Dicembre 2003

 

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Poate ca…
Gianluigi Guercia - Ivano Mucerino
 
 

 

 

Ascoltare le
proprie voci di dentro, guardarsi vivere macinando il tempo, è una pena che soltanto la poesia può
lenire.

 

Poate ca… suntem copii strazii

Può essere che… siamo bambini di strada

Camminare per le strade di Bucarest, poniamo, ai primi di febbraio può essere un’esperienza sorprendente. Io l’ho fatto, per la prima volta, nel bel mezzo di un inverno che in Italia si presentava bizzarro e mite. In Romania, invece, la cosiddetta brutta stagione conserva tutto il suo rigore: chiaro, leale; fa il suo dovere con scrupolo irreprensibile per lasciare senza rimpianti il posto, quando verrà il momento, ad una primavera materna che finge ogni anno di arrivare di sorpresa.
Non so dire esattamente cosa mi abbia colpito di questa città: forse qualcosa nell’aria, forse l’aria stessa, il suo colore... la luce. Faccio il fotografo e sarà, quindi, per deformazione professionale se da questa luce mi sono sentito inondato, toccato fin dal momento in cui per la prima volta ho posato lo sguardo su questa terra dalla scaletta di un aereo.
La luce dell’Est. L’ho ritrovata poi negli occhi e nello spirito della gente di Romania e, più chiara e carica di malinconia ancora inconsapevole, nello sguardo dei bambini. Ci sono moltissimi bambini qui, spesso sono bambini di strada, comunque bambini che non ci somigliano, che non si potrebbero scambiare per i fratelli minori dei trentenni adolescenti che sono di casa nelle nostre società occidentali.
Ma qui, in Romania, i bambini sono una delle emergenze sociali: figli della povertà, bambini costretti dall’assoluta indigenza delle famiglie d’origine a cercare di imparare l’arte tragicamente banale del sopravvivere contando solamente sulle proprie forze. Ne ho visti, di notte, abitare le fogne di Bucarest con agghiacciante naturalezza, col cervello bruciato dalla vernice che sniffano per spiegarsi il mondo.

I più fortunati si imbattono da piccoli nell’aiuto dello Stato: conoscono una prima e talvolta una seconda istituzionalizzazione in case di accoglienza che dovrebbero segnare le tappe di un progressivo distacco dalle regole e dallo spirito della vita di strada. Certo, chi ha vissuto la strada non può cancellarne così facilmente le tracce, spesso è una memoria del corpo, più che della mente, ad incaricarsi di mantenerle indelebili, malgrado ogni sforzo.
Sarà forse per questo motivo che l’accorto buon senso di un occidentale potrebbe istintivamente avvertire inquietudine alla vista di una scena come quella, singolare per la verità, a cui si può assistere passeggiando per le vie di Bucarest. Un uomo cammina come un capobranco alla testa di un piccolo gruppo di ragazzi, si muovono frettolosi, rapidi come se fossero a caccia di qualcosa... Se tuttavia il buon senso si facesse meno accorto, le cose si potrebbero probabilmente osservare sotto una diversa luce: nella realtà la fretta è entusiasmo, la caccia è ricerca. Dalla luce dell’Ovest alla luce dell’Est.
Ogni tanto i ragazzi si fermano davanti a bambini che passeggiano con i genitori, fanno domande, intervistano e... fotografano! Fotografano bambini.
Ragazzi, bambini che fotografano bambini. E’ un gioco, un caso, uno scherzo? No, un’idea, una lampadina che si è accesa nella testa del capobranco. Io lo conosco, si chiama Andrea Mosso, anche lui è un fotografo italiano, ispiratore e anima di un’associazione culturale, “CameraOscura”, attiva da anni nell’ambiente fotografico italiano e internazionale e impegnata nella realizzazione di progetti fotografici con un occhio (e spesso più di uno) al sociale.
L’idea di Andrea Mosso in questo momento si chiama “Progettooglinda”, che più o meno significa “Progetto Specchio”: si tratta di un corso di fotografia per bambini di strada che hanno già vissuto esperienze di istituzionalizzazione. Lo scopo che il progetto si prefigge è duplice. Da un lato, in senso più pratico, immediato c’è il tentativo di arricchire la vita di questi ragazzi con nuovi interessi e professionalità. Dall’altro, si vogliono fornire loro gli strumenti tecnici per elaborare una propria via alla percezione delle immagini intesa come ricerca di realtà possibili in cui “specchiarsi”, scoprendosi un “io che crea il mondo intorno a sé”. Un mondo da scoprire e creare allo stesso tempo, che restituisca all’individuo il suo senso più profondo e non serva invece ad umiliarlo con imperativi legati alla sussistenza.

L’idea non è nata oggi. Tra il 1997 e il 1999 “CameraOscura” si è avvicinata alla realtà dei bambini di strada con un lavoro realizzato in collaborazione con l’ONG “Terre des Hommes Italia” e pubblicato dalla rivista Transition, mensile della Harvard University. Da qui la determinazione a realizzare un progetto più grande e duraturo: il “Progettooglinda”, appunto.
I ragazzi coinvolti sono quattro: Florin, George, Wally e Micaela, tutti hanno tra i 16 e i 18 anni d’età, molti dei quali trascorsi dentro case di prima e seconda accoglienza, finché sono arrivati al punto in cui si impara a “camminare da soli” o non si cammina affatto.
Relazionarsi con questi ragazzi direttamente, per quanto entusiasmo possano dimostrare verso una proposta nuova e stimolante come quella di Andrea, può non essere così semplice. Bisogna farlo con umiltà, disponendosi ad imparare il loro linguaggio, i loro tempi prima di trasmettere loro qualsiasi nozione.

Andrea ha insegnato loro ad usare due tipi di macchine: un banco ottico portatile e la macchina da 35 mm. Il banco necessita, per un uso ottimale, del treppiedi, cosicché i nostri aspiranti fotografi sono costretti a fermarsi per utilizzarlo e nascono così fotografie “più pensate”, più accurate. La 35 mm si presta ad un uso più dinamico, premia maggiormente l’entusiasmo, la spontaneità e la voglia di scattare, che certo non fa difetto ai ragazzi. E’ evidente che, per loro, apprendere il procedimento completo di scatto, sviluppo e stampa ha avuto il senso di un atto creativo nel vero senso dell’espressione. Il loro interesse, lo scrupolo leggero nel fare sono identici sia mentre sono intenti ad operazioni essenzialmente tecniche come caricare gli chassis con la carta fotografica, sia quando hanno modo di sperimentare lavori ad effetto più immediato e nei quali possono sbizzarrirsi con la fantasia, come nella realizzazione di una “cianografia”, che consiste nell’impressionare dei grandissimi fogli di carta cianografica con il proprio corpo, esponendola ai raggi ultravioletti del sole.
La tecnica però non è tutto; più importante in questo caso, dati gli scopi del progetto, può essere la scelta delle tematiche. Bambini che fotografano bambini si è detto, ma dove, come?
A volte avviene per caso, in strada, magari al mercato di Obor, dove molti bambini lavorano o più semplicemente accompagnano i genitori a far compere: un volto interessante, una bella luce, ed ecco il desiderio di non lasciarselo sottrarre dal tempo, dalla dimenticanza... così può nascere una fotografia. Altre volte si organizzano appuntamenti fotografici presso istituzioni statali per l’infanzia, come gli orfanotrofi, ma mi viene in mente anche la visita all’Istituto per i Bambini Olimpici... No, no, nessuno corre i 100 piani in 10 secondi netti, qui! Si tratta di convitti per bambini con capacità superiori di apprendimento in discipline come la matematica, le scienze, le lettere. Solo in questo modo lo specchio riflette tutto.
Al termine delle due settimane il numero delle stampe realizzate è altissimo. L’attività di sviluppo e stampa dei negativi viene svolta all’“Art Expò” del Teatro Nazionale di Bucarest, messa gentilmente a disposizione dal suo direttore, Mihai Oroveanu.

Progettooglinda
Progettospecchio

Il progetto, del quale la mostra “Poate ca...” è una delle espressioni più immediate, è stato elaborato dall’Associazione Culturale “CameraOscura”, in collaborazione con “Terre des Hommes Italia”, l’Istituto Superiore di Fotografia e sei istituzioni locali rumene, Assis, Casa Deschisa, S. Maria, Concordia, Art Expò e Ministero degli Affari Esteri rumeno nella persona di Lilian Zanfiroiu.
La prima fase è stata la realizzazione di un “corso pilota”, che è durato due settimane, durante le quali si sono sondate le potenzialità e le problematiche del “Progettooglinda”.
La seconda fase del progetto prevede un corso di fotografia di quattro mesi che permetterà ai ragazzi di avvicinarsi a un’arte che può diventare un lavoro. Ma soprattutto tenterà di farli sentire protagonisti della loro vita, più consapevoli delle loro capacità e in grado di acquistare più fiducia nelle proprie potenzialità. Alla base di ciò la convinzione che la fotografia, oltre ad essere un potente mezzo di comunicazione, di analisi e di sintesi, sia un ottimo strumento per raccontare se stessi e la realtà circostante, accrescendo la propria consapevolezza; inoltre, tra i ragazzi che frequenteranno il corso ne verranno selezionati due tra i più dotati e meritevoli, a cui saranno assegnate due borse di studio, in Italia, per il master professionale, finanziate e messe a disposizione dall’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione integrata di Roma in collaborazione con l’Accademia di Romania.
Con i lavori svolti dai ragazzi durante il corso si realizzeranno un libro fotografico e una mostra itinerante. Il progetto prevede inoltre l’organizzazione di una serie di colloqui per gli allievi, allo scopo di favorire il loro inserimento nel mondo del lavoro.
Nella terza fase del progetto l’Associazione “CameraOscura” s’impegnerà nell’organizzazione di una piccola agenzia fotografica e di una redazione gestita dai ragazzi stessi, con il supporto e la supervisione di collaboratori esterni sia locali che stranieri, giornalisti e fotografi. I lavori dei ragazzi saranno inseriti in un’agenzia fotografica on-line, con lo scopo di costituire un’agenzia indipendente. I ragazzi inoltre provvederanno alla distribuzione delle immagini, sperimentando anche un’ulteriore forma di occupazione, in linea con le finalità del progetto che intende innescare un meccanismo creato e gestito dai bambini e dai ragazzi, protagonisti della fotografia.

E’ giunto il momento di dare visibilità a tutto il lavoro dei ragazzi e di chi li ha seguiti. Wally, la scenografa, prepara un invito, l’invito ad una mostra fotografica. L’invito è una farfalla; il gruppo di giovani fotografi, infatti, si è chiamato fin dal principio di quest’avventura “Ninfe”, larve di farfalle, e ora, alla fine del viaggio, rivendica agli occhi del mondo il diritto di proporsi, di essere considerato come un’entità adulta e consapevole. La mostra viene allestita presso il Teatro “Ion Creangã” di Bucarest e si intitola Poate ca... suntem copii strazii, ovvero “Può essere che... siamo bambini di strada”. Fin dal titolo, la sana noncuranza di chi va per la propria strada... perché sa di averla trovata! Il successo e l’entusiasmo sono travolgenti.
Intanto, mi faccio rapire dalla bellezza delle fotografie di questi ragazzi, dall’immediato e infantile gusto per la composizione. Vorrei essere davvero in grado di descrivere ciò che vedo, ma, più ancora, ciò che sento.
Non ci riuscirò, forse, ma c’è una sensazione che avverto nel guardare queste foto: ancora questa luce, questi sguardi... luce attraverso vetri tersi d’acqua e sapone, colori caldi e decadenti di maglioncini di lana grezza con la zip sul davanti. Scampoli d’infanzia, la mia. Che mi trovi davvero davanti a uno specchio?

   
   
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