Settembre 2004

conti pubblici in europa e usa

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Sul filo del rasoio
Mario Sarcinelli  
 
 

 

 

Nemmeno i Paesi virtuosi si possono permettere di
legiferare tagli
di imposte, senza compromettere
lo stato di salute delle proprie
finanze.

 

Nella storia economica le inflazioni sono spesso riconducibili al disordine nelle pubbliche finanze, che si manifesta all’indomani di guerre attraverso un forte deficit e, ancor più, in un elevato debito pubblico. L’Europa non ha sofferto negli ultimi decenni d’inflazione a causa di guerre, ma per le crisi petrolifere e per la scarsa capacità di controllo della spesa. L’idea di una moneta comune, la lunga marcia per onorare i criteri di ammissione e il vincolo del Patto di stabilità e di crescita hanno in Eurolandia ridotto i disavanzi pubblici e impresso una tendenza negativa sino al 2003 al rapporto debito/Pil.
La guerra, che dagli anni Cinquanta a quelli Ottanta del secolo scorso sembrava essere stata esorcizzata dall’Europa, nel decennio successivo si è riaffacciata, prepotente e anche efferata, nei Balcani. Un’Europa disabituata a decidere su pace o guerra lasciò agli Stati Uniti di sciogliere il dilemma.
L’11 settembre 2001 sopravvenne a dichiarare un nuovo tipo di guerra, quella del terrorismo internazionale, frutto avvelenato dell’aumentata permeabilità delle frontiere, dell’accresciuta capacità d’informazione, del fanatismo che crede di sublimarsi nel martirio.
Da conflitto armato tra Stati, la guerra tende a diventare uno strumento per seminare terrore nella società civile da parte di gruppi incuranti della propria e, soprattutto, dell’altrui vita. L’11 marzo 2004 è venuto a ricordarci, a prescindere dalla matrice della strage di Madrid, che anche l’Europa è vulnerabile. Per reagire all’attacco subìto in casa propria, gli Stati Uniti hanno già combattuto due guerre che non si possono dire ancora concluse, assecondati solo in parte dall’Europa.
Quali effetti si sono avuti sulle pubbliche finanze in America? Quali sono da attendere in Eurolandia, alla luce anche della lentezza con la quale si continua a manifestare la ripresa congiunturale? Quali lezioni per Eurolandia e per l’Italia dal raffronto?

1) Gli Stati Uniti entrarono nel nuovo millennio con un avanzo di bilancio che, in una previsione estesa a un periodo di dieci anni, faceva ascendere a cifra molto elevata il gruzzolo da restituire ai contribuenti attraverso la riduzione delle imposte. Per ravvivare l’economia, che si trovava nella parte bassa del ciclo – il 2001 fu anno di recessione – e per tenere fede alle promesse elettorali, l’amministrazione americana propose e ottenne dal Congresso che gran parte dell’alleggerimento del carico fiscale andasse a vantaggio delle classi con reddito più elevato, anche se la prudenza dei parlamentari spinse non solo a ridurre l’ammontare del taglio, ma soprattutto a dichiarare temporanee le riduzioni. Ancora oggi il Presidente si sta battendo per renderle definitive.
L’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono richiese stanziamenti non solo per la protezione e la difesa interna, ma soprattutto per condurre le guerre in Afghanistan e in Iraq. Il congiunto operare delle riduzioni fiscali e dell’aumento delle spese per la difesa ha portato il bilancio in disavanzo; quest’ultimo si commisura al 5,1 per cento del Prodotto interno lordo. Già autorevoli voci hanno invitato a intraprendere sollecitamente azioni correttive per il timore che alto deficit e debole formazione di risparmio privato generino spiazzamento: l’inevitabile aumento dei tassi finirebbe col razionare o comunque ridurre la domanda di fondi del settore privato, mortificando la crescita. A rendere lo scenario più fosco contribuisce l’invecchiamento della popolazione, che negli anni a venire aumenterà le uscite della sicurezza sociale.
Se i mercati finanziari non hanno dato particolari segnali di preoccupazione a questo riguardo, la ragione probabilmente sta nel fatto che il Congresso ha già cominciato a porsi il problema di rientrare dal disavanzo.
Una risoluzione approvata di recente dal Senato americano richiede di ridurre a 202 miliardi di dollari il disavanzo nel 2009 dal livello stimato per quest’anno di 478 miliardi; allo stesso tempo, è stata approvata una nuova regola di spesa che condiziona nel prossimo quinquennio a una maggioranza di sessanta voti ogni proposta di riduzione fiscale, salvo che tagli nelle spese o aumenti in altre imposte non siano in grado di finanziarla.
Quest’ultima norma, non permettendo di rendere definitive le riduzioni d’imposta già in vigore, è avversata dall’amministrazione Bush. La riduzione delle imposte e le spese per la difesa e per la guerra, comunque, stanno rendendo il disavanzo federale più grave e più duraturo.

2) Nel 2003 il disavanzo pubblico in Eurolandia è salito dal 2,2 per cento del Prodotto interno lordo al 2,7 per cento, confermando le previsioni autunnali della Commissione; basti ricordare che Francia e Germania hanno raggiunto disavanzi del 4 per cento circa del Pil. Responsabile del deterioramento nelle pubbliche finanze l’anno passato è stato l’andamento congiunturale meno favorevole rispetto alle previsioni, in qualche caso troppo ottimistiche, il che ha attivato gli stabilizzatori automatici. Non va però sottaciuto che i previsti aggiustamenti di bilancio non sono stati attuati. Conseguentemente, per l’aggiunta della Francia sono oggi sei i Paesi che hanno un rapporto debito/Pil superiore al 60 per cento; per l’intera Eurolandia quel rapporto è passato dal 69,0 per cento al 70,2 per cento nel 2003. Per l’anno in corso, sempre in rapporto al Prodotto interno lordo, il disavanzo dovrebbe scendere al 2,4 per cento e il debito attestarsi al 70,1 per cento.
Nell’orizzonte dei programmi di stabilizzazione che arriva al 2006-2007 il bilancio non sarebbe pareggiato per circa l’1 per cento del Pil e il debito in termini dello stesso aggregato si ridurrebbe di poco. Paesi come l’Italia e il Lussemburgo potrebbero violare il limite del 3 per cento ove la congiuntura si rivelasse meno buona nel 2004 e nel 2005, ma nemmeno i Paesi virtuosi si possono permettere di legiferare tagli di imposte, non compensati da riduzioni di spese o da incrementi di altre tasse, senza compromettere lo stato di salute delle proprie finanze.
3) Un rapido confronto tra la situazione fiscale degli Stati Uniti e quella europea mette in luce che quest’ultima è in migliori condizioni. Tuttavia, gli Stati Uniti e gran parte dell’economia mondiale sono in forte sviluppo, mentre l’Europa langue. La guerra al terrorismo imporrà all’Europa di spendere di più per questa bisogna; ci si può permettere di seguire gli americani anche nella riduzione delle imposte per sollecitare una più robusta ripresa? Anche trascurando gli obblighi del Trattato di Maastricht e del Patto di stabilità e crescita, questa è un’opzione che non si può permettere un Paese come l’Italia, che ha ancora un rapporto debito/Pil del 106,2 per cento… Per giunta, stanno diventando insistenti le sollecitazioni alla Federal Reserve americana di aumentare i tassi, poiché l’abbondante liquidità sta facendo lievitare i valori degli asset; un nuovo ciclo di boom e bust sarebbe in gestazione. E’ probabile che la Federal Reserve attenda, almeno fino a novembre.

 

   
   
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