Non un puro
e semplice genio
del luogo, ma un uomo di profonda
cultura umanistica, di riconosciuta
professionalità scientifica
e tecnica, e di
eccelsa pulizia
morale.
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Cento anni fa moriva Raffaele
Gentile, ingegnere, astronomo, calcolatore dei volumi delle botti
(e del loro “scemo”, cioè della diminuzione progressiva
dei liquidi contenuti, misurata esattamente dal centro “equatoriale”
dei recipienti, ai loro vertici rastremati verso l’alto e
il basso, con un metodo che superò di getto il Nuovo Manuale
dedicato ai “barili legali” dall’architetto civile
Camillo Marzano), disegnatore di gnomoni, e soprattutto studioso
delle volte. Fu, particolarmente in questo campo, osservatore e
progettista insuperato. Per la prima volta, infatti, grazie alla
sua dotta attività, si ebbero una conoscenza diffusa di tutti
i tipi di coperture più largamente in uso nelle costruzioni
leccesi e i calcoli specifici previsti dalle differenti leggi statiche
e dinamiche che ne regolavano la realizzazione: leggi molto spesso
applicate in duplice ordine ascendente, a seconda della complessità
dei progetti e dei volumi spaziali occupati in altezza e in ampiezza.
La straordinaria fantasia dei maestri salentini che dalla fine del
Seicento a quasi tutto l’Ottocento produssero esempi originali
di volte, non solo nelle dimore nobili e borghesi, ma anche nelle
residenze di campagna, negli edifici-opifici adibiti a centri di
trasformazione dei prodotti agricoli, (inizialmente nei frantoi,
in seguito ambienti per le mostificazioni, e da ultimo nei tabacchifici;
ma, ovunque, scantinati e magazzini di ogni dimensione), ha dato
luogo ad un’antologia di architetture spontanee di grande
originalità e di altissimo valore di “interni”.
In queste costruzioni sembrano confluire carsicamente le esperienze
della scuola svevo-normanna che non dimenticano la luminosità
gotica, senza che siano trascurate le fondamentali radici mediterranee,
greche (nel ritmo ascensionale del tholos) e orientali (nella sontuosità
e nelle intriganti linee geometriche delle composizioni strutturali),
in una sintesi unica, realizzata esclusivamente in terra messapica,
e con puntuali riscontri nell’area centro-meridionale della
penisola salentina.
Ne sono esempi emblematici quelli che riportiamo in queste pagine:
schemi a loro modo singolari, e in ogni caso matrici di altre invenzioni
variamente interpretate, articolate, adattate agli spazi disponibili
e al gusto dell’epoca. Esteticamente mai banali, semmai sempre
coinvolgenti nella loro sorprendente “unicità”
che ancora oggi affascina, e che ha portato a indagarne la creatività
anche docenti di Scienza delle costruzioni di primarie università
italiane.
Non solo questo. Il campo di lavoro del Gentile quasi non conobbe
limiti. Amò la musica e fu in corrispondenza con compositori-esecutori
di spartiti con inni, mottetti, messe solenni, testi sacri. Così
come si dedicò con esiti straordinari allo studio della matematica
e alla soluzione moderna di teoremi della geometria classica. Né
trascurò la sistemazione di strade di collegamento fra centri
abitati, al tempo in cui, non solo in Salento, i tracciati del sistema
di comunicazioni erano ancora quelli disegnati dagli ingegneri di
Gioacchino Murat; e la razionalizzazione di opere civili o cultuali
(il Cimitero matinese fu letteralmente “salvato dalle acque”
invasive, con un innalzamento del piano e con il suo ampliamento);
e infine l’impegno amministrativo nella città natale,
che seppe reggere con disinteressato rigore personale.
Dunque, non un puro e semplice genio del luogo, ma un uomo di profonda
cultura umanistica, di riconosciuta professionalità scientifica
e tecnica, e di eccelsa pulizia morale; e un sollecito corrispondente
con altri spiriti magni del tempo sparsi in tutta Italia.
Restano di lui pubblicazioni molto rare e pressoché introvabili,
e con tutta probabilità ci sono anche scritti perduti, o
piuttosto custoditi in archivi gelosamente rinserrati (a Montecassino,
dove trascorse una breve parte della sua vita, dedicandosi allo
studio e alla regola benedettina). Lo ricordiamo, qui, nel segno
di una memoria che spetta riconoscente a chi, da una provincia marginale,
ebbe l’intelligenza e la forza di far conoscere se stesso,
i suoi valori intellettuali ed etici, i suoi studi anticipatori,
e il nome della sua piccola patria, che impose al rispetto e all’ammirazione
più volte esplicitati nelle lettere scrittegli dai migliori
uomini dell’epoca in cui visse.
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