Marzo 2004

LISTINI AMERICANI ED EUROPEI

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Il futuro delle Borse
Pierluigi Siracusa  
 
 

 

 

 

 

Con parole e opere, la Federal Reserve è riuscita a creare le condizioni migliori per la ripresa
dell’economia
e per la risalita
di Wall Street.

 

La domanda è semplice, ma a suo modo angosciosa, almeno per chi tenta di trovare esiti positivi per i propri investimenti: drogata, oppure sostenibile? L’interrogativo che le Borse si sono poste fin dall’estate scorsa sulla ripresa americana si è per il momento risolto per il verso giusto, e il fatto è stato festeggiato con la performance migliore degli ultimi diciassette anni. Dopo tre annate consecutive di corpose cadute: un Orso tanto prolungato non si sperimentava dalla Grande Depressione degli arcinoti anni Trenta del secolo scorso. Ma, archiviato questo anno felice (e del tutto inatteso dodici mesi prima) e guardando al 2004 nella sua interezza, risorgono immediatamente non pochi dubbi: il Toro ritornato fuori dalla tana quanto è realmente robusto? La crescita degli utili delle società quotate è replicabile, oppure frenerà bruscamente, da un momento all’altro?

Un valido antidoto ai facili entusiasmi è l’analisi che emerge dai due primi capitoli dell’ultimo rapporto Ref. sul mercato azionario. Il primo capitolo è dedicato alle Borse statunitensi, il secondo a quelle europee. L’andamento dei titoli azionari sulle due sponde dell’Atlantico è sempre più correlato: il diapason continua ad essere scandito da Wall Street. Nel 2003, addirittura, l’andamento è stato identico (tenendo conto della svalutazione della divisa americana nella misurazione del rendimento). Perché il nesso è finanziario e rispecchia le scelte di portafoglio in un ambiente internazionale sempre più integrato. E perché, lungi dal trovare forza nell’unione delle monete, i Paesi europei continuano a marciare ciascuno per conto proprio; l’ipotesi che con la moneta unica avrebbe infine prevalso una logica settoriale nella scelta di investimento ha finora trovato clamorose smentite nella realtà.
Pertanto, l’esito dell’anno in corso sarà determinato dall’andamento degli indici americani. Sui quali gravano alcune ipoteche. Posto che sarà un anno di elezioni presidenziali e che George Bush non lascerà nulla di intentato per essere rieletto (un elemento a favore di un nuovo rialzo), tuttavia le politiche espansive non potranno durare, e anzi dovranno da una parte tornare coerenti con un’economia in espansione (se, come è probabile, questa tiene: altrimenti per le azioni sono guai), e dall’altra puntare a riassorbire i deficit gemelli (in modo particolare quello con l’estero). Questo implica mantenere la crescita sotto il potenziale per qualche tempo, a partire dal 2005.
Perciò c’è un rischio di rialzo dei tassi, che renderà meno convenienti le quotazioni delle azioni, e che farà venir meno una potente spinta ai consumi. E c’è un rischio di ulteriore svalutazione del dollaro, che già si è tradotto in una maggiore fragilità di Wall Street. Infine, sui conti aziendali pesa l’incognita di fondi di pensione sottocapitalizzati.
Quindi, secondo il Rapporto, «lo scenario più ottimistico per la Borsa sarebbe quello della continuità della politica seguita finora all’insegna della capacità, soprattutto della Federal Reserve, di governare un contesto macroeconomico contraddittorio, contrastando le spinte al rialzo sui tassi a lungo termine. In questo caso, il mercato azionario potrebbe offrire ancora spunti, almeno fino alla data delle elezioni americane (novembre), con possibilità di crescita in ogni caso inferiori a quelle dell’anno passato e soggette a rischi maggiori».
Le Borse di Eurolandia rimangono penalizzate dalle divergenze nelle dinamiche delle singole economie nazionali. I mercati, infatti, continuano a non considerare economicamente e politicamente uniforme l’area-euro. Esiste poi una questione di scarsa rappresentatività dei listini, che ha giocato a favore del rialzo nel 2003, ma che potrebbe girare in senso opposto nel 2004: a un’accelerazione della crescita non necessariamente corrisponderà un miglioramento degli indici. Comunque, le prospettive appaiono superiori a quelle americane, perché il rapporto prezzo/utili europeo è inferiore e potrebbe convergere ai livelli statunitensi.

E veniamo alla corsa delle Borse, di fronte agli ostacoli politici ed economici previsti per il 2004. Il dollaro rende più rischiosa Wall Street. Una corsa a termine? Wall Street ha galoppato nel 2003, spinta da politiche espansive di straordinaria potenza: tassi ai minimi da quarant’anni a questa parte, massiccia svalutazione della divisa americana, rinnovato sostegno dal bilancio pubblico (pari al 6 per cento del Prodotto interno lordo dal 2001). Condizioni irripetibili, le quali hanno determinato un vigoroso slancio dell’economia, degli utili aziendali e degli indici di Borsa. Ma hanno anche causato un quadro macroeconomico instabile, che penalizzerà il rendimento delle azioni nel medio periodo. Ma, ripetiamo, non prima delle elezioni presidenziali del novembre 2004. L’aumento del premio a rischio, ai valori massimi da quattordici anni, rivela la fragilità attribuita alle attuali quotazioni americane.
Gli utili americani oscillano al ritmo della domanda interna. Dollaro giù, profitti statunitensi su. Questa altalena fa perno in teoria su numerosi fulcri: rilancio delle esportazioni, maggiori margini sull’interno, più alta valutazione degli utili generati dalle controllate estere. Nella pratica, la relazione normale è opposta: gli utili sono guidati dalla domanda interna, la cui forza contagia la Borsa, che attrae capitali e fa salire il dollaro. Nel 2003 i profitti hanno beneficiato di entrambi gli effetti positivi (svalutazione del cambio e robusta domanda interna). Si è trattato di un ambo eccezionale, dunque destinato a svanire. Inoltre, sugli utili graverà in futuro la sottocapitalizzazione (stimata in circa 350 miliardi di dollari) dei fondi pensionistici aziendali.
E ancora. Greenspan ha mantenuto bassi anche i tassi lunghi. Con parole e opere, la Federal Reserve è riuscita a creare nel corso del 2003 le condizioni migliori per la ripresa dell’economia e per la risalita di Wall Street: tassi a breve promessi bassi (fino a fine 2004, con tutta probabilità) e rialzo modesto di quelli lunghi. L’equilibrismo verbale del capo della Fed, che ha usato lo spauracchio della deflazione e il possibile ricorso ad “armi non convenzionali”, è stato giostrato su un’economia sempre più sensibile al rialzo del costo del denaro (famiglie indebitate), affamata di fondi (deficit pubblico) ed esposta alle decisioni di un solo investitore (la Cina detiene l’8,5 per cento dello stock del debito federale Usa). Il rischio di un rialzo dei tassi di mercato diverrà più concreto nel corso del 2004, se il dollaro continuerà a scendere e se l’economia mondiale continuerà a correre.

Le Euroborse sono al galoppo, mentre la crescita continua a rimanere al palo. In altri termini: Borse ok, economia ko. Un 2003 schizofrenico per l’area-euro. Con una solida spiegazione razionale nella composizione di Pil e di indici azionari: ciò che conta per il primo pesa poco nei secondi, e viceversa. Due le eccezioni: i beni di consumo e il settore finanziario. Lo scollamento tra economia reale e Borsa è stato comune in tutti i maggiori Paesi, ma è stato addirittura clamoroso in Germania, che ha subìto una vera e propria recessione economica e che ha visto Francoforte salire di un terzo. Stagnazione della domanda interna e apprezzamento dell’euro contano meno per i settori nei quali operano le società quotate, per le quali i prezzi delle materie prime e il rilancio globale dell’high-tech sono più importanti. Da sottolineare: in Eurolandia le azioni rimangono meno care. In Europa è sempre Wall Street a dettare i tipi di danza. Lo storico e stretto legame tra l’andamento di New York e quello delle Borse europee si è confermato nel 2003, nonostante la divaricazione nei tassi di crescita delle due economie. Anzi, in valuta comune il rendimento dell’investimento è risultato superiore nei Paesi dell’Unione europea, rispetto all’America. E tale potrebbe rimanere per l’intero 2004, grazie a fattori favorevoli: margini più ampi di accelerazione economica, assenza di gravi squilibri macro e di relative necessità di aggiustamenti, multipli inferiori e convergenti a quelli americani, rischio dollaro che potrebbe far aumentare il peso delle attività in euro nei portafogli internazionali.
Infine: moneta unica, ma ancora oggi tanti Paesi diversi. Una sola moneta, è vero; ma tanti Paesi, cioè altrettanti mercati azionari. E con rendimenti assai differenziati. Contrariamente alle attese di convergenza nei cicli borsistici e di preponderanza delle dinamiche settoriali, è invece proseguita in Eurolandia la divergenza tra i vari indici di Borsa nazionali. L’effetto-Paese conta sempre di più rispetto all’effetto-settore. Anche perché non è rientrato nel 2003 il divario tra le performances economiche. Mentre gli alterni esiti dei meccanismi di governance (casi Cirio, Parmalat, Finmatica) hanno ampliato i divari di premio al rischio. E nel corso del 2004 un rialzo dei tassi potrebbe riallargare gli spread a scapito dei Paesi più indebitati (l’Italia, in modo particolare) con ripercussioni anche sugli indici azionari.

   
   
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