Giugno 2004

Lettere di Mario Luzi (prima parte)

Indietro
Caro D’Andrea
a.b  
 
 

 

 

Prima parte delle lettere spedite da Luzi a Ercole Ugo D’Andrea. Primo documento epistolare del luglio 1966. Non è dato sapere se ci fossero stati precedenti contatti. Sta di fatto che per dieci anni, fino al 1975, i due poeti corrispondono in terza persona. Quando passano al “tu”, gli argomenti trattati non riguardano più soltanto la poesia, ma anche vicende più strettamente personali, confessioni sulle proprie (di D’Andrea) condizioni psicologiche, sullo stato di salute, sugli alti e bassi che caratterizzavano l’alternarsi di momenti gioiosi o depressivi, richieste di consigli, di giudizi e anche di aiuto per la pubblicazione dei versi. Luzi è affettuosamente disponibile e sinceramente vicino alla sensibilità (e fragilità) del poeta. Ne scaturisce un sodalizio intellettuale e umano di grande caratura, un rapporto che non conosce interruzioni di sorta, al quale D’Andrea resta legato per tutta la vita come a un sicuro e prezioso punto di riferimento. a.b.

 

 

                                                                                                 Roma/Lucca 31.7.66

Caro D’Andrea,

grazie della sua cara lettera e dei suoi versi con tanto di dedica a me, versi arguti e seri, molto felici. Come gli altri del “Rosario”, nitidi nella precisione del momento e delle sue implicazioni possibili. Mi piacciono i poeti che partono da qualcosa di definibile, si fondano sul concreto per la loro esplorazione. Lei è di quelli. Peccato che qui dove sono non ho sotto mano il suo libro più recente che ora m’è venuta la mania di leggere.
Glie ne scriverò al mio ritorno a Firenze. Intanto abbia la mia amicizia e la simpatia che mi ha ispirato lei de visu e de scripto. Con i più cari saluti.
La ringrazio anche del ricordo vivo, animato, che ha pubblicato. Non mi dispiaccio davvero se sono come lei mi ha veduto.
Purtroppo la collana vallecchiosa è sospesa = soppressa.
“Nel magma” è stato ripubblicato con aggiunte da Garzanti. Scusi se da qui non posso provvedere a mandarglielo.

 


                                                                                                             10 dic. 1969
Caro D’Andrea,

ecco il topolino partorito dalla montagna, dalla montagna del silenzio e del ritardo. Lei non immagina la quantità di cose che si sono affastellate sul mio tavolo in questo periodo. Mentre lei ansiosamente aspettava e io lo sapevo e ne soffrivo.
Ho rivisto il suo libro attentamente, e mi è sembrato fitto, senza smagliature. Vecchio e nuovo, così, vanno d’accordo… Non interpolerei altro, e non vedo la necessità di togliere niente.
L’ipoteca posta da Betocchi è indubbiamente forte; ma la scelta del modello – del resto tutt’altro che ovvio – dovrebbe essere significativa e non casuale. In questa convinzione ho steso la mia nota che non scende in particolari e non fa questioni letterarie, cerca piuttosto di indicare il senso del suo vivere e fare. Approssimativamente, d’accordo. Ma è, appunto, un invito al lettore, e non una definizione.
Mi dica sinceramente se ne è soddisfatto.
Intanto abbia i più cari saluti e auguri.

LA NOTA CRITICA
L’endiadi umanistica “ozi e negozi” rimanda alla classica condizione d’isolamento che l’intellettuale di provincia ha talvolta subito, talaltra accettato con compiacenza. Il giovane poeta Ercole Ugo D’Andrea l’ha fatta maliziosamente prevalere su ogni altra neutrale dicitura che sarebbe possibile applicare al suo lavoro poetico. Forse, dentro di sé, egli crede e non crede che quella condizione di provinciale gli competa, il suo microcosmo domestico perduto nel Salento può dargli o rifiutargli tale convincimento. In ogni caso egli l’ha assunta come propria con arguzia e amarezza come dimostrano alcuni indirizzi a poeti cittadini che battono appunto sul sentimento della propria differenza.
E’ qualcosa di più che una mite schermaglia, per così dire, sociale con i suoi bravi riflessi psicologici. D’Andrea è ben consapevole d’aver tradotto quella sua condizione di “a parte” in un positivo, e cioè in un dimesso ma fervido modo di essere e di stare al mondo, a cui non manca, beninteso, il raccordo amareggiato con la tumultuaria contemporaneità. Difatti nei suoi ozi non meno che nei suoi negozi la poesia di D’Andrea ha i movimenti affrettati e la buona lena di un’ape faccendiera al servizio della sua anima, e non a prepararle il miele dell’idillio ma a fornirle l’alimento giornaliero della giustificazione. Una parola grossa che conviene poco, lo ammetto, alla betocchiana modestia del suo discorrere, ma la sostanza è quella: di una quotidiana messa a punto, intendo, della pretesa di essere uomo e poeta. Giustificarsi davanti a che cosa? Non so molto della metafisica di D’Andrea; poco più di ciò che lascia supporre questo esercizio di auto-demistificazione. Più sicuro sono invece del senso di dissipazione che egli deve continuamente scontare di fronte alla semplicità fondamentale della madre – umile e toccante presenza oltre che archetipo di questo affabile breviario.
E’, tra i tanti oggi in corso, un modo abbastanza poco comune di rimettere in discussione la poesia e la sua legittimità: dalla parte della coscienza, del sottinteso rimorso: e nella persuasione della povertà che la può riscattare con tristezza e allegria. Così essa vince, parlandone, le sue inibizioni e diventa un elemento quotidiano di vita prima di finire nelle secche di un problema insolubile.

 


 

                                                                                                                        1970
Caro D’Andrea,

grazie della sua lettera, affettuosa come sempre. L’ho ricevuta a Urbino dove sono rimasto fino alla fine di luglio: ci tornerò, credo, nella seconda metà di agosto. Spero frattanto che la sua vacanza alpina le dia serenità e forza. Ne occorrono, ne occorrono in questo tempo logorante e mortificante.
Ho pensato anch’io al destino dei suoi “ozi e negozi”. Cappini non si occupa più dei “Segni” (d’altronde esili quaderni) ma ha in mente un’altra iniziativa più autonoma. Se prende consistenza, gli farò la proposta. Vedrà, in ogni caso, che da qualche parte si aprirà uno spiraglio: non si tormenti per questo. Cerchi invece di riflettere e di lavorare in semplicità, in verità – quel tanto che la parola ci si addice.
L’opium chrétien è uno scritto molto giovanile. Non l’ha stampato Garzanti, ma Guanda. Lo ripresi una dozzina di anni or sono per un volume dello stesso Guanda dal titolo “La Generazione Napoleonica”. Non credo si trovi più. Ma io ne ho alcune copie. Quando passerà da Firenze glie la darò. Buon lavoro, buon riposo, buona estate, insomma, caro D’Andrea.

 


                                                                                                      Firenze, 4 feb. 72
Caro D’Andrea,

grazie della lettera, ancora una volta così premurosa. Non dia troppa importanza alla “improprietà” della serata leccese. Del resto non ci fu. Mi sono abituato a pensare al dialogo anche come scontro – credo di averlo dimostrato. Non ero dunque troppo fuori dal mio elemento.
Ho letto il suo poemetto. C’è una evidente evoluzione, il tentativo di captare altri modi possibili di esistenza e di giudizio, l’alternativa insomma. Affiorano cose e tensioni non dette prima. Interessante. Per il mio gusto manca forse una adeguata messa a fuoco su situazioni o figure o tempi riconoscibili e determinanti. Comunque è un nuovo avvio.
Quanto al suo libro, beh mi pare che la cosa più sensata sia eliminare il disaccordo con Macrì e legittimarlo pubblicamente così com’è. E’ ridicolo impuntarsi su questioni di forma in un momento come questo in cui tutto è difficile. Aspetti un po’ e vedrà che ho ragione. Mi saluti sua madre e abbia un caro ricordo.


                                                                                                            3 marzo 1973
Caro D’Andrea,

mi pareva di averle detto che il mese di febbraio lo avrei passato quasi tutto in viaggio tra Amburgo, Nimega, Amsterdam, Copenaghen, Stoccolma. Così infatti è stato: sono partito il 12 e rientrato il 28: un bel viaggio, abbastanza vivace, con qualche incontro piacevole. Questo le spiega le mie mancate risposte.
E le sue lettere erano così trivellate nella sua realtà-mito… Belle davvero, specialmente l’ultima ricevuta stamani.
Sono contento che Lisi abbia potuto parlare con Enrico Vallecchi e l’abbia trovato ben disposto. Ben volentieri ci metterò anche io la mia parola. La maggiore difficoltà è di rintracciare l’uomo – ma cercherò di superarla. Non ho ancora visto Oreste, ma non credo si sottragga al dovere…
Si goda ora la primavera salentina che dovrebbe essere imminente o già esplosa… E arrivederci presto, a Pasqua, se il suo programma regge, come mi auguro. Affettuosamente.

 


                                                                                                             11 aprile ’73
Caro D’Andrea,

sì, parlai con Enrico Vallecchi il quale non sembrò opporre difficoltà. A questo punto il meglio sarebbe che Macrì presentasse senz’altro il libro.
Sarei proprio contento che la cosa si risolvesse presto. Per il resto nessuna bella novità: e il quotidiano è quello che è, tutto da vivere e mai da giudicare.
Le auguro buon lavoro, buoni negozi e buoni ozi, in attesa di rivederla presto.

 

                                                                                                            16 maggio 73
Caro D’Andrea,

sì, ho ricevuto le sue cartoline e la sua lettera. Stia tranquillo. Ho parlato con Oreste e anche lui aveva parlato con Enrico Vallecchi ricevendo la stessa assicurazione che il libro si farà.
Le auguro una stagione distesa, concreta: non ne sono date molte. Si offra al bene che ha, qualunque esso sia, senza retropensieri: le sue crisi passeranno. Con i più cari saluti anche per la sua famiglia.
Grazie per la correzione delle bozze.

 

                                                                                                                 18 dic. 73
Caro D’Andrea,
grazie della lunga lettera che mi ha doppiamente allietato: per l’affetto che conserva per me e per la sveglia serenità, l’equilibrio dall’apparenza sornione ma in realtà conscio e saggio che rivela.
Il suo libro l’ho visto in casa di Renzo Ricchi. Sarei contento di averlo dalle sue mani, ma temo che nelle vacanze natalizie non ci vedremo perché martedì 27 partirò e non tornerò che il 3 o il 4 gennaio.
In questa prospettiva allontanata spero che E. Vallecchi me lo mandi direttamente. E intanto vorrei arrivare in tempo a farle i più cari auguri anche per sua madre e suo padre. Affettuosamente.

 

                                                                                                                    28.1.74
Caro D’Andrea,

grazie del suo costante ricordo, grazie delle parole di suo fratello (simpaticissimo), grazie della buona lettera dei suoi alunni ai quali ieri ho risposto.
La sua vita che li ascolta stillare goccia dopo goccia mi piace, mi sembra persino invidiabile viste le consonanze che riesce a creare.
Non posso scriverle più a lungo come vorrei perché ho una massa di faccende prima della partenza per l’America (che sarà il 4). Lo farò al ritorno.
Intanto sì, mandi il libro a Bo e a Pampaloni ma non si aspetti molto… sono distratti e oberati. Piuttosto mandi ad Alberico Sala (Corriere della Sera e a qualcuno della “Fiera Letteraria”… a meno che per questo giornale non provveda Ramat). Mandi anche a Sergio Sulci direttore del Bimestre. Se mi verrà in mente qualche altro destinatario attendibile glie lo segnalerò (ah, Aldo Rossi presso l’Approdo).
E cari saluti a lei, a suo fratello e a tutti i suoi. Un abbraccio.

 

                                                                                                   Firenze 27 genn. 74
Cari amici della 1 D,

è molto bello, è la cosa più bella di tutte, per uno che scrive poesie o anche prose sapere che qualcuno ha ricevuto e accolto le sue parole. Ancora più bello quando questo qualcuno prende i connotati vivi di un ragazzo o di una scolaresca.
I ragazzi sono pietre di paragone incomparabili, pulite, integre: hanno dalla loro la forza della vita e dell’intelligenza crescenti e nient’altro. Anche i poeti sono forniti di quelle sole doti: lo stare al mondo con forza e l’ansia di capirlo sempre meglio, più a fondo. Per questo i poeti guardano con amore ai ragazzi e vorrebbero esserne amati e compresi. La forma, la costruzione di una poesia sono qualche volta difficili, ma non importa. I ragazzi ricevono la sostanza, la vita che c’è dentro. Se non si oppongono (come fanno gli adulti spesso per loro superbia e presunzione) quella sostanza e quella vita continuano a fermentare dentro di essi.
Vedo, dalle parole di Maurizio Colazzo, che avete capito perfettamente in quello che c’era da capire la poesia che avete studiato. Il merito, certo, è in gran parte del vostro professore che è un poeta anche lui ed è quindi molto vicino a voi. E’ bravo, mi vuole bene e forse travede sulla mia bravura, ponendomi più in alto di quanto io meriti. Ma anche questo non importa. Importa solo che circoli qualcosa di vero e di puro tra voi, ragazzi, e tra voi e lui, e tra voi lui e me e gli altri poeti che vi insegna a leggere.
Grazie dunque a tutti dal primo all’ultimo (in ordine alfabetico) che siete nella simpatica 1 D. Mi piacerebbe, certo, venire a trovarvi. E chi sa? Per adesso devo andare in America. Al ritorno per prima cosa vi manderò un libro e, se la trovo, una foto, come desiderate. A presto.


                                                                                                               19 aprile 74
Caro D’Andrea,

ho ricevuto le sue lettere romane e non so dove si trovi adesso. Ancora a Roma, già rientrato a casa – e con che animo? Lei parla della malattia di suo padre come di un evento sospeso sul capo che vivete ciascuno a modo proprio e tutti insieme. Sì, accade così fino a un punto che ingorga tutti simultaneamente. Ma spero che questo non sia detto né scritto. Mi sono affezionato a suo padre e a sua madre senza conoscerli, per trasmissione di carità filiale. Quindi ti sono molto vicino.
Non ricordo se ci siamo più sentiti dopo il mio ritorno dall’America. Sono poi stato travolto da lavori e impegni rimasti indietro. Fino alla fine di maggio sarà una danza del ventre. Speriamo poi in un’estate di ozi con pochi negozi. Ma…
Venire in Puglia per questa stagione è impossibile. Ma la prossima, lo prometto. Non ho dimenticato la sua simpatica classe a cui devo intanto il libro e la foto. E non ho dimenticato il piacere che mi potrebbe venire dallo stare qualche giorno con lei e gli altri amici, una volta che anche le sue cose familiari si siano messe al meglio, come le auguro fraternamente. Un abbraccio.

 


                                                                                                             10 giugno 74
Caro D’Andrea,

sono lieto delle sue ultime notizie. La prego di dare a suo padre il ben tornato anche da parte mia. La prego anche di scusarmi per i miei silenzi che non sono dimenticanza o indifferenza ma impossibilità pura e semplice di sbrogliarmela fra tanti impegni cretini e prevaricatori. Veramente tutto in questo tempo diventa sopruso. Che cosa rimane se non una misera opacità dell’animo, un’ottusità risentita?… Caro Ercole Ugo: j’ai honte de me connaitre en l’état où je suis, come dice Racine.
Ma i suoi “ozi” come li invidio; e, sì, anche i “negozi” condotti in quel bulinare del pensiero su materiali costanti, non ingannevoli, senza surrogato, prodotti dalla casa, dal paese com’è, dall’invincibile rus.
Tra l’altro, mentre la terrazza fioriva e non potevo neppure riceverne l’occhiata solare, ero lì al chiuso a correggere bozze di versi, bozze di una antologia di me stesso fatta per i pockets di Garzanti, bozze di una ristampa di Ipazia, provvedendo frattanto ad altre richieste con la testa risuonante di parole mie, già dette, usate… Orrore!
Così ho anche tralasciato di mandare alla I D il libro e la foto. Glie la spedirò domani, anche se è tardi. Forse lei saprà rimediare. Grazie e mi voglia bene lo stesso.

 


                                                                                                                    26 8 74
Caro D’Andrea,

chi sa se questa la troverà ancora a Civitella. Il fatto è che trovo la sua cartolina a un mio passaggio da Firenze mentre sto spostandomi da Castagneto Carducci a Urbino. Vi resterò fino alla fine del mese o ai primi.
Spero abbia passato buoni mesi estivi, meglio di me che per la stanchezza accumulata non ho né lavorato né riposato.
Mi saluti i suoi (tutti) e abbia un caro saluto in previsione di rivederla presto.

 


                                                                                                              11 luglio 75
Caro D’Andrea,

le sue ricadute mi addolorano e mi comunicano una certa inquietudine, tanto più che non mi hai mai bene spiegato se hanno un corrispettivo clinico o neurologico obbiettivo. Ma anche se dovesse esserci (e mi auguro di nessuna gravità, perfettamente curabile) propendo a credere che esista uno squilibrio, una disarmonia o asfissia vitale in lei. Ritorni, forse impietosamente, su quanto le scrissi l’anno scorso. Deve fare pur qualcosa per attuarsi come uomo che vive perché in lei, è evidente, non c’è solo isolamento e magari ascesi e introspezione di essi, c’è anche vitalità e appetito sfibrati e sfibranti per mancanza-rinunzia (reciprocamente). Parlo naturalmente di cose fondamentali e semplici che immettono davvero nel vivente, lei mi capisce.
Anche le sue ultime lettere mi fanno vedere che lei chiede troppo alla letteratura e pure alla vita. E anche la letteratura è un universo in cui bisogna entrare con il respiro affrettato per le cose fatte e da fare perché possa rispondere non astrattamente. Anche lì c’è un confronto, un urto.
Questo che le dico potrà apparire grossolano, ma sento che è questo che devo dirle, more ingrato.
Non ho ricevuto l’Albero ma ho visto in casa Bilenchi le sue poesie, e specialmente il colloquio che riesce a tenere con me. Glie ne sono grato.
Io sono in partenza per Urbino dove resterò fino al 29-30. Non sarò qui il 20, dunque: e temo non troverà nessuno. Non le converrebbe spostare ad autunno? Mi dispiacerebbe che lei venisse e non ci potessimo incontrare.
Riprenda animo e terra e mi scriva ancora. Mi ricordi al simpaticissimo fratello e ai genitori.


                                                                                                                 1 nov. 75
Caro Ugo Ercole,

chi sa che cosa dirai di me, del mio silenzio, di cui mi vergogno e arrossisco. Il fatto è che sono stato preso in un vortice dissennato di lavori da fare. Tra l’altro, una difficile conferenza sul Boccaccio, autore mal noto e poco congeniale, ha comportato letture, fatica, e in più un viaggio in Olanda, che è però sempre una bella divagazione. Eccomi di ritorno oggi 1 nov. Alle ore 19.
Rientro nei miei pensieri ordinari: e, come vedi, tra questi ci sei tu, lasciato a Urbino ma mai perduto di “forza”. Spero che il beneficio di quella sortita perduri ancora e ti sia rafforzato nel tuo equilibrio, tra lavoro, affetti, memorie e speranze.
Ricevetti il fascicolo delle tue poesie che nell’insieme rappresentano bene il tuo stato attuale, il punto, voglio dire, della tua evoluzione: un discorso che si allarga su un epicentro che resta fedele. Ne scrissi a Forti aspettando a mandargliele che mi desse il suo assenso perché non volevo rimanessero in una generica “riserva”. Per ora non ho avuto risposta. Se tarda, tornerò alla carica. Intanto tu non fissarti su quell’aspettativa ma pensa a cose nuove da fare, e a quelle insostituibili da dire. E sii ben disposto verso lo stillicidio quotidiano, le alternanze écoeurantes che sono un gran nutrimento. Ricordami ai tuoi. A te un abbraccio.


                                                                                                               24 nov. 75
Caro Ercole Ugo,

mi scrive Forti che ha già completi i due prossimi numeri dell’Almanacco. Dovresti quindi aspettare in ogni caso un paio d’anni. Dimmi se è opportuno inoltrare le tue poesie in queste circostanze o se è meglio trovare nel frattempo altra collocazione.
Ti sento sereno e intimamente fortificato anche di fronte alle nuove preoccupazioni familiari. Ti sento disposto a nutrirti di tutto ciò che ci viene sia o non sia il giusto della vita. E così, caro Ugo, così va bene.
Abbiamo perso il nostro Nicola Lisi, dileguatosi molto lisianamente, nella solarità, credo.
A Natale credo che sarò qui sebbene mia sorella mi reclami a Torino. Ti dirò più precisamente in seguito. Frattanto abbi fraterni auguri per il tuo babbo e ricordami vicino anche a tuo fratello. Ti abbraccio.

 

 

                                                                                                                   7 dic. 75
Caro Ugo,

ti abbraccio fraternamente insieme ai tuoi. Sono eventi grandi e necessari; dolori, ma santi. Tu hai il bene di viverli in tutta la loro portata, in tutto il loro integro significato nel vivo di un grumo di sentimenti familiari, più ancora, creaturali. Sono certo che sei all’altezza di ciò che si compie.
Ero in debito di una lettera con te, per dirti quanto (di più) mi sono piaciute le tue ultime poesie, quella nuova maturità. Presentimento tuo e mio?
Parleremo di ogni altro problema quando verrai. Sarò quasi sicuramente a Firenze, salvo forse qualche giorno.Di’ a tua madre e a tuo fratello che sono dei vostri.

 

                                                                                                                2 luglio 76
Caro Ercole Ugo,

ho parlato di persona con Marco Forti chiedendogli attenzione per le tue poesie che dovrebbero nell’insieme spiccare come un bel grappolo. Mi ha assicurato che le leggerà con cura particolare quando, insieme con altri, procederà all’allestimento del nuovo numero – ma non so bene che cosa intendesse per “nuovo” dal momento che aveva detto, alcuni mesi or sono, che ne aveva due già pronti: e uno è forse quello che hai già visto e mi hai regalato. Aspettiamo dunque e speriamo.
Io non ho ancora fatto un programma per l’estate. Ma verso il 15 andrò da qualche parte, forse in Maremma. A Urbino sarò dopo ferragosto per circa due settimane. Ho voglia di vita elementare, di semplicità, di analfabetismo vero.
Sta’ bene e svagati un po’ anche tu. Ricordami a tua madre e a tuo fratello. Un abbraccio.

 


                                                                                                                19 sett, 76
Caro Ercole Ugo,

ho avuto pochissimi ozi e moltissimi inutili negozi una volta uscito da Urbino, ma ho pensato continuamente a te mentre le tue lettere e cartoline mi rassicuravano. Del resto non ero, a dire il vero, molto preoccupato, se mai dispiaciuto. La tua vulnerabilità è superficiale, non incide a fondo nella tua salute psichica; ora te ne sei reso conto anche tu: e ho visto con piacere con quanta calma sopportavi il breve incidente. Rimango dell’opinione che, stabilitasi la tua esistenza in un assetto diverso o permanendo, ma consciamente e per convinzione, in quello che hai adesso, il tuo equilibrio si rafforzerà e queste turbe scompariranno o non avranno più importanza dei tics che, più o meno manifesti, tutti ci portiamo. Pensa per contro a un’esistenza che non avesse di quando in quando la crisi della sua riprova… che orrore e squallore! Il bene della vita, se lo è e perché non dovrebbe?, si esalta dalle sue eclissi. Immagino sia un bellissimo settembre lì nel Salento. Qui si è un po’ rimesso al bello e ieri ho visitato il Mugello con grande piacere. Salutami tua madre e Aurelio. A te un abbraccio.

 

                                                                                                                 12 dic. 76
Caro Ercole,

aspettavo la tua seconda lettera. La prima, anche se immaginavo le condizioni in cui l’avevi scritta, la rifiutavo. Non voglio darti troppa corda su questo argomento, non voglio concorrere al piccolo presepe di morbidezze che rischia di ergersi intorno a te fino ad averne tu seminconsciamente bisogno. Le tue faccende non sono trascurabili, sono anzi serie, ma non gravi. Grave è la tua dolce-afflitta deriva verso la culla – preziosa, certo – in cui sarai vegliato, non rinunziando neppure ai più banali e distruttivi degli “otia” del borgo e del cul de sac della provincia.
Devi fare qualcosa. Ora te l’ha detto anche il medico. Intraprendere un lavoro vero e proprio, imprimere un corso alla tua esistenza. La tua sensibilità e la tua salute, così intrecciate del resto, ti faranno soffrire forse per sempre. Ma la tua energia sarà reclamata da altro che dalla tua sofferenza, non andrà a rifluirvi moltiplicandola. E poi c’è un problema di giustificazione, mistificazione di te, spero tu mi capisca, a cui non puoi essere sordo. Coraggio! Muoviti. Con molto affetto.
                                                                                                           (1 – continua)

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2004