Settembre 2004

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Riparte
l’economia mondiale
Dominick Salvatore Economista italo-americano - Consulente ONU e FMI
 
 

 

 

La Cina prosegue nella sua crescita sfrenata: mai
in passato una grande nazione era riuscita
a crescere con questi ritmi per un periodo di tempo così lungo.

 

Negli Stati Uniti, economia di riferimento a livello mondiale, è scoppiata la ripresa. Dileguati gli ultimi timori di una perdurante recessione, dopo il drammatico attentato alle Torri Gemelle, gli Usa hanno ricominciato a produrre, a vendere, ad acquistare. E le prospettive di crescita non sembra debbano mutare. Il 2004 dovrebbe chiudersi con un progresso del Prodotto interno lordo pari al 4,6 per cento; per il 2005 è previsto un ulteriore balzo del 3,9 per cento.
Quattro le ragioni di questo successo: la politica monetaria espansiva, con i tassi d’interesse più bassi degli ultimi quarantacinque anni; la potentissima spinta fiscale (che da un surplus di bilancio dell’uno per cento rispetto al Pil nel 2001 ha portato a un deficit del cinque per cento nel 2003); il deprezzamento del dollaro (che stimola le esportazioni); e infine la produttività del lavoro, che continua a crescere grazie alla flessibilità e alle ristrutturazioni. Sono quattro pilastri che danno solidità a questa positiva ripresa. Quanto ai pericoli all’orizzonte, qualcuno evidenzia il rischio della ripresa inflazionistica, che potrebbe far crescere i tassi e rallentare la crescita. E poi c’è il deficit americano, non sostenibile nel lungo periodo. Ma non sono preoccupato per questi elementi.

Sul tema inflazione, i mercati esagerano la portata del pericolo, come avevano esagerato nel valutare la recessione nel 2002 e la deflazione nel 2003. Sul deficit lo stesso Presidente americano ha dichiarato che nel giro di quattro o cinque anni la crescita economica ne assorbirà una parte consistente, vale a dire circa la metà. C’è anche la questione del deficit commerciale, (pari a circa il cinque per cento del Prodotto interno lordo), dovuto soprattutto al fatto che la Cina non ha rivalutato ancora la sua moneta, cosa che tuttavia dovrebbe fare entro la fine di quest’anno. Infine, sta rientrando anche l’allarme per la crescita senza occupazione.

In Europa il tasso di sviluppo è decisamente meno robusto a confronto con quello statunitense. Le previsioni di crescita per i principali Paesi variano tra l’1,2 e l’1,8 per cento, e dovrebbero crescere fino al 2 per cento nel 2005. Sicuramente migliore è lo scenario che si prospetta per il Regno Unito: secondo gli esperti, già nel 2004 il Prodotto interno lordo britannico dovrebbe essere positivo per un 3,5 per cento.
Ci sono varie ragioni per cui l’Europa sta viaggiando a una velocità inferiore rispetto agli Stati Uniti: una politica monetaria meno espansiva (per paura dell’inflazione); una politica fiscale poco coraggiosa (anche se la Francia e la Germania hanno travalicato il rapporto tra il deficit e il Prodotto interno lordo previsto dal Trattato di Maastricht); e infine, l’apprezzamento dell’euro. Stime econometriche sostengono che le difficoltà delle esportazioni dovute al caro-euro riducono la crescita del Pil di circa mezzo punto. Anche le ristrutturazioni in atto non sono abbastanza solide. Nel 1990 il Prodotto interno lordo pro-capite con potere d’acquisto in Europa era quasi uguale a quello degli Stati Uniti; ai nostri giorni è pari soltanto al 76 per cento. Eppure, malgrado tutto questo, anche l’Europa sta crescendo.

Nel resto del mondo non mancano altri segnali abbastanza incoraggianti. Il Giappone dovrebbe chiudere il 2004 con una crescita pari al 3,2 per cento, trainato dal forte incremento delle esportazioni: dopo tredici anni di crisi, sembra dunque aver risolto i problemi della crescita. Soffre ancora, Tokyo, per i prestiti bancari non esigibili, mentre le famiglie continuano a risparmiare troppo, forse perché sono ancora incerte sul futuro; altrimenti, i risultati sarebbero addirittura superiori. La Cina prosegue nella sua crescita sfrenata, superiore agli otto punti percentuali. Mai in passato una grande nazione era riuscita a crescere con questi ritmi per un periodo di tempo così lungo.
Qualche problema di fondo permane, e ha proprio a che vedere con una crescita che sembra insostenibile e che sta causando un incremento dell’inflazione e possibili problemi con il settore bancario (dal quaranta al quarantacinque per cento dei prestiti non esigibili). Si tratta in ogni caso di questioni risolvibili, o in via di risoluzione attraverso la rivalutazione della moneta prevista per la fine dell’anno. Il prezzo delle materie prime in dollari è destinato a scendere, e pertanto anche il problema inflazionistico sarà praticamente risolto.
Restando nell’area asiatica, l’India conferma il tasso di sviluppo superiore al sei per cento (grazie in modo particolare alle esportazioni di software e di tecnologia di gran livello); per le altre Tigri asiatiche, la crescita varia tra il quattro e il cinque per cento. Per i Paesi del Centro e dell’Est Europa, le stime segnalano un progresso del Prodotto interno lordo tra il quattro e il 4,5 per cento. Bene anche la Russia, che crescerà quest’anno di circa cinque o sei punti percentuali (analoghe le stime per il 2005), affidando il suo sviluppo più all’export delle materie prime che non alle ristrutturazioni. Infine, l’America Latina registra tassi di sviluppo tra il tre e il quattro per cento, con l’Argentina prossima al cinque per cento. Molto meglio dello scorso anno, anche se non ancora abbastanza per i Paesi emergenti con alti tassi di incremento della popolazione.
Negli ultimi anni il Fondo monetario ha sempre dovuto rialzare le prospettive di crescita, e questo è successo anche di recente. Il sistema economico mondiale sta andando meglio del previsto e cresce più di quanto non abbia fatto nel 2003. Siamo davvero in una fase consolidata e generalizzata di ripresa.

 

   
   
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