che dico vale anche per me, certo.
Praticamente ho fatto poco per te, hai forse ragione a dolertene. Ma ho in mano niente. Ho fatto, questo sì, qualche assaggio. Dovremo parlare tête à tête con Carlo Carena della Einaudi; anzi avremmo dovuto già incontrarci il giorno 29 marzo, ma poi non è venuto, ha rinviato.
Spero che la tua buona vena ti assecondi ancora: e tu abbia la tua quota di paradiso. E’ il mio augurio di Pasqua.
Ricordami a tua madre e a tuo fratello. Con affetto.

21 giugno 82

Caro Ercole Ugo,

credo che abbia imboccato la via giusta e mai incriminabile: e mi rallegro con te. Sia questa la tua estate piena! Intanto non mi dimentico di te. Ho posto formalmente a Carena il problema della pubblicazione dei tuoi versi. Dovrà pronunciarsi, finora ha evitato discorsi su questo tema. Ma è anche lui un responsabile, checché dica. Appena dirà qualcosa che non sia pura o generica elocuzione, ti scriverò di spedire il malloppo ormai voluminoso.
Ti ringrazio dei saluti che di quando in quando mi spedisci, sono sempre benearrivati anche se raramente sono nelle condizioni di mandarti una tempestiva risposta.
Grazie della nota che hai scritto per l’Albero. Ricordami a tua madre, a te un abbraccio.


1 genn. 83

Caro Ercole Ugo,

in questi giorni che avrebbero dovuto essere di tregua e di raccoglimento non sono riuscito ad avere una mezza giornata di vera tranquillità. Sono disperato ed esasperato.
Tuttavia ho cercato di leggere attentamente e con “simpatia” il tuo “quaderno giapponese”. E, certo, mi ha preso il volitare dei suoi petali, il sussurro del vento che li stacca dall’immobilità. Ma trovo che ti sei forse un po’ troppo invaghito della tua figura poetica, che fai troppo affidamento sulla sua squisita onnipotenza. Solo una mente che ha imposto la sua insostituibilità può permettersi di espandersi e propinare il suo dono gratuito, apparentemente gratuito, e considerare poetico e significativo tutto ciò che la riguarda o promana da lei. Non credo tu sia in quella condizione.
Lo scarto tra la purezza e la levità della tua raccolta precedente e la trasparenza presunta di questa mi pare grande, forse ti sei lasciato prendere nel tranello della tua buona grazia. Francamente non mi sento di battermi per questo libro: e trovo che anche per te sarebbe un modo inefficace di presentarti pregiudicando le possibilità di ciò che hai fatto e hai nel cassetto di valido da valorizzare, appunto.
Naturalmente posso aver letto male o in una posizione sfavorevole: ma questa è stata la mia impressione. Non ti amareggiare, ma prendi spunto per ripensare al tuo lavoro e magari per darmi torto. Intanto facciamoci fraternamente l’augurio per il nuovo anno. E penso anche a tua madre e a tuo fratello.

Belfast dic. 85

Caro Ercole Ugo,

prima di ripartire da questa strana isola nell’isola: l’Ulster dove ho passato più di un mese isolato, tagliato fuori, ma in pace finalmente per un po’, prima di riavvicinarmi ti mando un saluto. Sarò domani a Londra e poi in Francia per due settimane assai faticose, poi, a Natale, in via Bellariva.
Spero tu sia sereno e abbia avuto qualche segno di amicizia e di stima: lo meriti e ne hai bisogno. Ricordami a tua madre. Un caro saluto.

Firenze, 16 feb. 85

Caro Ercole,

attraverso un periodo (ottimismo!) di stanchezza e di esaurimento. Franca non sta bene, mi tiene in ansia. Le intrusioni, le invadenze nella mia vita sono continue, le pretese altrui mi dilaniano la giornata, ogni giorno. Il lavoro mi medicherebbe, ma qui è divenuto quasi impossibile. Il peggio è che non posso andarmene in qualche possibile rifugio che ho adocchiato e anche un po’ predisposto.
Tu stai appuntando non sul mio libro ma sulla stampa di esso tutte le tue nevrosi intestine, domestiche, paesane. Il tuo stato presente a me sembra maniacale. Non pensi più a quello che hai scritto di buono e, sì, alla oggettiva difficoltà di farlo convenientemente conoscere: pensi a me, a Gelli, a Garzanti come a angeli, demoni o giustizieri. Io ho parlato di te a Gelli, gli ho scritto, gli parlerò o gli scriverò di nuovo. Non posso fare altro. Voglio dire: testimonierò per te, ma non deciderò nulla. Nelle case editrici, tra l’altro, non c’è rimasto più nulla di personale. Anche Gelli, anche Garzanti, devono ascoltare i loro consulenti “di mercato”. Tu invece ci demonizzi. Tu sai che è assurdo, e devi cercar di capire perché lo fai.
Altri degni autori sono nelle tue condizioni. Penso a Francesco Tentori (per citare un amico comune) che pur essendo eccellente poeta e apprezzatissimo traduttore, non ha a sessanta anni un editore e si contenta di occasionali, fortunose stamperie: il che non gli impedisce di godere di una buona considerazione: pochi lettori, ma buoni, insomma. E anche lui è in attesa. Ecc. ecc. Dunque non mettere la vita e la morte nelle edizioni Garzanti: è un vero peccato, ma cappello!


10.5.86

Caro Ercole,

finalmente ho trovato un po’ di quiete per leggere il tuo libro nuovo. Lo trovo molto bello, macerato, vivo, vibrante sulla corda dei nervi, tra notte e sorriso: specialmente nella prima parte più sorprendente per me. Ma dolce, umano, delicato, puntuto anche nelle altre due.
Dici di averlo mandato a Gelli. Allora prima di scrivere a Scheiwiller mi pare il caso di tornare alla carica con l’uomo della Garzanti. Ti direi: complimenti! se non fosse irrisorio per 1’“agonia” che ti ha dettato quei versi. Può essere vero che “tout aboutit à un livre”… ma questo non cambia nulla sul prezzo. Ti abbraccio. Ricordami a tua madre e a tuo fratello.

Firenze, marzo 87

Cari ragazzi, cari amici, una serie di circostanze affannose mi ha impedito di rispondere alla vostra lettera, alla sollecitudine che essa avrebbe meritato. E’ passato Natale, è passato anche Carnevale e io sono ancora inadempiente con voi che invece vi siete mossi verso di me con tanta fiducia e naturalezza. Fate ancora di più, questa volta, e perdonatemi. Voi mi domandate se ho speranza in voi ragazzi. E come potrei vivere se non l’avessi? E del resto il vostro comportamento, il vostro modo di sentire i rapporti con le persone e le cose mi darebbero torto se questa speranza la negassi.

Ciò che mi dite del vostro insegnante e delle sue lezioni e delle sue confidenze rivela tutto il vostro affettuoso rispetto. E’ un mio amico, lo è da molto tempo, e io posso dirvi che il calore della vostra attenzione nei suoi riguardi è davvero ben meritato e sono anche sicuro che esso lo ripaga di quelle amarezze che la vita riserva a tutti – perché la prova che dobbiamo superare non esclude niente – e che un uomo così sensibile come lui soffre più degli altri. Seguitate dunque a volergli bene: sarà un beneficio reciproco. Se un giorno verrò a Lecce e a Galatone vi farò visita. Ma voi dove sarete? Qualcosa in ogni caso ci unirà: l’amore alla vita e alla poesia che in qualche momento ci ha accomunato. Buona fortuna, amici.
Vi saluta con simpatia autentica il vostro Mario Luzi.

Pienza, 4 agosto 89

Caro Ercole,

la busta delle tue nuove poesie, che credevo di essermi portato dietro, è rimasta a Firenze. Dubito che la Bernardini possa recuperarla e venire a portarmela. Dunque, scusami. C’entra un po’ anche l’inquietudine che mi dà la stanchezza e lo stato insicuro della salute accresce qualche ombra. Non preoccuparti dunque per la mia mancata “sentenza” e goditi la pace aprutina.
Qui c’è anche Tentori (per qualche giorno) e parliamo spesso di te. Auguri e saluti a Silvana e a te.


luglio 92

Sorridi, ti prego, a questa pienezza d’estate. E a Silvana. Mario

4 sett. 92

Caro Ercole,

ricevo Nature morte con febbre e delibo con intenso piacere il tuo superiore “pizzicato”.
Dunque stai male-bene, stai.
Anche la pagina di Francesco che ti introduce la trovo molto bella.
Io sono in terapia, ancora: e ormai insofferente. Voyons. Un caro saluto a Silvana. A te un abbraccio.

(Fine seconda parte. 4 - continua)

 

   
   
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