Resta difficile
stabilire quando
i risparmiatori
ritengono di avere toccato il fondo, quando il livello d’indignazione
supera il livello
di tolleranza.
|
|
“E mo’ murimme se nu n’accitene”. Questo
grido di dolore dei risparmiatori meridionali riflette l’incubo
senza frontiere di milioni di risparmiatori di fronte al gigantesco
default dell’economia reale, alla inadeguatezza delle
regole e delle procedure che governano la moderna economia di mercato.
«E’ difficile liberare la pulce dalla tela del ragno»,
recita un vecchio proverbio libanese.
Col pensiero all’Europa citiamo i casi emblematici a noi più
vicini: Cirio, Parmalat, Vivendi, Credit Lyonnais. Senza dimenticare
che una buona metà dei crac finanziari europei degli ultimi
anni sono concentrati in Gran Bretagna (ne sono stati contati 34:
tra tutti, ricordiamo quello della Bank of Credit and Commerce International),
che non a caso ha adottato, primo Paese in Europa, una nuova disciplina
statale della vigilanza, concentrando i poteri nella “Financial
Services Authority”. Anche gli Stati Uniti hanno avuto la
loro valle di lacrime, con i casi Enron, Tyco, WorldCom tra i più
devastanti.
Le certezze della globalizzazione diventano all’improvviso
ansie, cefalee, pensieri cupi, passioni spente. Crollano importanti
santuari della finanza mettendo in evidenza i guasti delle economie
non governate e dunque più esposte al cleptocapitalismo.
Il sistema sfiora la crisi per implosione, non per un proditorio
attacco no global, ma per un tenebroso mosaico composto da molti
omissis. I missionari della globalizzazione continuano intanto a
proporre percorsi di sviluppo incardinati sulla rete mediatica e
sulle autostrade informatiche.
In questo contesto il differenziale tra regole e sregolatezza si
accorcia e l’ottimismo che muove i mercati non riesce più
a scaldare il cuore dei risparmiatori-investitori. Si accentuano
in modo esponenziale le differenze di reddito, creando un esercito
di Linus (noto personaggio pieno di dubbi amletici) in marcia verso
l’emarginazione.
Ovviamente si aprono nuovi scenari di potere, le furbizie quaresimali
“ex cathedra” si sprecano, senza trovare lo statista
della povera gente. I politici diventano efficienti quando guardano
nel giardino dei privati, ma non dimostrano la stessa solerzia per
il giardino pubblico di cui sono direttamente responsabili (in due
secoli le crisi finanziarie più devastanti sono state prodotte
dall’eccessivo indebitamento dei governi).
E’ sufficiente un tintinnio di manette o uno stormir di fronde
per dare vita ad un flash back rooseveltiano, ad un fermento
legislativo stile anni Trenta, animato da una nuova ondata di moralismo
giustizialista. L’ideologia del capitalismo globale suggerisce
sempre nuovi itinerari all’ingegneria finanziaria e dunque
la produzione inevitabile di bubbole e junk bond (titoli
spazzatura). Non si può vanificare il fascino del rischio
connesso alla speculazione. Questo fattore di incertezza dell’economia
di mercato crea sempre emozioni nuove con molti misteri e porta
gli attori della finanza a vivere sospesi tra realtà e fumetto.
Il cittadino-risparmiatore finisce per sottoporre ad ipnosi la sua
percezione, affascinato dai geni affabulatori usciti dalla bottiglia
dei miracoli. Diventa una canna al vento nel giardino incantato,
abbagliato dalla rumba delle offerte allettanti che demolisce ogni
baluardo del buonsenso borghese.
Adesso si cercano nuove briglie di controllo per un mercato che
ha la tendenza a collezionare storie di ordinaria follia. Questa
paura formidabile suggerisce qualche buona lettura di neuro-economia.
Oltre le “pasquinate” ricorrenti ha creato una nuova
parola d’ordine: amici liberal di tutto il mondo, unitevi
ed evitate che l’inquietudine del risparmiatore diventi beffa
sociale e danno economico.
Non potendo regolamentare le emozioni, i politici pensano di intervenire
a monte, sul versante dell’offerta-titoli e sul controllo
del sistema finanziario. Applicando rigorosamente e scientificamente
la logica dello scimpanzè: non mollare mai un ramo se non
ne hai afferrato bene un altro. E nel segno di un approccio riduttivo
e schematico con il mito dello Stato etico danno vita alla lotta
tra poteri e contropoteri in pieno svolgimento.
A noi preme spostare l’obiettivo della cinepresa, dando più
voce al risparmiatore e alle sue associazioni, incominciando a rivendicare
diritti di inclusione nella gestione societaria (ad esempio, nel
collegio sindacale) e più in generale nei servizi di controllo
interno, ivi incluse le società di certificazione che operano
nelle aziende. Si fa ancora fatica ad istituzionalizzare questa
esigenza quando ormai dovrebbe risultare palese che i criteri del
rendimento e della produzione di valore (sottintendono sempre una
discrezionalità operativa assoluta dei manager) devono fare
un passo indietro rispetto alla primaria funzione sociale degli
impieghi. A questo proposito s’ispira anche la necessità
di dare maggiore rappresentanza e tutela ai diritti dei soci di
minoranza negli organi sociali (segnalazioni in tal senso vengono
dall’Ocse). Per i risarcimenti ai risparmiatori italiani in
sofferenza un utile contributo può venire dal progetto governativo
che intende introdurre la class action nel nostro ordinamento (istituto
largamente utilizzato negli Usa). L’azione collettiva dovrebbe
sostituire l’azione singola nelle fattispecie in cui il danno
è unico, abbattendo tempi e costi processuali (un raro esempio
di attenzione vera ai temi della giustizia, se i lavori preparatori
vengono assolti in tempi rapidi).
Qualche altra cosa si può dire a proposito degli strumenti
di finanziamento dell’impresa. Fino agli anni Settanta, il
dialogo banca-impresa aveva contenuti dialettici strutturati secondo
canoni di reciproca fiducia, anche se in termini operativi risultava
confermata in molti casi l’eccessiva dipendenza dell’impresa
dal sistema bancocentrico (il caso italiano è tra questi,
con un capitalismo dipendente dal credito e un credito sotto plagio
politico). Con l’avvento della finanza creativa l’approccio
meramente speculativo si è accresciuto di opportunità
su entrambi i fronti (banca e impresa), introducendo nel sistema
canali di finanziamento per così dire “intelligenti”.
Il ricorso a prodotti innovativi a rischio elevato ha alterato (e
poi fatto saltare) i tradizionali plafond amministrativi
di garanzia e di deontologia professionale. In Italia eravamo assuefatti
alle picconate di Tangentopoli, adesso scopriamo le malefatte di
Bancopoli, le picconate devastanti prodotte da imprenditori, finanzieri
e revisori. E’ sotto accusa un’idea “garibaldina”
di fare impresa, anche se l’amplificazione delle emozioni
ha creato un clima da caccia alle streghe che stimola, per dirla
con Leopardi, la voglia di «gettare i morti in faccia ai vivi».
Paura e paralisi regnano sovrane nell’attività d’intermediazione.
Sorprende in particolare l’atteggiamento passivo delle banche
italiane, che dovrebbero svolgere un ruolo decisivo nel ripristinare
il volano della fiducia (istituendo, ad esempio, un fondo per iniettare
liquidità nel mercato delle obbligazioni, il più sofferente
in questo momento).
Sulla crisi di fiducia s’innesta anche la complessa problematica
dei controlli interni ed esterni all’impresa e di una nuova
disciplina di garanzie per la gestione del risparmio. E’ poco
realistica una purificazione affidata all’inasprimento di
sanzioni e responsabilità codificate a carico di intermediari
e manager, cioè l’idea di una difesa del risparmio
affidata alla via legislativa, con appendice giudiziaria. Nello
stagno dei veleni (gli appestati di oggi sono i manager-modello
di ieri), il rischio più grave è che la solitudine
sociale faccia crescere il tasso della solitudine politica. Più
che di categorie giuridiche si avverte il bisogno di un “manuale
operativo” centrato sull’etica della responsabilità,
lungo tutta la filiera degli attori che a vario titolo muovono finanza
e mercato. Dunque, meno valutazioni generiche e approssimate e più
introspezione, meno tavoli politici e più tavoli da seminario,
meno critica e più autocritica. Cominciando a distinguere
l’odore del denaro e a dissociarsi dalle antiche e nuove forme
di comparaggio che fanno del mercato una galassia di potentati corporativi
(solo le posizioni dominanti finiscono nel mirino dell’Antitrust).
“Lost in perception management”, perduti nei meandri
della disinformazione, direbbero gli inglesi.
Pensando ad uno spartiacque tra un prima e un dopo bisogna dare
in senso kantiano valori nuovi e originali al linguaggio dell’anima
(esiste già un linguaggio codificato per la scienza, l’arte,
la medicina, ora va esteso all’economia). Per creare sotto
il profilo etico un nucleo primario di comportamenti universali
condivisi, fondamentale sussidio per una cultura manageriale ora
troppo appiattita sulla ricerca ossessiva del valore (plusvalore,
per i marxisti). Ha fatto il suo tempo il capitalismo impietrito
nell’ortodossia scolastica che esalta il narcisismo individuale.
Per superare l’attuale immagine di una società annichilita,
il capitalismo prossimo venturo ha bisogno di nuove sintesi tra
economia reale e visione internazionale del mercato, attende nuove
coordinate nei rapporti tra “governance” e “leadership”.
Se la seconda componente resta dominante nel processo decisionale
(come è accaduto nella fase di ascesa e caduta degli dei),
la prima rischia di assumere pericolose tendenze devianti. Se invece
è l’idea di “governance” a prevalere, l’effetto-mercato
sulla riorganizzazione dei fattori produttivi rischia di essere
fortemente penalizzato dalle resistenze esercitate dalle oligarchie
dominanti (sul governo dell’impresa prevale l’amministrazione
delle cose). Il confronto pacato delle idee, se produce un rigoroso
riesame periodico delle professionalità, può rasserenare
l’ambiente molto meglio di ogni formale irrigidimento legislativo.
In ogni caso, resta ad alto rischio la gestione che cavalca l’onda
delle mode finanziarie. Si avverte sotto ogni latitudine la necessità
di sottoporre a riesame il ruolo dell’impresa nella società
e nelle comunità locali, la sua collocazione nei rapporti
con la politica, la cultura, il territorio (in Italia le esperienze
di Adriano Olivetti sono state tropo presto accantonate). Oltre
al rigore legislativo, che può essere sempre aggirato, è
in discussione l’arte di governo nel fare impresa (i rapporti
fiduciari tra Vip e Svip vanno consolidati, mai gabbati).
Nell’immediato un interrogativo diventa legittimo: la severità
delle nuove leggi produrrà più etica o più
lifting?
Affidandosi alle tradizionali istituzioni d’intermediazione
il risparmiatore si aspetta anzitutto di trovare persone che fanno
il loro mestiere secondo scienza e coscienza. E’ in discussione
la responsabilità e il metodo di lavoro dei promotori finanziari,
delle strutture che operano nei piani meno nobili del sistema. Non
possono promuovere impunemente l’euforia, cioè margini
elevati di profitto al netto di una forte volatilità di sistema,
lasciando sul campo vittime indifese (o difese a posteriori dalla
politica in assenza di una forte tutela sindacale). Va in croce
il risparmiatore mentre Pilato resta in sella!
Per i controlli interni all’impresa (amministratori,
sindaci, revisori, società di certificazione), si può
rafforzare l’impianto sanzionatorio, ma senza respirare la
legalità come aroma, senza motivazioni fondate su di un sano
“egoismo etico” e non sulla ricerca di cumulo di funzioni
(è scandalosa la contemporanea presenza di persone fisiche
nei consigli di amministrazione di banche e imprese), i rischi di
complicità, di connivenza controllori-controllati restano
elevati, a meno che non si giunga a stilare ex lege elenchi
con fattispecie di incompatibilità e responsabilità,
sanzionate con la sospensione e la radiazione delle funzioni (modeste
sanzioni pecuniarie hanno un effetto deterrente limitato).
Sotto lente d’ingrandimento va anche posta l’attività
delle agenzie di rating (esclusivo monopolio americano) in ordine
a criteri e informazioni utilizzati nella determinazione dei rating
(di tutti i rating, inclusi quelli ambientali ed etici).
Siamo in presenza di un palese conflitto di interessi dal momento
che l’impresa paga l’agenzia per un servizio di analisi
e un giudizio di valutazione (su azioni, obbligazioni, bilancio
ambientale, bilancio sociale, ecc.). Questo giudizio più
che reale deve essere surreale (se i due piani coincidono, tanto
meglio), dal momento che la sua ragione d’esistere sta nella
necessità di soddisfare esigenze d’immagine. L’eticità
nell’attuale logica d’impresa diventa elemento promozionale
della “governance” aziendale e della reputazione del
marchio. Forse nell’amorevole convinzione che il futuro celeste
del risparmiatore-investitore sia più importante della sua
esperienza di homo oeconomicus.
Per i controlli esterni all’impresa (poteri
ispettivi e sanzionatori affidati a pubbliche autorità),
particolare rilievo assumono quelli preventivi in rapporto alle
emissioni di azioni, obbligazioni e relativi sbarchi in Borsa. Senza
entrare nella disputa sui menù statali del riordino legislativo,
ci preme sottolineare che le riforme introdotte sono frutto di compromessi
tra poteri forti, mentre i risparmiatori continuano a restare senza
voce (in attesa della futura Authority europea per il risparmio,
il governo italiano ha privilegiato lo spezzatino varando un disegno
di legge che affida i compiti della vigilanza a Bankitalia, Antitrust,
nuova Consob, Isvap (assicurazioni), Covip (fondi pensione); ha
creato inoltre il nuovo reato di “nocumento al risparmio”,
che scatta quando viene colpito l’un per mille della popolazione
o l’un per mille del prodotto interno lordo, circostanze molto
teoriche per il difficile se non impossibile conseguimento della
prova).
I “nuovi” poteri sono affidati principalmente alla
responsabilità e all’efficienza delle Authority (i
commissari dovrebbero operare per metà come sacerdoti e per
metà come poliziotti), ma quando esse adottano provvedimenti
vi sono patologie già in atto, perciò i paletti più
efficaci vanno posti a monte, a tutela della trasparenza e della
correttezza della gestione ordinaria dell’impresa.
La difesa del risparmio resta tema centrale della politica internazionale.
Non a caso gli inglesi, derogando alla loro proverbiale ritrosia
per gli interventi comunitari, hanno chiesto per primi provvedimenti
di armonizzazione per le norme europee. Ma occorre fare decisamente
di più. La “schermatura off-shore” (la consuetudine
di una maggiore convenienza economica è pari al deficit di
direttive politiche nei Paesi off-shore protetti dal postulato della
sovranità nazionale) può incrinarsi solo con un poderoso
risveglio della coscienza internazionale. C’è la tendenza
a portare i casi di maggiore turbativa internazionale nell’area
della giustizia formale (si pensi al Tribunale dell’Aia e
ai reati contro l’umanità).
A nostro avviso, i reati finanziari e societari di maggiore gravità,
per le interazioni esistenti su scala mondiale, appartengono ai
“reati di pericolo sociale” in quanto arrecano danno
e pregiudizio al pubblico interesse (inteso come impegno alla tutela
del socio futuro ed eventuale) e compromettono l’affidabilità
generale del sistema economico-finanziario, prima ancora di procurare
danno specifico a privati e imprese. Dovrebbero pensarci coloro
che hanno a cuore il motto “The West and the rest”.
Trattasi di una chiara esigenza di tutela generale del risparmio
che richiederebbe, al di là delle frontiere nazionali, provvedimenti
specifici affidati alla competenza di qualche tribunale internazionale.
Su questo versante c’è molto da fare, anche se restano
in piedi tutte le differenze di cultura e struttura tra Paesi che
adottano il “common law” inglese (circa 40) e Paesi
che adottano il “civil law” di famiglia tedesca, francese,
scandinava (circa 42). L’Onu e il G8 potrebbero creare almeno
un “Osservatorio” per monitorare e valutare le differenze
sistemiche nelle istituzioni economiche e finanziarie della comunità
internazionale. E’ amaro constatare che in un’era di
grande contaminazione culturale, sulla difesa di grandi interessi
collettivi sia ancora presente una forte compartimentazione nazionale.
I politici, preoccupati per il possibile deragliamento della democrazia,
tentano di difendere il bene supremo della stabilità con
nuovi poteri di seduzione, ma tutti i giochi di prestigio hanno
un’incognita, un tasso di imponderabilità gemmato dal
travaglio dei risparmiatori delusi. Resta difficile stabilire quando
i risparmiatori ritengono di avere toccato il fondo, quando il livello
d’indignazione supera il livello di tolleranza.
Purtroppo, quando ciò accade, il singolo risparmiatore è
un “loser”, un perdente e il cronista petulante un cantastorie
infingardo. Il resto è cronaca giudiziaria che crea verità
di scarso suffragio per i perdenti di periferia. Si passa dalla
Grande Illusione Globale alla Grande Delusione Globale, da cui escono
immuni solo gli indigeni del Chiapas e del Paranà e poche
altre minuscole comunità rurali ancora non contaminate dal
potere del denaro. Queste comunità non conoscono gli indicatori
dello sviluppo e della crescita, ma quando ricevono visitatori curiosi
(di solito occidentali) hanno il buon gusto di regalare loro una
scopa. Mai omaggio fu così appropriato. Per riaccendere la
fiammella della fede laica e mettere vento alle vele, dando priorità
alle convenzioni dell’anima rispetto alle convenzioni virtuali.
|