Giugno 2004

Il mercato del lavoro bancario

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Un laboratorio
di tendenza
Filippo Cucuccio  
 
 

 

 

La minaccia: avere un mondo bancario ancora zavorrato dai
tradizionali lacci e laccioli e costretto a vedere passare il treno dell’Europa allargata.

 

Non è raro che documenti e analisi particolarmente approfonditi offrano a chi li esamini una duplice interessante chiave di lettura: da un lato di informazione puntuale ed esauriente, dall’altro di riflessione sulle possibili tendenze evolutive del fenomeno considerato e di conseguenza sulla probabile tipologia del cammino da percorrere.
Non sfugge a questa regola l’ultimo rapporto sul mercato del lavoro nell’industria finanziaria italiana curato come sempre dall’Associazione Bancaria Italiana, che oltre ad offrire una fotografia particolarmente dettagliata dell’occupazione e dei suoi costi in un settore posto di recente ancor più sotto la lente di ingrandimento da vicende che ne hanno seriamente scosso la credibilità e l’immagine di fiducia, elementi essenziali per la sua naturale operatività, si presta anche ad una lettura prospettica decisamente significativa.
Ma procediamo con ordine. Il capitolo dell’occupazione – con riferimento specifico all’universo delle banche su cui soffermeremo d’ora in poi la nostra attenzione – evidenzia subito una cifra di sintesi di segno negativo (-1,1%) nel numero complessivo del personale dipendente, una diretta conferma del protrarsi degli sforzi finalizzati al suo contenimento. Al riguardo va sottolineato che si è in presenza di una manovra che ormai abbraccia un arco considerevole di anni con l’unica eccezione del 2000 che, invece, aveva registrato un incremento dell’1% sull’anno precedente. Logico complemento delle considerazioni appena sviluppate, il dato combinato dei flussi di assunzioni e di cessazioni che segnala un turnover pari a 0,9: in altri termini, 9 assunti per ogni 10 cessati, in linea con quanto evidenziato l'anno prima.

Dopo questa prima dose di dati c’è, però, subito da precisare che essi costituiscono il risultato finale di comportamenti organizzativi almeno in parte differenziati per non dire, come tra poco si vedrà, divergenti.
Si prenda in esame, ad esempio, il parametro della dimensione aziendale delle banche, che rivela l’esistenza di un fattore di correlazione inversa tra andamento occupazionale e livelli dimensionali della banca; ossia, al crescere della seconda (la dimensione) si registra una decelerazione del primo (l’andamento occupazionale). E’ il caso delle banche cosiddette maggiori (secondo la nomenclatura ufficiale della Banca d’Italia) che presentano un saldo negativo (-2%, ma vi è un rallentamento in questa caduta), così come, viceversa, continuano a registrarsi valori positivi per quegli intermediari bancari che appartengono alle classi dimensionali di rango inferiore.
Un secondo parametro che bene si presta a considerazioni di diversificazione nei comportamenti organizzativi è quello della disaggregazione per aree geografiche.
In questo caso la lettura dei dati da un lato supporta la convinzione che per il Sud e le Isole il mondo bancario rappresenti tuttora un significativo bacino di impiego della forza occupazionale disponibile, con un saldo assunzioni/cessazioni di segno positivo, dall’altro il tema del ridimensionamento occupazionale trova riscontro ovunque con segni negativi particolarmente accentuati nell’area Nord-Ovest del Paese (-1,5%).
Anche la distribuzione delle tipologie contrattuali offre materia di riflessione e una plausibile chiave di lettura in tema di comportamenti organizzativi. A livello nazionale si registra una crescita per le due forme del “a tempo indeterminato” e del “part-time”, passate rispettivamente dal 95,4% al 96,5% e dal 6,7% al 7,1%; a questo innalzamento di quote fa riscontro una flessione di quelle relative alla “formazione lavoro e al lavoro temporaneo” scesi rispettivamente dal 3% al 2% e dallo 0,7% allo 0,4%. Anche su questo terreno se si usa la lente d’ingrandimento si scorge una particolarità che invita all’analisi: il comportamento per così dire anomalo delle banche piccole le quali si muovono in controtendenza con percentuali decisamente cospicue di assunzioni a termine (40%) e di lavoro temporaneo (6,6%).
L’interpretazione più verosimile di questo “singolare” atteggiamento riporta sul versante della flessibilità organizzativa, un tasto sicuramente delicato e con risvolti peculiari soprattutto per quelle banche che hanno marcate radici localistiche. Facciamo, ora, un passo indietro, tornando al tema del turnover occupazionale per soffermarci su un aspetto connesso, quale lo svecchiamento della popolazione impiegata: anche qui, se da un lato vi è la conferma rispetto all’anno precedente dell’età media (41 anni), dall’altro sembra profilarsi, sia pure in modo lieve, la tendenza alla sua contrazione per i livelli gerarchici superiori (dirigenti e quadri direttivi). Quello che è certo è, comunque, il fatto che quasi i 3/5 dei nuovi assunti appartengono a fasce d’età inferiore ai 32 anni, così come risulta in crescita la quota dei laureati (dal 22% al 23%), mentre rimane stabile quella dei diplomati pari ai 2/3 del totale.
Certo, il tema dell’occupazione nel mondo bancario non si esaurisce in queste cifre di dettaglio, perché scorrendo le pagine di questa edizione del Rapporto anche questa volta si trova una sezione di sicuro interesse dedicata alla presenza femminile: una presenza giunta ad oltre il 36% della popolazione complessiva e che per di più viene segnalata in continua crescita al punto da giustificare l’uso di denominazioni di “colore” di questo fenomeno (tipo “valanga rosa”). Questa caratteristica della continuità emerge con ancora maggiore chiarezza se si prende in considerazione un periodo temporale più lungo rispetto alla misura standard dell’anno: in tal caso la quota femminile risulta aumentata in modo marcato (ben 5 punti percentuali) rispetto al 1997, così come contestualmente si registra la riduzione di 11 punti percentuali nel gap tra i due sessi. Peraltro, come qualcuno fa giustamente notare, siamo ancora molto lontani da un riequilibrio in termini gerarchici tra i due sessi, se nonostante un discreto slittamento verso l’alto nei valori di inquadramento professionale, il numero delle donne presenti nelle stanze dei bottoni o comunque in posizione dirigenziale rimane veramente modesta (0,1%).

Ci sono, poi, due altri elementi che connotano ancor più la presenza femminile nel mondo bancario su un piano squisitamente qualitativo: il primo fa riferimento alla percentuale di donne che optano per l’impiego part-time (18% contro l’1% degli uomini), chiaro riflesso di un modello di organizzazione sociale in larga parte ancora tradizionale. Ne è ulteriore conferma un secondo dato, che vede le donne occupare con il 92% la quota sicuramente più significativa dei lavoratori a tempo parziale occupati nel settore bancario.
Ma c’è una terza peculiarità che vale la pena di sottolineare per i suoi riflessi sul piano sociale: il livello di scolarità delle donne bancarie è ormai sicuramente più elevato di quello degli uomini. Con una duplice conseguenza: la prima, che i rapporti di forza risultano invertiti rispetto ad alcuni anni fa con il sorpasso delle donne sugli uomini in possesso del titolo di laurea; e la seconda, che l’incidenza femminile sul totale della popolazione laureata ha avuto un tale impatto da determinare un significativo innalzamento della quota complessiva di laureati sull’universo della popolazione impiegata in banca.
Il capitolo femminile, benché interessante, in realtà non esaurisce il novero delle peculiarità legate alla domanda di lavoro del settore bancario che si possono cogliere leggendo e analizzando le pagine di quest’edizione del Rapporto; infatti, le rilevazioni effettuate consentono valutazioni qualitative sulla composizione per aree funzionali di impiego della domanda stessa, il che è un modo efficace per meglio comprendere come si sta orientando il mercato del lavoro in questo settore.
Ad esempio, la marcata diminuzione della domanda per attività connesse all’operatività di sportello (dal 53% del 2002 al 42% del 2003) è un chiaro segnale di come le banche si stiano muovendo verso ruoli caratterizzati da più elevati livelli di professionalizzazione. In tal senso, a puntuale conferma giunge il dato relativo alle maggiori opportunità per gli specialisti aziendali in promozione finanziaria, marketing e comunicazione con una percentuale di sostituzione che ha compiuto un autentico balzo dal 14% al 30%.
Sui ruoli professionali e sulla relativa facilità /difficoltà di reperimento di risorse umane ancora due brevi ma significative notazioni: su un versante si coglie la maggiore facilità di reclutamento della figura professionale di programmatore informatico, conseguenza immediata della crescente diffusione della cultura dell’innovazione tecnologica tra le nuove generazioni; sull’altro si segnalano persistenti difficoltà nel reclutamento di altre figure professionali, tecnici e responsabili commerciali delle vendite, intermediari finanziari e agenti di Borsa per le quali evidentemente le preparazioni acquisite sul piano dell’istruzione si scontrano sfavorevolmente con le effettive esigenze di mercato.

E voltiamo pagina. Come si accennava all’inizio, un documento come il Rapporto ABI, così ricco di elementi statistici ma anche di considerazioni di merito, bene si presta ad una lettura di secondo livello finalizzata a comprendere gli obiettivi prossimi futuri. Una valida cerniera per questi due aspetti di consuntivazione e prospezione può essere rappresentata dalle parole del presidente dell’ABI, Maurizio Sella, quando afferma: «L’industria finanziaria ha proseguito la fase di crescita e razionalizzazione dei propri assetti organizzativi tendente ad avvicinare la struttura dell’attivo, del patrimonio e dei margini reddituali a quella dei competitors europei». Con ciò delineando il cammino svolto e il percorso ancora da compiere; un percorso certamente non privo di difficoltà se nonostante la diminuzione significativa del costo medio per addetto in termini reali (la flessione complessiva dal 1999 si situa al 2,8%) il confronto su base europea continua ad essere insoddisfacente, perché «l’Italia è tra i Paesi con il costo unitario del personale più elevato in assoluto». Una maggiore attenzione dedicata alle cifre, in realtà, non può che ingenerare una sensazione di relativo sconforto quando il termine di paragone viene posto non solo con le banche inglesi, che notoriamente per tradizione sono considerate le più efficienti e redditizie in Europa, ma anche rispetto al valore medio su base continentale che per il settore retail si posiziona attorno ai 50.000 euro contro i 60.000 delle banche italiane. Occorre, però, subito fornire una precisazione, in quanto l’ABI nel diagnosticare questo deficit di competitività ai danni del mondo bancario italiano pronuncia una sentenza di assoluzione parziale nei suoi confronti, ascrivendo le cause dello squilibrio non solo «a fattori aziendali, ma anche e soprattutto a elementi strutturali tipici del mercato italiano». Uscire da questa situazione non è certamente cosa semplice e di breve periodo; però, si può favorire questo processo di crescita del sistema bancario italiano sul cammino della razionalità gestionale, utilizzando al meglio lo strumentario a disposizione. Ecco allora delinearsi nel ruolo di priorità assoluta la necessità di assicurare la piena funzionalità del Fondo per il sostegno del reddito e dell’occupazione, «quale strumento che consente di gestire efficacemente gli esuberi senza oneri per la collettività». Così come continuare a percorrere il campo dell’innovazione nel campo normativo del lavoro traendo beneficio dai margini di flessibilità offerti sembra un orientamento obbligato, se si vuole adeguare il quadro di riferimento normativo italiano all’evoluzione delle modalità di gestione del lavoro.
Questo è, in definitiva, lo scenario che emerge dal Rapporto e che si sta delineando – è bene rammentarlo – in occasione del rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore bancario; ad esso, come si può facilmente immaginare, sono legate almeno una minaccia e un’opportunità che si possono così sintetizzare. La minaccia: avere un mondo bancario ancora zavorrato dai tradizionali lacci e laccioli e conseguentemente costretto suo malgrado a vedere passare il treno dell’Europa allargata in qualità di spettatore interessato, ma comunque impotente. L’opportunità: inserirsi nel contesto di un’Europa allargata non solo con i blasoni gloriosi e forse un po’ impolverati della tradizione storica dei banchieri rinascimentali, ma con la concretezza di precise opzioni strategiche d’innovazione. Il monito finale è, dunque, che la chiamata alla responsabilità di ruolo si fa sì pressante per il nostro mondo bancario, ma non può non coinvolgere anche il “sistema Paese” con le sue altre componenti.

   
   
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