Giugno 2004

Tra cinquecento e settecento

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Gli innovatori
Sergio Bello  
 
 

 

 

Tra Rinascimento
e Barocco si poté assistere ad una fioritura magnifica,
davvero
eccezionale,
di compositori
e di musicisti.

 

Da molti secoli in Puglia, e più precisamente a Taranto, c’erano state figure di primissimo piano, veri e propri geni musicali, scopritori di fatti ancora non del tutto esplorati, che ampia eco avrebbero ottenuto nelle epoche successive. Primo fra tutti, Archita; ma poi anche Filolao e Dinone: costoro offrirono un contributo notevole alla teoria della formazione musicale ellenica, dando corpo ai principii di Pitagora nello stabilire i vari rapporti numerici degli intervalli nei tre generi musicali diatonico, cromatico e infine enarmonico, con una particolare attenzione specialmente a quest’ultimo.
Ma fu più di chiunque Aristodemo, insieme con il suo allievo Cleonide, a portare al più alto livello e alla maggiore conoscenza la dottrina musicale greca, che in Magna Grecia ebbe sempre una notevole diffusione. Non meraviglia, pertanto, il fatto che gli autori pugliesi dei secoli seguenti abbiano potuto e saputo ben profittare di un’eredità antica e molto ricca, se è vero, com’è vero, che proprio la penisola salentina, insieme con la Sicilia e con la Calabria, abbia dato vita a quel triangolo mediterraneo che, come è stato già sottolineato, ha messo a disposizione la quasi totalità delle flessioni meliche, dei moduli ritmici e degli stilemi formali ai compositori di tutta l’Europa già a partire dal Medioevo, e fino a tutta l’epoca d’oro che va dal Cinquecento al Settecento.

E questo non accadeva per caso. In questa parte della Penisola, infatti, vivevano e operavano popolazioni italiche che avevano accolto e fatto proprie, nell’avvicendarsi delle diverse epoche, culture arabe e bizantine, culture turche e normanne e provenzali, e di esse si erano profondamente intrise, pur senza mai staccarsi dall’humus originario, del quale soprattutto si nutrirono, elaborandolo con schietta, spontanea semplicità. E questo fu fenomeno unico nel Vecchio Continente, e in particolare in quelle regioni rivierasche che, gravitando sul Mar Mediterraneo, avevano avuto rapporti culturali diretti e più costanti con l’Ellade.
Fu in particolare la lunga permanenza dei Bizantini nella parte meridionale della Puglia ad influenzare profondamente, intridendole anche della propria sensibilità artistica, le popolazioni salentine. E valga ad esempio il contesto della pittura basiliana, variamente diffusa, sparsa, ma presente in tutto il territorio, fino ai confini settentrionali dell’antica Messapia, ove fanno storia a sé, solo di recente rivalutata, le vere e proprie tebaidi diffuse tra Massafra e Mottola, e nelle città e paesi di quei circondari. Così come valgano le pareti affrescate in chiesette, eremi e grotte del versante costiero del Basso Adriatico, rifugi di monaci espulsi dal Vicino Oriente dall’Isaurico e dalle sue persecuzioni iconoclaste.
Così, dunque, tra Cinquecento e Settecento, vale a dire tra Rinascimento e Barocco, si poté assistere ad una fioritura magnifica, davvero eccezionale, di compositori, di musicisti le cui opere, sebbene ancora oggi ai più ignote o scarsamente conosciute, non sono davvero seconde ad altre, che sicuramente hanno conosciuto miglior fortuna. Lontananza della provincia dai centri propulsori dell’economia e dalle corti che potevano dispiegare opera di mecenatismo? Passione musicale coltivata sebbene fossero rare le figure dei committenti? Schiera di musicisti ed esecutori tutti in egual misura geniali, spiriti anticipatori ma dispersi fra aree della Penisola più disposte all’accoglienza e all’ascolto come affinamento dello spirito? Con ogni probabilità, tutte queste cose insieme, in diversa misura, ma per analoghi destini, che si proiettano fino ai nostri giorni.
Gli autori di polifonie, infatti, (dalle villanelle alla canzonetta, dai madrigali alle polifonie sacre), e quelli di musiche strumentali trovano tuttora poco spazio non soltanto nelle esecuzioni nelle sale da concerto, ma anche nei saggi, negli studi, nella valorizzazione critica e nella stessa filologia sperimentale, che pure da qualche tempo va tanto di moda. Tranne, ovviamente, in alcuni casi degni di gran lode. Eppure, come è stato scritto, si tratta di opere di notevole equilibrio contrappuntistico, di una freschezza immediata realizzata con raro gusto e con estrema linearità delle parti e con chiarezza delle melodie.

Limitandoci alla citazione di alcuni fra i tanti che contrassegnarono quest’epoca, dobbiamo ricordare almeno i leccesi Vincenzo Stella, Antonio Baseo e Pietro Migali, il casaranese Francesco Rigliaco, i copertinesi Bernardino Mega e Donato Antonio Ventura, il galatinese Pasquale Cafaro, il Malcarne di Montesardo, Benedetto Serafico di Nardò, Michele De Lipari di Gallipoli…
Insieme con altri, questi raffinatissimi compositori diedero lustro a un’epoca, la caratterizzarono con un’identità che il Salento non avrebbe realizzato più di uguale spessore e caratura. Sono i testimoni, oggi muti, di una civiltà come sintesi di culture emerse da comuni radici ellenico-mediterranee che senza dubbio influenzarono maestri continentali, tendenze musicali anche successive, soluzioni originali negli sviluppi della musica moderna.
Ragioni di più, tutte queste, per tornare a rileggere i loro spartiti, per far tornare d’attualità e rivalutare in fruitori sensibili e in ascoltatori appassionati un patrimonio unico, quanto negletto.

   
   
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