Giugno 2004

Adozioni internazionali

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Il business dei sentimenti
Ilaria Zaffino  
 
 

 

 

 

E allora si apre un’asta, una
competizione tra più contendenti, solo che la posta in gioco, in questo caso, non è un quadro, ma un bambino.

 

Una strada piena di ostacoli. Interminabili iter burocratici, che si protraggono anni. Continui colloqui, controlli spesso estenuanti, sotto l’occhio vigile di psicologi e magistrati. Senza dimenticare i costi che le coppie sono costrette ad affrontare. I versamenti agli enti autorizzati, i lunghi viaggi nei Paesi di origine dei piccoli, che non sempre si concludono con l’adozione. Venti giorni in Sud America – addirittura 40, se si tratta del Brasile – e migliaia di euro in fumo per un bimbo affidato, poi, magari a un’altra coppia più facoltosa. E’ il business delle adozioni internazionali: un giro d’affari che fa leva sui sentimenti, sul desiderio delle coppie di diventare genitori, senza considerare invece prioritario l’interesse del minore.
Non esistono, al momento, nel nostro Paese stime certe sul numero di bambini che si possono adottare, né tanto meno cifre esatte sulle famiglie che alla fine ottengono l’idoneità. Alle coppie che ogni anno fanno domanda – si calcola circa ottomila – si devono, infatti, aggiungere quelle che non sono riuscite a portare a termine la pratica l’anno precedente e quindi si mettono in fila. Mentre il numero di bambini adottabili resta sempre lo stesso: 2.700, riferisce il Tribunale dei minori. Troppi sono i buchi neri di una normativa in vigore dal 1998: un passo avanti, è vero, rispetto alla legge della giungla che c’era prima, ma per molti aspetti oggi già superata. Soprattutto di fronte alla crescita senza paragoni del numero di famiglie che chiedono l’adozione, facilitata anche dalla possibilità di far salire di cinque anni – da 40 a 45 – l’età del coniuge più giovane o, «ma è la stessa cosa, la differenza di età tra l’adottante e l’adottato», come racconta Alessandro Maria Fucili, responsabile del portale Loreto Bambino che, ormai da più di un anno, si occupa di infanzia abbandonata, bambini in affido e in adozione. Un punto di riferimento importante per molte famiglie italiane in difficoltà che decidono di intraprendere la lunga via dell’adozione. Risale proprio agli ultimi mesi la campagna lanciata da Loreto Bambino sulle adozioni gratis e in tempi brevi per tutte le coppie che hanno già ottenuto l’idoneità. «Gratis non significa che non verranno pagati gli enti autorizzati – precisa però Fucili – Anzi. Gli enti, quelli seri, continueranno a lavorare. Ma non saranno le famiglie a pagare tutto, bensì lo Stato, attraverso gli uffici regionali».

Una battaglia che Fucili sta portando avanti da mesi, anche con la presentazione in Parlamento di cinque emendamenti alla legge attuale. «Chiediamo – continua Fucili – che vengano ridotti i tempi di attesa, così come le aree geografiche di competenza per ogni ente». Tempi che dai sei mesi previsti, ma quasi mai rispettati, vanno a finire a un anno solo per avere l’idoneità all’adozione, a cui poi si devono sommare altri 18, o più spesso 24 mesi di attesa prima di riuscire effettivamente a portare a casa il bambino. Tempi, inoltre, che cambiano da regione a regione. E se nella prima fase molto dipende da quante persone costituiscono l’équipe che deve valutare i futuri genitori, nella seconda, invece, può essere l’arretrato che si accumula nei diversi tribunali a insabbiare per mesi una procedura. «Né bisogna dimenticare che non esistono criteri oggettivi o largamente condivisi alla base delle valutazioni date dalle diverse équipe». Persino la composizione delle équipe non è codificata e molto incide la distribuzione dei ruoli tra psicologi e assistenti sociali. Senza considerare che un giudizio sulla vita privata, la sfera intima, affettiva, relazionale di una coppia è già, di per sé, un terreno delicato. «Ma qui non si tratta di valutare l’attitudine ad essere genitori, bensì la disponibilità ad accogliere in casa un bambino. Alle famiglie naturali nessuno chiede nulla», si lamentano molte coppie, costrette a passare sotto la lente di ingrandimento di enti pronti subito a dare i voti: promossi o bocciati, senza possibilità di appello.
«Un altro punto su cui battiamo molto – prosegue Fucili – riguarda proprio questo delirio della valutazione. Perché un ente deve giudicare una famiglia che ha già ottenuto l’idoneità? I corsi di formazione che le coppie, quando si iscrivono a un ente, sono costrette a pagare non servono a nulla, infatti, così come sono strutturati ora. Al contrario, sarebbe utile per due persone che si accingono a prendere in casa un bambino di un altro Paese conoscere la realtà in cui il piccolo è nato. E, poi, questi corsi dovrebbero essere gratuiti». Invece, non fanno che alimentare il business economico che ruota attorno al fenomeno delle adozioni. Business che comprende anche i salati affitti degli appartamenti messi a disposizione delle coppie che si recano più volte nel Paese d’origine del bambino e vi restano giorni prima di riuscire ad adottarlo.

Ma quali sono i Paesi a cui le coppie italiane che non riescono a soddisfare il desiderio di divenire genitori si rivolgono con più frequenza? Certo, ci sono bacini privilegiati, dall’Est Europa al Sud America, in primo luogo il Brasile. Ma anche una serie di Stati con cui, più di recente, si sono aperti accordi bilaterali. Aree in via di sviluppo, come Vietnam e Cambogia, mentre si sta avvicinando pure la Cina. Gli Stati che adottano, invece, sono sempre gli stessi, quelli più ricchi: europei soprattutto. In particolare, Spagna, Francia, e poi Stati Uniti e Canada. Ora, poi, con l’ingresso dei dieci nuovi Paesi dell’Est all’interno dell’Unione Europea convivono, fianco a fianco, Paesi che adottano e altri da cui invece si adotta. «Anche per questo abbiamo presentato all’Europarlamento più di un’interrogazione per stabilire un protocollo da rispettare». E’ importante, infatti, che i flussi non si sovrappongano: capita, a volte, che per un minore arrivino più famiglie da diversi Paesi. E allora si apre un’asta, una competizione tra più contendenti, solo che la posta in gioco, in questo caso, non è un quadro, ma un bambino.
«Per ridurre le attese si potrebbe pretendere dagli enti autorizzati, al momento circa 70 nel nostro Paese, una maggiore specializzazione – propone inoltre Fucili – ciascun ente dovrebbe, cioè, concentrare la propria attività su un solo continente e, all’interno di questo, solo su tre nazioni. In questo modo si avrebbe a che fare con un interlocutore di sicuro più serio e preparato».
Un altro dei misteri che avvolgono il dramma delle adozioni internazionali è, infatti, l’impossibilità di distinguere tra le associazioni serie e quelle che invece operano solo a fini di lucro. Alcuni enti sono stati recentemente sospesi, ha fatto sapere il ministro per le Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo. Ma tanto ancora deve essere fatto. Certo, bloccare le iscrizioni delle famiglie in esubero, se prima non vengono risolti i casi delle coppie in lista d’attesa da tempo, è già un primo passo, e alcune associazioni più serie si stanno muovendo in questa direzione. Servono, però, maggiori controlli anche sulle controparti estere degli enti: chi sono, quanto ci si può fidare e perché, in alcuni casi, come ad esempio in Russia o in America Latina, prima di assegnare i bambini pretendono sino a tre viaggi dei futuri genitori in loco, con tanto di spese extra e regalini. «L’unico modo per controllarli – ne è convinto Fucili – è mettere in pratica la famosa banca dati elettronica». La prevede anche il decreto firmato dal ministro della Giustizia Roberto Castelli, appena qualche mese fa. «Ma un conto è dire per l’ennesima volta che si farà, un conto vederla partire sul serio», commenta scettico Fucili.
Intanto, lo stesso presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, su richiesta di Loreto Bambino, ha provveduto a sollecitare l’intervento della Commissione adozioni internazionali, sorta nel 1999, dopo l’entrata a regime della legge. Fino ad allora il 50 per cento delle adozioni erano clandestine: vigeva in Italia la pratica del fai da te. «La Commissione si deve fare interprete delle esigenze delle famiglie e, nello stesso tempo, queste devono imparare a ricorrere alle istituzioni, segnalando alle autorità se c’è qualcosa che non va. Solo così si possono correggere le storture del sistema». L’Italia è il terzo Paese nel mondo, dopo Stati Uniti e Spagna, per domande di adozione. Ma le famiglie non vanno lasciate sole. Anche per questo serve una modifica alla legge attuale. «E serve adesso», conclude Fucili. Per mettere, una volta per tutte, la parola fine a quest’agonia.

   
   
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