Giugno 2004

Dal risparmio tradito al nuovo illuminismo economico

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La farina del diavolo
Claudio Alemanno  
 
 

 

 

Resta difficile
stabilire quando
i risparmiatori
ritengono di avere toccato il fondo, quando il livello d’indignazione
supera il livello
di tolleranza.

 

“E mo’ murimme se nu n’accitene”. Questo grido di dolore dei risparmiatori meridionali riflette l’incubo senza frontiere di milioni di risparmiatori di fronte al gigantesco default dell’economia reale, alla inadeguatezza delle regole e delle procedure che governano la moderna economia di mercato. «E’ difficile liberare la pulce dalla tela del ragno», recita un vecchio proverbio libanese.
Col pensiero all’Europa citiamo i casi emblematici a noi più vicini: Cirio, Parmalat, Vivendi, Credit Lyonnais. Senza dimenticare che una buona metà dei crac finanziari europei degli ultimi anni sono concentrati in Gran Bretagna (ne sono stati contati 34: tra tutti, ricordiamo quello della Bank of Credit and Commerce International), che non a caso ha adottato, primo Paese in Europa, una nuova disciplina statale della vigilanza, concentrando i poteri nella “Financial Services Authority”. Anche gli Stati Uniti hanno avuto la loro valle di lacrime, con i casi Enron, Tyco, WorldCom tra i più devastanti.
Le certezze della globalizzazione diventano all’improvviso ansie, cefalee, pensieri cupi, passioni spente. Crollano importanti santuari della finanza mettendo in evidenza i guasti delle economie non governate e dunque più esposte al cleptocapitalismo.
Il sistema sfiora la crisi per implosione, non per un proditorio attacco no global, ma per un tenebroso mosaico composto da molti omissis. I missionari della globalizzazione continuano intanto a proporre percorsi di sviluppo incardinati sulla rete mediatica e sulle autostrade informatiche.
In questo contesto il differenziale tra regole e sregolatezza si accorcia e l’ottimismo che muove i mercati non riesce più a scaldare il cuore dei risparmiatori-investitori. Si accentuano in modo esponenziale le differenze di reddito, creando un esercito di Linus (noto personaggio pieno di dubbi amletici) in marcia verso l’emarginazione.
Ovviamente si aprono nuovi scenari di potere, le furbizie quaresimali “ex cathedra” si sprecano, senza trovare lo statista della povera gente. I politici diventano efficienti quando guardano nel giardino dei privati, ma non dimostrano la stessa solerzia per il giardino pubblico di cui sono direttamente responsabili (in due secoli le crisi finanziarie più devastanti sono state prodotte dall’eccessivo indebitamento dei governi).

E’ sufficiente un tintinnio di manette o uno stormir di fronde per dare vita ad un flash back rooseveltiano, ad un fermento legislativo stile anni Trenta, animato da una nuova ondata di moralismo giustizialista. L’ideologia del capitalismo globale suggerisce sempre nuovi itinerari all’ingegneria finanziaria e dunque la produzione inevitabile di bubbole e junk bond (titoli spazzatura). Non si può vanificare il fascino del rischio connesso alla speculazione. Questo fattore di incertezza dell’economia di mercato crea sempre emozioni nuove con molti misteri e porta gli attori della finanza a vivere sospesi tra realtà e fumetto. Il cittadino-risparmiatore finisce per sottoporre ad ipnosi la sua percezione, affascinato dai geni affabulatori usciti dalla bottiglia dei miracoli. Diventa una canna al vento nel giardino incantato, abbagliato dalla rumba delle offerte allettanti che demolisce ogni baluardo del buonsenso borghese.
Adesso si cercano nuove briglie di controllo per un mercato che ha la tendenza a collezionare storie di ordinaria follia. Questa paura formidabile suggerisce qualche buona lettura di neuro-economia. Oltre le “pasquinate” ricorrenti ha creato una nuova parola d’ordine: amici liberal di tutto il mondo, unitevi ed evitate che l’inquietudine del risparmiatore diventi beffa sociale e danno economico.
Non potendo regolamentare le emozioni, i politici pensano di intervenire a monte, sul versante dell’offerta-titoli e sul controllo del sistema finanziario. Applicando rigorosamente e scientificamente la logica dello scimpanzè: non mollare mai un ramo se non ne hai afferrato bene un altro. E nel segno di un approccio riduttivo e schematico con il mito dello Stato etico danno vita alla lotta tra poteri e contropoteri in pieno svolgimento.
A noi preme spostare l’obiettivo della cinepresa, dando più voce al risparmiatore e alle sue associazioni, incominciando a rivendicare diritti di inclusione nella gestione societaria (ad esempio, nel collegio sindacale) e più in generale nei servizi di controllo interno, ivi incluse le società di certificazione che operano nelle aziende. Si fa ancora fatica ad istituzionalizzare questa esigenza quando ormai dovrebbe risultare palese che i criteri del rendimento e della produzione di valore (sottintendono sempre una discrezionalità operativa assoluta dei manager) devono fare un passo indietro rispetto alla primaria funzione sociale degli impieghi. A questo proposito s’ispira anche la necessità di dare maggiore rappresentanza e tutela ai diritti dei soci di minoranza negli organi sociali (segnalazioni in tal senso vengono dall’Ocse). Per i risarcimenti ai risparmiatori italiani in sofferenza un utile contributo può venire dal progetto governativo che intende introdurre la class action nel nostro ordinamento (istituto largamente utilizzato negli Usa). L’azione collettiva dovrebbe sostituire l’azione singola nelle fattispecie in cui il danno è unico, abbattendo tempi e costi processuali (un raro esempio di attenzione vera ai temi della giustizia, se i lavori preparatori vengono assolti in tempi rapidi).

Qualche altra cosa si può dire a proposito degli strumenti di finanziamento dell’impresa. Fino agli anni Settanta, il dialogo banca-impresa aveva contenuti dialettici strutturati secondo canoni di reciproca fiducia, anche se in termini operativi risultava confermata in molti casi l’eccessiva dipendenza dell’impresa dal sistema bancocentrico (il caso italiano è tra questi, con un capitalismo dipendente dal credito e un credito sotto plagio politico). Con l’avvento della finanza creativa l’approccio meramente speculativo si è accresciuto di opportunità su entrambi i fronti (banca e impresa), introducendo nel sistema canali di finanziamento per così dire “intelligenti”. Il ricorso a prodotti innovativi a rischio elevato ha alterato (e poi fatto saltare) i tradizionali plafond amministrativi di garanzia e di deontologia professionale. In Italia eravamo assuefatti alle picconate di Tangentopoli, adesso scopriamo le malefatte di Bancopoli, le picconate devastanti prodotte da imprenditori, finanzieri e revisori. E’ sotto accusa un’idea “garibaldina” di fare impresa, anche se l’amplificazione delle emozioni ha creato un clima da caccia alle streghe che stimola, per dirla con Leopardi, la voglia di «gettare i morti in faccia ai vivi». Paura e paralisi regnano sovrane nell’attività d’intermediazione. Sorprende in particolare l’atteggiamento passivo delle banche italiane, che dovrebbero svolgere un ruolo decisivo nel ripristinare il volano della fiducia (istituendo, ad esempio, un fondo per iniettare liquidità nel mercato delle obbligazioni, il più sofferente in questo momento).
Sulla crisi di fiducia s’innesta anche la complessa problematica dei controlli interni ed esterni all’impresa e di una nuova disciplina di garanzie per la gestione del risparmio. E’ poco realistica una purificazione affidata all’inasprimento di sanzioni e responsabilità codificate a carico di intermediari e manager, cioè l’idea di una difesa del risparmio affidata alla via legislativa, con appendice giudiziaria. Nello stagno dei veleni (gli appestati di oggi sono i manager-modello di ieri), il rischio più grave è che la solitudine sociale faccia crescere il tasso della solitudine politica. Più che di categorie giuridiche si avverte il bisogno di un “manuale operativo” centrato sull’etica della responsabilità, lungo tutta la filiera degli attori che a vario titolo muovono finanza e mercato. Dunque, meno valutazioni generiche e approssimate e più introspezione, meno tavoli politici e più tavoli da seminario, meno critica e più autocritica. Cominciando a distinguere l’odore del denaro e a dissociarsi dalle antiche e nuove forme di comparaggio che fanno del mercato una galassia di potentati corporativi (solo le posizioni dominanti finiscono nel mirino dell’Antitrust).

“Lost in perception management”, perduti nei meandri della disinformazione, direbbero gli inglesi.

Pensando ad uno spartiacque tra un prima e un dopo bisogna dare in senso kantiano valori nuovi e originali al linguaggio dell’anima (esiste già un linguaggio codificato per la scienza, l’arte, la medicina, ora va esteso all’economia). Per creare sotto il profilo etico un nucleo primario di comportamenti universali condivisi, fondamentale sussidio per una cultura manageriale ora troppo appiattita sulla ricerca ossessiva del valore (plusvalore, per i marxisti). Ha fatto il suo tempo il capitalismo impietrito nell’ortodossia scolastica che esalta il narcisismo individuale. Per superare l’attuale immagine di una società annichilita, il capitalismo prossimo venturo ha bisogno di nuove sintesi tra economia reale e visione internazionale del mercato, attende nuove coordinate nei rapporti tra “governance” e “leadership”. Se la seconda componente resta dominante nel processo decisionale (come è accaduto nella fase di ascesa e caduta degli dei), la prima rischia di assumere pericolose tendenze devianti. Se invece è l’idea di “governance” a prevalere, l’effetto-mercato sulla riorganizzazione dei fattori produttivi rischia di essere fortemente penalizzato dalle resistenze esercitate dalle oligarchie dominanti (sul governo dell’impresa prevale l’amministrazione delle cose). Il confronto pacato delle idee, se produce un rigoroso riesame periodico delle professionalità, può rasserenare l’ambiente molto meglio di ogni formale irrigidimento legislativo.
In ogni caso, resta ad alto rischio la gestione che cavalca l’onda delle mode finanziarie. Si avverte sotto ogni latitudine la necessità di sottoporre a riesame il ruolo dell’impresa nella società e nelle comunità locali, la sua collocazione nei rapporti con la politica, la cultura, il territorio (in Italia le esperienze di Adriano Olivetti sono state tropo presto accantonate). Oltre al rigore legislativo, che può essere sempre aggirato, è in discussione l’arte di governo nel fare impresa (i rapporti fiduciari tra Vip e Svip vanno consolidati, mai gabbati).
Nell’immediato un interrogativo diventa legittimo: la severità delle nuove leggi produrrà più etica o più lifting?
Affidandosi alle tradizionali istituzioni d’intermediazione il risparmiatore si aspetta anzitutto di trovare persone che fanno il loro mestiere secondo scienza e coscienza. E’ in discussione la responsabilità e il metodo di lavoro dei promotori finanziari, delle strutture che operano nei piani meno nobili del sistema. Non possono promuovere impunemente l’euforia, cioè margini elevati di profitto al netto di una forte volatilità di sistema, lasciando sul campo vittime indifese (o difese a posteriori dalla politica in assenza di una forte tutela sindacale). Va in croce il risparmiatore mentre Pilato resta in sella!
Per i controlli interni all’impresa (amministratori, sindaci, revisori, società di certificazione), si può rafforzare l’impianto sanzionatorio, ma senza respirare la legalità come aroma, senza motivazioni fondate su di un sano “egoismo etico” e non sulla ricerca di cumulo di funzioni (è scandalosa la contemporanea presenza di persone fisiche nei consigli di amministrazione di banche e imprese), i rischi di complicità, di connivenza controllori-controllati restano elevati, a meno che non si giunga a stilare ex lege elenchi con fattispecie di incompatibilità e responsabilità, sanzionate con la sospensione e la radiazione delle funzioni (modeste sanzioni pecuniarie hanno un effetto deterrente limitato).
Sotto lente d’ingrandimento va anche posta l’attività delle agenzie di rating (esclusivo monopolio americano) in ordine a criteri e informazioni utilizzati nella determinazione dei rating (di tutti i rating, inclusi quelli ambientali ed etici). Siamo in presenza di un palese conflitto di interessi dal momento che l’impresa paga l’agenzia per un servizio di analisi e un giudizio di valutazione (su azioni, obbligazioni, bilancio ambientale, bilancio sociale, ecc.). Questo giudizio più che reale deve essere surreale (se i due piani coincidono, tanto meglio), dal momento che la sua ragione d’esistere sta nella necessità di soddisfare esigenze d’immagine. L’eticità nell’attuale logica d’impresa diventa elemento promozionale della “governance” aziendale e della reputazione del marchio. Forse nell’amorevole convinzione che il futuro celeste del risparmiatore-investitore sia più importante della sua esperienza di homo oeconomicus.
Per i controlli esterni all’impresa (poteri ispettivi e sanzionatori affidati a pubbliche autorità), particolare rilievo assumono quelli preventivi in rapporto alle emissioni di azioni, obbligazioni e relativi sbarchi in Borsa. Senza entrare nella disputa sui menù statali del riordino legislativo, ci preme sottolineare che le riforme introdotte sono frutto di compromessi tra poteri forti, mentre i risparmiatori continuano a restare senza voce (in attesa della futura Authority europea per il risparmio, il governo italiano ha privilegiato lo spezzatino varando un disegno di legge che affida i compiti della vigilanza a Bankitalia, Antitrust, nuova Consob, Isvap (assicurazioni), Covip (fondi pensione); ha creato inoltre il nuovo reato di “nocumento al risparmio”, che scatta quando viene colpito l’un per mille della popolazione o l’un per mille del prodotto interno lordo, circostanze molto teoriche per il difficile se non impossibile conseguimento della prova).

I “nuovi” poteri sono affidati principalmente alla responsabilità e all’efficienza delle Authority (i commissari dovrebbero operare per metà come sacerdoti e per metà come poliziotti), ma quando esse adottano provvedimenti vi sono patologie già in atto, perciò i paletti più efficaci vanno posti a monte, a tutela della trasparenza e della correttezza della gestione ordinaria dell’impresa.
La difesa del risparmio resta tema centrale della politica internazionale. Non a caso gli inglesi, derogando alla loro proverbiale ritrosia per gli interventi comunitari, hanno chiesto per primi provvedimenti di armonizzazione per le norme europee. Ma occorre fare decisamente di più. La “schermatura off-shore” (la consuetudine di una maggiore convenienza economica è pari al deficit di direttive politiche nei Paesi off-shore protetti dal postulato della sovranità nazionale) può incrinarsi solo con un poderoso risveglio della coscienza internazionale. C’è la tendenza a portare i casi di maggiore turbativa internazionale nell’area della giustizia formale (si pensi al Tribunale dell’Aia e ai reati contro l’umanità).
A nostro avviso, i reati finanziari e societari di maggiore gravità, per le interazioni esistenti su scala mondiale, appartengono ai “reati di pericolo sociale” in quanto arrecano danno e pregiudizio al pubblico interesse (inteso come impegno alla tutela del socio futuro ed eventuale) e compromettono l’affidabilità generale del sistema economico-finanziario, prima ancora di procurare danno specifico a privati e imprese. Dovrebbero pensarci coloro che hanno a cuore il motto “The West and the rest”. Trattasi di una chiara esigenza di tutela generale del risparmio che richiederebbe, al di là delle frontiere nazionali, provvedimenti specifici affidati alla competenza di qualche tribunale internazionale.

Su questo versante c’è molto da fare, anche se restano in piedi tutte le differenze di cultura e struttura tra Paesi che adottano il “common law” inglese (circa 40) e Paesi che adottano il “civil law” di famiglia tedesca, francese, scandinava (circa 42). L’Onu e il G8 potrebbero creare almeno un “Osservatorio” per monitorare e valutare le differenze sistemiche nelle istituzioni economiche e finanziarie della comunità internazionale. E’ amaro constatare che in un’era di grande contaminazione culturale, sulla difesa di grandi interessi collettivi sia ancora presente una forte compartimentazione nazionale.
I politici, preoccupati per il possibile deragliamento della democrazia, tentano di difendere il bene supremo della stabilità con nuovi poteri di seduzione, ma tutti i giochi di prestigio hanno un’incognita, un tasso di imponderabilità gemmato dal travaglio dei risparmiatori delusi. Resta difficile stabilire quando i risparmiatori ritengono di avere toccato il fondo, quando il livello d’indignazione supera il livello di tolleranza.
Purtroppo, quando ciò accade, il singolo risparmiatore è un “loser”, un perdente e il cronista petulante un cantastorie infingardo. Il resto è cronaca giudiziaria che crea verità di scarso suffragio per i perdenti di periferia. Si passa dalla Grande Illusione Globale alla Grande Delusione Globale, da cui escono immuni solo gli indigeni del Chiapas e del Paranà e poche altre minuscole comunità rurali ancora non contaminate dal potere del denaro. Queste comunità non conoscono gli indicatori dello sviluppo e della crescita, ma quando ricevono visitatori curiosi (di solito occidentali) hanno il buon gusto di regalare loro una scopa. Mai omaggio fu così appropriato. Per riaccendere la fiammella della fede laica e mettere vento alle vele, dando priorità alle convenzioni dell’anima rispetto alle convenzioni virtuali.

   
   
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