Giugno 2004

Economia Ue

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L'inutile Direttorio
Pierfrancesco Forte  
 
 

 

 

 

Una guida da parte di Berlino,
di Parigi e di Londra non può funzionare e,
se funzionasse,
sarebbe di sicuro pericolosa.

 

Il direttorio, la leadership creata dai tre “grandi” Paesi europei (Inghilterra, Francia e Germania), non è una gran risposta ai nostri problemi. Anzi, dal punto di vista di un economista, è probabilmente la peggiore risposta possibile. Se l’economia europea soffre per incapacità di governo, per la mancanza di un potere pubblico in grado di orientare le scelte comuni, di farsi rispettare nelle trattative internazionali e di stimolare la rincorsa all’efficienza, ebbene, allora si può tranquillamente dire che una guida da parte di Berlino, di Parigi e di Londra non può funzionare e, se funzionasse, sarebbe di sicuro pericolosa.

La prima ragione per la quale il direttorio non può funzionare è che non sarebbe in alcun modo responsabile dell’euro. La moneta europea ha aumentato di molti punti percentuali il proprio valore nei confronti del dollaro nell’arco di poco più di due anni. Si possono fare tutti i discorsi che si vuole sulla minore produttività del lavoro europeo, sulla necessità di rendere flessibile il mercato, sull’urgenza di aumentare il tasso di occupazione, eccetera. Ma quando il costo nominale del lavoro aumenta di quasi metà per colpa della sola moneta, allora nessuna logica di politica del lavoro ha realmente senso fino a che non si interviene sulla stabilizzazione dei cambi.
Ma il problema è che un’Europa che cercasse di far sentire la propria voce attraverso i tre maggiori Paesi non sarebbe per nulla credibile nei negoziati valutari: intanto, perché uno dei tre Paesi, il Regno Unito, non partecipa nemmeno alla moneta unica e quindi non si capisce a che titolo possa impegnarsi per conto di Paesi esclusi dal negoziato, ma che invece partecipano all’euro. In secondo luogo, perché il negoziato valutario è stato in sostanza delegato perfino dai governi dei Quindici Paesi alla Banca centrale europea.
Nella riunione del G7 a Boca Raton è stato il Governatore europeo a condurre le trattative. Ma i tre Grandi non hanno alcun titolo per condizionare la linea negoziale della Banca centrale europea. Anzi, la cornice istituzionale in cui la Bce opera è molto chiara e ha come interlocutori il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri finanziari.

La seconda ragione per cui il “Directoire” si rivelerebbe addirittura controproducente è che un’alleanza tra Inghilterra, Francia e Germania sembra fatta apposta per concordare linee di difesa dei maggiori gruppi industriali, in modo particolare in Francia e in Germania. Non è un segreto per nessuno che l’iniziativa del Supercommissario per l’Economia sia un’idea ispirata dal Cancelliere tedesco, il quale infatti ha richiesto che la carica venisse assegnata a una personalità del suo Paese, per tamponare le iniziative liberalizzatrici avviate in questi anni dal Commissario per la concorrenza, Mario Monti. Il Cancelliere teutonico è seriamente scioccato dalla possibilità che la Commissione di Bruxelles porti un definitivo e chiarificante attacco alla Volkswagen.
Il gruppo automobilistico di Wolfsburg, i cui bilanci sono a dir poco illeggibili e misteriosi per qualsiasi analista finanziario dell’emisfero occidentale, ha la caratteristica di essere la matrice industriale del Land del Cancelliere stesso, che ne fu – in qualità di premier del Land Bassa Sassonia – anche presidente del Consiglio di sorveglianza. Nuovi attacchi all’industria sarebbero recepiti come una provocazione politica alla quale il Cancelliere intende replicare con una contromossa politica.

Non può sorprendere che la proposta abbia ricevuto grande accoglienza nella capitale francese, dove il presidente della Repubblica si è già mosso in passato per difendere il gigante pubblico dell’elettricità, già finito nel mirino del Commissario Monti negli ultimi anni per le condizioni di privilegio in cui opera non soltanto in Francia, ma anche sul mercato europeo.
Nelle dichiarazioni che hanno accompagnato il vertice di Berlino del febbraio scorso è emersa la necessità di difendere i “campioni nazionali”, cioè le maggiori imprese di ciascun Paese. Difenderle ovviamente dalla concorrenza straniera, attraverso una tutela reciproca offerta dai maggiori partner politici. La definizione di campioni nazionali appartiene agli anni Settanta. La sua applicazione politica porterebbe l’economia europea allo stesso gramo periodo. Sarebbe, in concreto, un gran salto mortale all’indietro.

   
   
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