Settembre 2004

Prospettive

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Innovare
in un mercato europeo
Innocenzo Cipolletta  
 
 

 

 

L’ Europa,
malgrado il suo enorme mercato
interno, è sempre
in attesa di una
ripresa che venga dall’estero con la speranza di
poterla agganciare attraverso l’export.

 

La ripresa economica in Europa ancora non si vede. Anche negli Stati Uniti si stenta ad uscire dalla recessione, anche se il tasso di crescita vi resta decisamente più elevato. Le differenze fra i due continenti sono evidenti, specie se si confrontano le evoluzioni degli ultimi dieci anni, durante i quali l’Europa ha avuto una crescita lenta, mentre gli Usa hanno conosciuto il decennio di massimo sviluppo dalla fine della seconda guerra mondiale.
Questa differenza di comportamenti ha suscitato molte analisi, che hanno individuato i punti di forza degli Stati Uniti, di volta in volta, nella flessibilità del mercato, nel minor peso dello Stato, nella crescita della produttività, nelle spese in ricerca e innovazione, nell’aumento della popolazione, nella capacità (vera o presunta) di gestire attivamente la politica economica. Da qui, una serie di suggerimenti all’Europa, volti generalmente a fare le necessarie “riforme” a livello nazionale per essere più competitiva o per poter agganciare la ripresa che gli Usa si apprestano a conoscere.

Resto convinto che i Paesi europei abbiano bisogno di riforme, ma dubito che il modello di crescita europea debba continuare ad essere quello delle competitività nazionali per poter agganciare la ripresa che altri Paesi si incaricheranno di avviare. L’Europa è (dal primo gennaio 2004) un continente con oltre 400 milioni di abitanti mediamente ricchi. Si tratta del più grande e più evoluto mercato di consumi e di investimenti esistente sul pianeta. Logica vorrebbe che questo mercato, assieme a quello Usa, fosse il traino della crescita mondiale, a cui si dovrebbero agganciare le economie dei Paesi in via di sviluppo. Questo grosso mercato di consumo dovrebbe essere capace di selezionare prodotti e servizi innovativi, grazie ai milioni di consumatori colti e sofisticati che lo caratterizzano. A sua volta questo mercato dovrebbe favorire la nascita e lo sviluppo di nuove imprese, capaci di soddisfare le esigenze di consumatori evoluti, e in grado quindi di essere sempre all’avanguardia dell’innovazione di prodotto e di processo. Le imprese europee avrebbero dunque il grande vantaggio di essere vicine al mercato più evoluto e potrebbero così battere la concorrenza delle imprese di altri mercati, le quali avrebbero “solo” il vantaggio dei minori costi di produzione e delle minori normative.
In questo processo ci sarebbe spazio per tutti. I Paesi di vecchia industrializzazione crescerebbero soprattutto grazie alla domanda interna sofisticata, che garantirebbe un vantaggio competitivo alle imprese e al lavoro nazionale (si pensi alla necessità di servizi evoluti necessari ai consumatori europei che devono essere forniti in situazione di prossimità e quindi che favoriscono il lavoro nazionale). I Paesi di nuova industrializzazione avrebbero ampi spazi di esportazione nelle produzioni più tradizionali e nelle componenti a minor valore aggiunto. I Paesi in via di sviluppo potrebbero inserirsi negli spazi via via lasciati liberi da quelli di nuova industrializzazione, posto che in essi si formerebbero diseconomie di scala e processi di emancipazione sociale con conseguenti aumenti dei costi di produzione.
Può sembrare un quadro troppo teorico, ma questo è stato il processo di sviluppo degli anni Cinquanta e Sessanta, quando i mercati maturi erano pochi (Stati Uniti, Regno Unito e poco più); l’Italia, assieme ad altre nazioni europee, era un Paese di nuova industrializzazione, e la maggior parte degli altri continenti erano un’area in via di sviluppo.

Perché tutto questo non avviene in Europa? Perché il mercato interno europeo non è stato ancora effettivamente realizzato e la domanda interna di consumo non riesce a crescere con quella libertà che serve a produrre innovazione. Infatti, i consumatori europei non riescono ad esprimere una domanda originale e moderna perché sono ostacolati da politiche di stampo corporativo che frenano la crescita quantitativa dei consumi e ne impediscono l’evoluzione qualitativa. La politica agricola europea carica sui consumatori il pesante costo dei sussidi, generando prezzi elevati nell’alimentazione che frenano altre spese di consumo. Lo stesso avviene per i servizi pubblici nazionali (elettricità, gas, trasporti aerei, ferrovie, ecc.), che sono protetti a livello nazionale e che assorbono risorse dei consumatori per consumi tradizionali non innovativi. Inoltre, gli Stati nazionali (o le Regioni) pretendono di fornire in regime di monopolio (o quasi) ai consumatori europei una quantità di servizi personali (sanità, istruzione, sport, spettacoli, ecc.) dai contenuti potenzialmente molto innovativi, finanziandoli con il sistema fiscale e sottraendoli perciò alla spinta innovativa del mercato.
In questa situazione, il consumatore europeo ha poca capacità di scelta, ha spesso un riferimento locale e, quindi, indirizza male il mercato, facendo venire meno quello stimolo all’innovazione che poi si può tradurre in capacità produttiva nazionale. Il risultato è che il consumatore europeo “importa” modelli di consumo elaborati in mercati più liberi e non esprime domanda autonoma.

E’ per questo che l’Europa, malgrado il suo enorme mercato interno, è sempre in attesa di una ripresa che venga dall’estero (dagli Usa o dalla Cina), con la speranza di poterla agganciare attraverso il meccanismo dell’export: da qui l’ossessione europea alla competitività, sebbene il Vecchio Continente abbia una bilancia commerciale con l’estero attiva da molto tempo e sia, perciò, già sufficientemente competitivo (nel senso tradizionale del termine). Ma questa volta sarà difficile che l’aggancio possa avvenire con l’intensità sperata, posto che la ripresa americana è in atto, ma di essa approfittano soprattutto le imprese statunitensi, proprio perché non si vuole che lo squilibrio nei conti con l’estero degli Usa cresca ulteriormente rappresentando una minaccia alla stabilità mondiale. Ed è per questo che l’Europa dovrebbe fare una riflessione seria su come rilanciare il mercato interno e dare così un contributo all’economia mondiale, come deve essere, dato il suo ruolo e peso, senza vagheggiare ipotesi di dazi nei confronti di Paesi che necessitano di crescere come e più di noi.

 

   
   
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