Settembre 2004

Banche tra ristagno economico e innovazione

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E’ l’ora di un nuovo
modello di sviluppo
Filippo Cucuccio  
 
 

 

 

 

Non va certo
trascurato il fatto che il sistema
bancario italiano può essere visto come un
laboratorio di
innovazione, che fa dell’efficienza
e della redditività il proprio credo.

 

Tra le molteplici possibili chiavi di lettura, due sono quelle che quest’anno, a mio giudizio, si impongono all’attenzione e alla riflessione del lettore, scorrendo le dense pagine delle “Considerazioni Finali” del Governatore della Banca d’Italia: l’importanza dell’innovazione e il ruolo cruciale del sistema bancario nel riavvio del ciclo economico del Paese.
Quanto alla prima delle due, l’importanza dell’innovazione, al di là di una citazione che compare già nella prima riga di questo documento, evocandone i suoi aspetti funzionale, organizzativo e tecnico per il migliore adempimento dei compiti spettanti alla Banca Centrale, essa si conferma quale autentico filo d’Arianna indispensabile per far uscire l’Italia e gli altri Paesi occidentali dalle secche del ristagno economico.

In realtà, non si tratta di una semplice affermazione di principio ma di una documentata valutazione di risultanze. Si prenda, ad esempio, il raffronto tra l’area Euro e gli Usa, dove il favorevole andamento degli investimenti in informatica viene posto in cima all’elenco dei fattori giustificativi di un proseguimento nel ritmo sostenuto dell’attività produttiva di quella nazione. Ma in maniera ancor più netta l’innovazione viene chiamata in causa qualche pagina dopo, quando, analizzando la situazione italiana, si sottolinea come vi sia «una dipendenza dell’aumento della produttività totale dei fattori dall’intensità degli investimenti in nuove tecnologie e dal grado di esposizione internazionale». Un giudizio stilato sulla base di una ricerca econometrica e che era stato preceduto da due affermazioni probanti circa la riduzione del nostro peso reale nel commercio mondiale (con una quota dei prodotti italiani scesa a prezzi costanti dal 4,5% del 1995 al 3,9% del 1998, per poi approdare malinconicamente al 3,0% nel 2003) e circa la scarsezza di produzione di beni tecnologicamente avanzati, rimanendo purtroppo l’Italia ancorata a settori tradizionali e alle nicchie del lusso.
C’è, altresì, da aggiungere che in Italia il paradigma dell’innovazione trova reali difficoltà applicative a causa di una persistente frammentazione della struttura produttiva che rende complessa la via allo sviluppo tecnologico; una via che può essere percorsa solo «con l’impegno dei produttori, eventualmente attraverso consorzi di medie e piccole imprese e la collaborazione con i centri universitari di alto livello scientifico di cui il nostro Paese dispone». Con queste parole si gettano le basi e si delineano le condizioni di scenario per un nuovo modello di sviluppo della società italiana in cui l’industria deve ritrovare il suo ruolo propulsivo «contando sulle diffuse e vivaci capacità imprenditoriali e su un ricostituito rapporto di collaborazione con il sistema creditizio».

Già, le banche, la seconda chiave interpretativa; ad esse, come forse si ricorderà, anche lo scorso anno veniva riconosciuta dalla Banca d’Italia una funzione di leadership ora riconfermata e ancor più dettagliata nelle sue prerogative. Sorgono, pertanto, spontanei gli interrogativi sul perché di tanta insistenza nei confronti del sistema bancario e su quali sono i motivi giustificativi per questa rivendicazione di funzione. Innanzitutto, non va certo trascurato il fatto che il sistema bancario italiano può essere visto come un laboratorio di innovazione, in quanto negli ultimi anni «ha realizzato un processo di ristrutturazione e di riallocazione proprietaria di ampiezza comparabile a quella attuata, sia pure in un diverso contesto, negli anni Trenta». Un laboratorio di innovazione che comunque fa dell’efficienza e della redditività il proprio credo, sia nella riorganizzazione delle strutture aziendali con caratteristiche operative disomogenee, sia nella razionalizzazione dei diversi canali distributivi, sportelli, rete di promotori e canali telematici.

Ma, al di là di questi aspetti strutturali e morfologici, sono gli ambiti applicativi che altrettanto vistosamente qualificano il percorso compiuto dalle banche sui sentieri dell’innovazione. Non potendo soffermarci adeguatamente sulla loro totalità, ci si limiterà ad alcuni dei più significativi.
Si prenda in considerazione il versante dei rapporti tra banche e Internet. La rete delle reti ha da molto tempo catturato l’interesse delle banche, che inizialmente l’hanno utilizzata principalmente come veicolo di immagine (chi non ricorda i cosiddetti siti vetrina, dietro i quali c’era in effetti ben poca sostanza?). La situazione si è, peraltro, positivamente evoluta al punto che attualmente si riscontra su Internet una presenza pressoché completa dell’universo italiano delle banche in grado di offrire servizi informativi, così come almeno 9 banche su 10 sono in grado di competere nei servizi dispositivi. Minore, ma comunque ragguardevole (circa il 40%) risulta, infine, la percentuale di aziende bancarie che partecipano ad iniziative di e-commerce.
Dunque, il tema dell’e-banking, un tema trattato non molto tempo fa in questa stessa Rivista, si pone come autentica realtà innovativa del nostro Paese, propiziato probabilmente da alcuni fattori concorrenti: una maggiore convenienza comparata rispetto ai canali tradizionali (minori costi), un graduale ma costante cambiamento nei gusti e nelle preferenze del consumatore di prodotti finanziari e una favorevole evoluzione del quadro normativo. Su quest’ultimo fattore vale la pena di fare una breve digressione e di spendere qualche parola in più: infatti, dopo l’introduzione del riconoscimento del valore legale della firma elettronica, agli inizi di quest’anno in ottemperanza ad una direttiva europea del 2001 l’ordinamento italiano si è arricchito della figura della fatturazione elettronica. Ciò significherà, in prospettiva, favorire il trattamento automatico dell’intero ciclo commerciale e finanziario, ma soprattutto porre i due interlocutori del rapporto banca-impresa in grado di parlare un linguaggio articolato sui presupposti dell’efficienza, della semplificazione e della razionalizzazione.
Chiusa la parentesi sull’influsso della cornice normativa, torniamo all’utilizzo di Internet per sottolineare un dato rassicurante anche in proiezione futura, la sostanziale stabilità della percentuale di frodi su operazioni a distanza e di quella delle frodi sul totale delle operazioni svolte con carte di credito.

Il riferimento alle carte di credito schiude l’uscio ad un tema altrettanto sensibile all’innovazione, quello degli strumenti di pagamento. E’, infatti, sicuramente sintomatico che le carte di credito che hanno raggiunto quota 12,5 milioni di unità (con un incremento di 1 milione sull’anno precedente) hanno visto crescere la numerosità delle operazioni svolte su Internet (7,4%) a fronte di un aumento complessivo, ma minore, delle transazioni svolte (+4,4%).
Ma “il nuovo che avanza” non si limita a ciò: da un lato i bonifici su Internet risultano raddoppiati rispetto al 2002 e risultano aver toccato i 15 milioni di unità; dall’altro sembrano incontrare un favore crescente le operazioni di pagamento in rete effettuate con carte prepagate e moneta elettronica (oltre 60mila) con uno scatto di crescita veramente considerevole (queste operazioni si sono, infatti, quintuplicate!).
Questo trend positivo colpisce ancor di più se paragonato agli andamenti degli altri strumenti di pagamento: si registra, infatti, un arretramento nell’uso degli assegni e una marcata decelerazione per i prelievi di contante da ATM (per questi ultimi, finito l’effetto conversione lira/euro, la crescita è stata solo del 2,8%). Per completezza di quadro conoscitivo si ricorda che le carte di debito dal canto loro, pur rimanendo sui livelli del 2002 quanto a numerosità (sono 25 milioni gli esemplari in circolazione), hanno segnato una significativa crescita delle transazioni effettuate (+8% per complessivi 570 milioni di transazioni).
Se queste sono alcune delle credenziali in mano al sistema bancario sul fronte dell’innovazione, meglio si comprende allora perché Fazio riaffermi con vigore che «le banche, la loro iniziativa, la loro capacità di operare inserendosi in uno sforzo corale sono indispensabili per una nuova fase di sviluppo».

Il monito del Governatore si cala in uno scenario caratterizzato dalla ricerca e dalla definizione di regole chiare per tutti i protagonisti della vita sociale ed economica e per tutti i possibili spazi applicativi, a cominciare da un versante così delicato e altrettanto problematico quale il rapporto banca-impresa. In questa ottica consentire alle imprese di riappropriarsi del ruolo di motore centrale in un’economia tradizionalmente di trasformazione non si traduce soltanto in un miglioramento dei profitti per le singole entità, ma fa salire all’intero “sistema Paese” alcuni gradini nella difficile scala della competitività internazionale.
Ecco spiegato l’invito a «proiettarsi in un futuro che dovrà fondarsi su un insieme armonico di valori morali, di leggi, di strutture economiche che diano sostanza alle aspettative di quanti […] attendono un miglioramento delle loro condizioni di vita» 6. Condizione necessaria per creare un nuovo patto intergenerazionale dal quale dipendono le condizioni di progresso civile, sociale ed economico del Paese.

Ci fermiamo qui in questa lettura delle “Considerazioni Finali”, svolta sul sentiero dell’innovazione, che ci ha permesso attraverso le chiavi interpretative suggerite di cogliere la decisa volontà della Banca Centrale di indirizzare il Paese verso un nuovo modello di sviluppo.
Prima di concludere, però, può essere di conforto riscontrare altri segnali che vanno in questa stessa direzione: accenti simili a quelli del Governatore appaiono, infatti, anche nel discorso di insediamento del nuovo Presidente di Confindustria, così come la volontà di progredire insieme ha dato vita nello scorso mese di giugno ad un osservatorio permanente sui rapporti banca-impresa, risultato concreto di un tavolo di lavoro congiunto delle principali associazioni di categoria. Si è forse all’inizio di una nuova fase in cui il linguaggio e la volontà comuni appaiono sempre più indispensabili in un momento storico dove la dimensione europea sta compiendo dei passi in avanti essenziali, pungolando i singoli partecipanti ad atteggiamenti proattivi e non di mera partecipazione simbolica.
Se dunque Bruxelles chiama, è bene che Roma risponda adeguatamente: che sia finalmente la volta giusta perché un sogno affascinante, la creazione di un “sistema Paese”, si traduca in realtà tangibile?

 

   
   
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