Dicembre 2003

IL CASE STUDY DEL COMPARTO INFORMATICO PUGLIESE

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Il finanziamento
dell’innovazione nelle PMI
Valeria Roncone
Dottore di Ricerca - Università degli Studi di Roma Tor Vergata
 
 

 

 

Le imprese pugliesi in particolare
scontano la
collocazione in una regione lontana da quelle del Nord, che possiede un mercato dell’informatica
più vivo.

 

Sommario:
Premessa. 1. Il nuovo scenario competitivo e la diffusione dell’innovazione nelle PMI. 2. Il modello di finanziamento delle PMI pugliesi. 3. La struttura finanziaria delle imprese informatiche pugliesi. Conclusioni.

Premessa

Secondo le più recenti indagini statistiche, il sistema economico nazionale è fortemente caratterizzato da una rilevante presenza di imprese medio-piccole. Il processo di globalizzazione dei mercati, di internazionalizzazione delle risorse produttive e di crescente diffusione di innovazione tecnologica, amplificando i rischi connessi ad un tradizionale modello imprenditoriale le cui caratteristiche potrebbero non costituire più una sufficiente garanzia di concorrenzialità, hanno elevato il grado di dinamismo dei mercati reali, intensificato le pressioni concorrenziali ed elevato la competitività tra i sistemi produttivi.
In un simile contesto le PMI si trovano, quindi, a dover affrontare nuove sfide competitive (Coda, 2002) al fine di poter rimanere al passo con i mutamenti dell’ambiente che le circonda, di non perdere le quote di mercato conquistate grazie ai caratteri di flessibilità produttiva e organizzativa e acquisirne di nuove razionalizzando i costi dei processi produttivi, ricorrendo ai mercati internazionali delle risorse, sviluppando una solida e articolata presenza commerciale sui mercati non domestici, investendo in innovazione tecnologica.

Diviene pertanto importante focalizzare l’attenzione sull’aspetto finanziario della crescita e dello sviluppo delle PMI (Momentè, 2000). Il reperimento di capitali diviene un problema di estrema rilevanza, soprattutto se si considerano le difficoltà che le imprese di minori dimensioni incontrano nel raccogliere i fondi. L’attenzione al tema delle politiche finanziarie delle PMI, del loro rapporto con il sistema bancario e più in generale con i mercati finanziari, trova ragione nelle condizioni di sviluppo che consentono di valorizzare il ruolo di motore da sempre assunto dalle imprese minori che, come anticipato, dal punto di vista quantitativo costituiscono la maggioranza del tessuto produttivo del Paese, mantenendone il livello di competitività e migliorandone la capacità operativa, in una prospettiva di crescita valida nel lungo termine.
Prendendo spunto da queste considerazioni, il lavoro si propone di analizzare le caratteristiche del modello di finanziamento alla base del processo di crescita delle PMI italiane e, considerata l’importanza dell’innovazione nella crescita e solidità delle imprese, di verificare se le PMI operanti in settore innovativi (quale quello dell’ICT) possiedono una struttura finanziaria diversa da quella tipica dei settori tradizionali, oppure se è anch’essa affetta dalle medesime criticità.

1. Il nuovo scenario competitivo e la diffusione dell’innovazione nelle PMI

Il contesto competitivo di riferimento in cui, al giorno d’oggi, le imprese di ogni tipo e dimensione si trovano ad operare è profondamente mutato. Negli ultimi anni, l’accelerazione del progresso tecnologico, la globalizzazione e internazionalizzazione dei mercati, congiuntamente ai fenomeni di liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione, hanno creato le condizioni di un forte mutamento dello scenario competitivo in gran parte dei settori produttivi facendo rilevare, nel mondo delle imprese, come effetto della transizione, il ripensamento delle leve competitive e dei modi di riposizionamento sul mercato.
In particolare, il processo di cambiamento ha investito il quadro competitivo tipico degli anni ‘70 e ‘80, caratterizzato da settori fortemente regolamentati, protetti da barriere all’entrata dei potenziali competitors, dai confini delimitati e quindi da concorrenza locale piuttosto che globale, trasformandolo in uno scenario in cui i settori dinamici e aperti alla concorrenza, deregolamentati, positivi nei confronti dei concorrenti e indefiniti nei loro confini, sono gli elementi caratterizzanti. Tali fenomeni, che rappresentano la spinta al cambiamento, ovvero al passaggio da un contesto locale ad uno globale, hanno anche imposto un nuovo modello impresa di successo. Quest’ultima, fino a non molto tempo fa, ha basato il proprio modello competitivo sul consolidamento di un’idea originale e innovativa e ha sfruttato la propria capacità di adeguamento conservativo per poter sopravvivere e prosperare.

Purtroppo, però, i contesti operativi odierni non garantiscono più la sopravvivenza e il successo delle imprese, se queste non sono in grado di rinnovare costantemente la loro business idea.
Capacità di cambiamento e d’innovazione pongono le imprese di fronte ad un bivio: essere destinate all’emarginazione, se non sono propense ai mutamenti che il contesto impone, oppure agire da imprese innovative e quindi procedere nel miglioramento della qualità dell’offerta, nell’abbattimento dei costi, nella totale riorganizzazione aziendale, nella ricerca di personale sempre più qualificato e con competenze in linea con l’obiettivo aziendale, nel mantenimento di un circolo virtuoso di “crescita della produttività-crescita del fatturato”, per un percorso di crescita profittevole.
Dal punto di vista finanziario, l’elevato dinamismo dei mercati reali e l’intensificazione delle pressioni concorrenziali penalizzano la competitività delle imprese imponendo elevati tassi reali positivi. Diventa essenziale, quindi, la capacità dell’impresa di fronteggiare l’ambiente instabile, in cui i vantaggi competitivi sono continuamente minacciati, cercando di mantenere un certo grado di flessibilità.
In questo caso, ciò che assume centralità è il riposizionamento strategico che consenta di adeguare tempestivamente la produzione alle mutevoli esigenze del mercato, minimizzando i costi. L’accelerazione dei processi di obsolescenza indotti dall’intensa innovazione tecnologica, la variabilità della domanda, l’internazionalizzazione dell’attività economica comportano modifiche degli assetti produttivi, organizzativi e competitivi dei settori industriali.
I mutamenti strutturali dei processi produttivi si intrecciano con nuovi sviluppi dei compiti e del ruolo della finanza d’azienda di cui si spinge l’integrazione con la pianificazione strategica.
Tra i nuovi compiti della funzione finanza possono riassumersi quelli relativi alla capacità di mobilizzare risorse in tempi brevi a supporto delle esigenze di flessibilità operativa e di investimenti in ricerca e sviluppo. Non decentramento, quindi, della funzione finanziaria, ma accentramento, quasi una sorta di “banca interna” che ottimizzi la dinamica delle risorse finanziarie e la gestione dei rischi.
Anche le PMI, in particolare, non sono immuni dagli effetti e dalle sfide di tali cambiamenti: «Se da un lato esse appaiono avvantaggiate dalla loro snellezza e agilità di movimenti, dall’altro si scontrano con problemi della crescita, avvertiti soprattutto nel nostro Paese, a causa di una molteplicità di fattori di natura interna (assetto proprietario e carenza di professionalità manageriali) ed esterna (vincoli finanziari e comportamento delle banche) che ne ostacolano la crescita, imponendo loro, una volta esaurite le potenzialità della loro business idea, di intraprendere iniziative e rilanciarne la crescita». La competitività e lo sviluppo delle imprese sono, in conclusione, legati alla capacità di riorganizzarsi attraverso processi innovativi che riguardano la tecnologia, i processi produttivi e i prodotti.
Il ruolo della finanza consiste proprio nel determinare l’intensità dei processi di acquisizione delle conoscenze e della capacità innovativa e quindi di rinnovamento strutturale.
L’imperativo, pertanto, che oggi si pone alle imprese è innovare. Il processo e la diffusione dell’innovazione possono essere studiati considerando una serie di vincoli, tra cui la relazione tra dimensione dell’impresa e intensità d’innovazione. Chi si è occupato più propriamente di quale fosse la dimensione ottimale per l’innovazione è stato Galbraith, il quale ha rintracciato una correlazione tra dimensione e capacità di promuovere e assorbire l’innovazione. Il soggetto innovativo per eccellenza è la grande impresa, in quanto capace di sopportare gli elevati costi e rischi dell’innovazione realizzando economie di scala rispetto sia alle attrezzature necessarie sia alla profittabilità d’innovazione di processo i cui costi nella grande impresa si ammortizzano più celermente che nella piccola; di contro però i processi di burocratizzazione comportano considerevoli svantaggi circa la rapidità dei processi decisionali relativi all’avvio dei singoli processi innovativi.
«Ripercorrendo i processi d’introduzione di innovazioni tecnologiche di rilievo, altri Autori hanno evidenziato quanto sia ampio lo spazio occupato dalle PMI quale fonte originante di fenomeni innovativi. Allo stato attuale, più che di preminenza di un modello dimensionale rispetto ad un altro, la realtà sembra esprimersi in un modello di complementarità assegnando dei livelli di libertà per quanto riguarda gli aspetti inventivi iniziali, ma richiedendo generalmente l’intervento dell’azienda di grandi dimensioni quale strumento di diffusione dell’innovazione nel suo stato di maturità».
In Italia, in particolare, le PMI sono state considerate come il modello d’impresa in grado di contrapporsi a quello di organizzazione industriale basato sulle economie di scala (le grandi imprese), in quanto capaci di combinare capacità innovativa, flessibilità organizzativa ed efficienza produttiva.
Una recente indagine dell’ISTAT sull’introduzione di innovazioni tecnologiche da parte delle imprese italiane nel triennio 1998-2000 ha confermato come la diffusione dell’innovazione vari significativamente tra le classi dimensionali e i settori economici (Tab. 1).
Dai dati riportati in tabella si può evincere uno stretto legame tra propensione ad innovare e dimensione aziendale in termini di addetti. Infatti, nel triennio 1998-2000, tra le imprese dell’industria in senso stretto, ha introdotto innovazioni il 31,4% delle imprese con 10-19 addetti, il 42,6% con 20-49 addetti, il 56,9% delle imprese con 50-249 addetti e il 73,9% di quelle di dimensione superiore a 250 addetti.
Anche nel settore dei servizi vi è un simile orientamento: infatti, la percentuale di imprese passa dal 18,2% nella fascia di imprese con 10-19 addetti al 23,7% nella classe con 20-49 addetti, al 31% in quella con 50-249 addetti e infine al 45,1% nelle imprese con oltre 250 addetti.
L’indagine effettuata non si è soffermata esclusivamente sull’aspetto dimensionale, ma ha anche approfondito il grado di diffusione dell’innovazione nelle imprese italiane considerando, in particolare, gli effetti scaturenti e gli ostacoli esistenti.
Dopo aver rilevato gli effetti dell’innovazione, considerati molto importanti per le imprese industriali e di servizi (per le prime, l’effetto principale dell’introduzione di innovazione è il miglioramento della qualità dei prodotti, seguito dall’effetto di aumento della capacità produttiva; per le seconde, l’effetto principale è la possibilità di accesso ai nuovi mercati o aumentare la propria quota di mercato e solo secondariamente il miglioramento della qualità dei servizi), l’ISTAT indaga i principali ostacoli all’innovazione.
Le imprese innovatrici, sia dell’industria sia dei servizi, hanno indicato che i maggiori ostacoli all’introduzione di innovazioni sono di natura economica (Fig. 1).
Dalle imprese industriali sono considerati molto importanti gli ostacoli rappresentati dai costi troppo elevati (18,1%), dalla mancanza di finanziamenti (15,9%) e dai rischi eccessivi (11,5%); le imprese di servizi considerano molto importanti per prima la mancanza di finanziamenti (12,3%), successivamente i costi troppo elevati (11,8%) e infine i rischi eccessivi (11,3%). Altri ostacoli considerati molto importanti, seppure con minor frequenza, sono rappresentati dalla mancanza di personale qualificato (11,3% per le imprese industriali e 9,1% per le imprese di servizi) e l’insufficiente flessibilità delle normative e standard tecnici vigenti (8,3% per le imprese industriali e 8% per le imprese di servizi).
In generale, la difficoltà di reperire finanziamenti costituisce un ostacolo relativamente più frequente per le imprese innovatrici. Gli ostacoli sopra evidenziati (scarsità di finanziamenti, costi elevati, rischio economico eccessivo) incontrati dalle imprese innovatrici italiane possono essere considerati l’espressione ultima delle caratteristiche del processo innovativo che, comportando un orizzonte temporale di definizione dell’innovazione e di produzione degli effetti della stessa e l’immaterialità degli output, rendono appunto incerto, economicamente rischioso e quindi costoso un progetto innovativo.
Tutto ciò si ripercuote sulla finanziabilità del processo in esame e sulla scelta delle varie modalità di finanziamento (banche, interventi pubblici, investitori istituzionali), poiché tali criticità possono interferire nella valutazione della convenienza all’investimento da parte di qualsiasi finanziatore. Nel caso in cui quest’ultimo sia una banca, una valutazione negativa dell’investimento potrebbe portare all’applicazione di tassi attivi di finanziamento elevati o addirittura a fenomeni di razionamento del credito nei confronti di quelle imprese con progetti più rischiosi. Infine, considerando anche la situazione di imprese di piccole e medie dimensioni: «La maggior parte delle PMI non dispone di una strategia di investimento per l’innovazione ben definita. La decisione di innovare avviene per lo più nell’ambito di routine, secondo percorsi generalmente piuttosto regolari. In particolare, la decisione di effettuare investimenti in innovazione non avviene con modalità e motivazioni troppo diverse da quelle per altri tipi di investimento. E’ quindi comprensibile che l’incentivo considerato più adatto a stimolare l’attività innovativa sia quello che stimola, in genere, l’attività di investimento, e cioè un’espansione dell’attività produttiva».
Per ovviare a quanto detto, le imprese devono, raccogliendo la sfida della creazione del valore economico, procedere ad un’attenta valutazione degli investimenti innovativi in modo tale da meglio quantificare il proprio fabbisogno finanziario e discriminare tra le varie fonti di finanziamento disponibili.


2. Il modello di finanziamento delle PMI pugliesi

L’indagine effettuata dall’ISTAT ha evidenziato le problematiche finanziarie incontrate dalle PMI lungo il percorso di sviluppo del processo di innovazione. Le difficoltà riscontrate sono ricollegabili alle caratteristiche del tradizionale modello di finanziamento alla base della crescita di questo tipo di imprese.
La struttura dell’impresa italiana presenta diverse caratteristiche di fondo che vale la pena segnalare per le loro implicazioni dal punto di vista finanziario:
• la dimensione media relativamente piccola è un fattore coerente con un modello di gestione finanziaria “elementare”;
• l’assetto proprietario incentrato sulla famiglia comporta una naturale tendenza alla commistione dei due ambiti e la necessità di minimizzare la trasparenza informativa;
• la debolezza delle strutture manageriali limita lo spazio per lo sviluppo di competenze “non tecniche”, come sono quelle finanziarie;
• la scelta ricorrente a favore della formula del gruppo (anche per microdimensioni) rappresenta un ulteriore fattore di carenza informativa.
Tali elementi hanno favorito operazioni finanziarie a basso valore aggiunto (poco servizio, standardizzazione, valutazione “leggera”), sviluppato un contesto in cui viene esaltata l’asimmetria informativa di cui soffre il finanziatore, rafforzato la discrezionalità del proprietario/imprenditore, indebolito la capacità di selezione ex ante e di monitoraggio ex post del finanziatore.
L’analisi delle caratteristiche finanziarie delle PMI consente di mettere in luce una serie di elementi che qualificano il comportamento finanziario delle imprese e i rapporti con il sistema finanziario:
• il forte ricorso delle imprese all’indebitamento bancario a breve, soprattutto per quanto riguarda le imprese meridionali, per le quali nel 2001 i debiti bancari erano pari al 198 per cento del valore aggiunto contro il 135 per cento per quelle del Centro-Nord;
• l’utilizzo limitato di strumenti di debito di mercato;
• la residualità dei mezzi propri.
Nell’ambito delle imprese meridionali, i dati relativi alle caratteristiche finanziarie delle imprese in Puglia sono forniti dalla Banca d’Italia nelle proprie “Note sull’andamento dell’economia della Puglia nel 2002”.
In generale, i prestiti bancari sono aumentati del 7,1% nel 2002, in accelerazione rispetto al 2001 (3,4%) e in misura superiore rispetto alla media dell’Italia.
In particolare, la crescita dei prestiti alle imprese è ascrivibile alla componente a medio e lungo termine (15%). Quella a breve termine ha mostrato una dinamica flettente del –0,7%, prevalentemente per effetto della minore domanda proveniente dalle imprese industriali di dimensioni maggiori.
A livello settoriale, i prestiti al settore dei servizi sono cresciuti del 10,4% e all’agricoltura del 7,1%, mentre quelli all’industria sono rimasti stazionari, interrompendo la dinamica positiva degli ultimi quattro anni.
Le politiche delle banche non hanno penalizzato le imprese di minori dimensioni. Nel 2002 i prestiti a favore delle imprese con affidamento inferiore a 500 mila euro hanno registrato un incremento dell’8,9%, contro il 7,8% delle imprese di dimensioni medie (con affidamento compreso tra 500 mila e 2,5 milioni di euro) e il 3,5% delle imprese maggiori. I finanziamenti alle piccole imprese hanno rappresentato nel 2002 il 33,5% del totale, contro una media nazionale e dell’Italia meridionale rispettivamente del 18,9% e 28,3%.
Dal 1998 al 2002 il tasso medio annuo di crescita dei finanziamenti alle imprese minori è stato del 6,6%, contro il 7,7% delle imprese medie e il 6,8% di quelle maggiori. La crescita dei prestiti alle imprese minori ha riguardato in prevalenza la componente a medio e lungo termine. I finanziamenti a breve alle piccole imprese sono rimasti stazionari, mentre sono aumentati del 5,5% annuo nei confronti delle medie imprese e del 5,0% per le imprese maggiori.
La Banca d’Italia ha inoltre indagato la struttura finanziaria delle imprese sulla base dei bilanci di un campione di imprese censite dall’archivio CERVED. Da tale analisi risulta che dal 1997 al 2001 il grado di indebitamento delle imprese pugliesi, misurato dal rapporto tra debiti finanziari e patrimonio netto, è rimasto sostanzialmente stazionario, intorno al 57%.
Nel 2001 il grado di indebitamento delle imprese in Puglia risultava superiore alla media dell’Italia centro-settentrionale e meridionale rispettivamente di 4,3% e 2,3%.
Nel 2001 il peso dei debiti finanziari e dei debiti bancari in rapporto al valore aggiunto risultava in Puglia più elevato rispetto alla media dell’Italia centro-settentrionale e lievemente inferiore a quella del Mezzogiorno. La quota dell’indebitamento bancario è rimasta sostanzialmente stabile nel tempo.
L’incidenza dei debiti bancari sul totale dei debiti finanziari nel 2001 era maggiore dell’11,5% rispetto a quella delle imprese del Centro-Nord e in linea con quella delle imprese meridionali.

3. La struttura finanziaria delle imprese informatiche pugliesi

Al fine di confermare l’importante ruolo svolto dall’innovazione nell’ambito del processo di crescita e sviluppo delle PMI, è stata svolta un’analisi della dinamica strutturale e competitiva delle piccole e medie imprese con sede legale in Puglia e operanti nel settore dell’Information & Communication Technology (ICT).
In particolare, di tale settore si è considerato il comparto informatico (escludendo quindi quello delle telecomunicazioni), che in regione presenta una maggiore numerosità in termini di imprese attive.
La scelta di considerare questo tipo di comparto è giustificata dal fatto che da alcuni anni l’economia dell’informazione e dei servizi (meglio nota come New Economy) sta assumendo un ruolo trainante nell’evoluzione dei sistemi economici. Le nuove tecnologie legate all’informazione e alla comunicazione ben possono essere considerate come “catalizzatori” del cambiamento. Esse sono in grado di facilitare la creazione della conoscenza nelle società innovative. La New Economy trova nell’ICT gli strumenti per diffondere il potenziale conoscitivo. E’ per questo motivo che il generare ricchezza è sempre più legato alla capacità di aggiungere valore attraverso i prodotti e i servizi propri dell’ICT.

Il valore e l’importanza di quest’ultima sono fattore cruciale anche in riferimento al mondo della finanza: basti pensare, ad esempio, all’avvento di Internet e della rivoluzione digitale, alla globalizzazione delle reti di comunicazione, alla telematizzazione dell’accesso ai mercati finanziari e di ogni attività concernente la proposizione e l’esecuzione degli ordini degli investitori in strumenti finanziari e all’innovazione tecnologica nell’ambito dei sistemi di pagamento.
Conoscenza, informazione e informatizzazione sono ormai diventati elementi cardine del sistema economico in cui viviamo. Il ciclo di sviluppo tecnologico e la sua implementazione sono in continua evoluzione. Oltre il 50% del PIL dei Paesi OCSE più ricchi si basa oggi sulla produzione e la distribuzione di conoscenza.
In Puglia, la struttura delle imprese operanti nel settore ICT si concentra sul comparto informatico e su una minore quota di imprese di ricerca e sviluppo e delle telecomunicazioni.
I dati a disposizione indicano che su un totale di 13.400 aziende operanti nell’ITC in Italia, il 16% circa è localizzato nel Mezzogiorno, e di queste il 21,3% approssimativamente è costituito da aziende pugliesi, con una prevalenza di rivenditori (commerciali), cui si contrappone una presenza inferiore di operatori a maggiore valore aggiunto.
Su un totale di circa 13 mila addetti pugliesi, la ripartizione dei comparti produttivi dal punto di vista occupazionale è la seguente:
• le imprese informatiche rappresentano il 56% del totale, con poco più di 7.300 unità;
• le imprese di ricerca e sviluppo costituiscono il 9%, con circa 1.200 addetti;
• le imprese di telecomunicazioni rappresentano il 35% delle imprese, con circa 600 addetti.
Predominano le imprese di piccola e piccolissima dimensione, come testimoniato dalla ripartizione per classi di fatturato: nella classe fino ad un miliardo di fatturato si concentra il 41% degli occupati, a fronte del 24% compreso tra 1,1 e 5 miliardi di fatturato, del 13% compreso tra 5,1 e 10 miliardi e del 23% nella fascia con oltre 10 miliardi di fatturato.
Per quanto concerne il numero di addetti, non risultano presenti imprese con più di 250 unità. Il 62% degli occupati risulta impiegato in imprese fino a 50 addetti, a fronte del 38% che è impiegato presso imprese di media dimensione, comprese tra 51 e 250 unità.
A livello territoriale risulta confermato il ruolo del capoluogo regionale, dove è localizzato il 48% dell’occupazione totale, seguito dalla provincia di Lecce (26%), Brindisi (11%), Taranto (10%) e Foggia (5%).
L’analisi della struttura finanziaria delle PMI operanti nel mondo dell’ICT è stata effettuata utilizzando una metodologia quantitativa per indici applicata ad un campione di 46 imprese, con l’obiettivo di poter verificare se esse, poiché operanti in un settore con caratteristiche sicuramente più innovative, dispongono di una stabilità e solidità patrimoniale e finanziaria migliore di quella delle PMI operanti nei settori più tradizionali (industria, costruzioni, etc.).
Gli indici adottati possono essere sinteticamente ripartiti nei seguenti gruppi:
• Indici economici o di redditività. Tra questi indici, che sono in generale la categoria più interessante degli indicatori di bilancio poiché forniscono lumi sulla redditività e sulla efficienza dell’impresa, sono stati presi in considerazione i seguenti:
1) ROE (utile netto / mezzi propri) = indica la remunerazione del capitale investito dall’imprenditore.
2) ROI (reddito operativo / capitale investito) = indica la remunerazione dell’intero capitale investito, ossia a prescindere dalla natura delle fonti. E’ un indice di efficienza globale.
3) ROS (reddito operativo / ricavi di vendita) = indica la redditività delle vendite.
• Indici patrimoniali e finanziari. Hanno l’obiettivo di fornire indicazioni sugli equilibri desumibili dallo stato patrimoniale. Quelli utilizzati sono i seguenti:
1) Leva finanziaria o leverage (capitale investito / mezzi propri). E’ utilissimo per mostrare l’effetto moltiplicatore dei risultati gestionali derivante dall’indebitamento.
2) Indice di copertura delle immobilizzazioni nette con mezzi propri (mezzi propri / immobilizzazioni nette). Verifica, se superiore all’unità, l’equilibrio finanziario derivante da un corretto uso delle fonti (a medio/lungo termine) per acquisizioni di immobilizzazioni (ossia di impieghi a medio/lungo termine).
3) Indice di indipendenza finanziaria (mezzi propri/capitale investito) e indice di dipendenza finanziaria (mezzi di terzi / capitale investito), che indagano su “chi” fornisce i mezzi per l’acquisto dei fattori produttivi.
4) Indice di elasticità degli impieghi (attivo corrente / capitale investito) e indice di rigidità degli impieghi (immobilizzazioni nette / capitale investito). Analizzano l’attivo dello stato patrimoniale, al fine di individuare problemi di eccessiva rigidità degli impieghi, derivanti dalla presenza di cospicue immobilizzazioni.
5) Indice di rotazione del capitale investito (ricavi di vendita / capitale investito), a parità di condizioni, e tenuto conto delle forti differenze esistenti tra i diversi settori, tanto più è elevata la rotazione, migliore è la gestione aziendale.
Successivamente all’individuazione e al calcolo degli indici si è provveduto alla determinazione, per ogni classe del campione, degli indici medi per classe e riferiti ad ogni anno compreso nell’intervallo temporale di osservazione. La valutazione dei singoli indici è stata effettuata facendo riferimento all’unità, convenzionalmente considerata nei testi di analisi di bilancio.
L’analisi degli indicatori del campione osservato ha evidenziato, complessivamente, una situazione positiva della stabilità e della solidità patrimoniale e finanziaria delle imprese informatiche pugliesi.
In generale, si è potuto osservare che nell’arco del triennio di osservazione, l’anno 2000 ha rappresentato un momento di rottura della fase di crescita, dovuta probabilmente al momento di crisi registratasi a livello mondiale. I dati economico-finanziari del campione evidenziano, infatti, un rallentamento in corrispondenza di tale periodo, per poi dimostrare una capacità di ripresa caratterizzata da valori positivi di crescita.
Il campione ha evidenziato, innanzitutto, una buona redditività e di conseguenza una maggiore remunerazione del capitale investito nel processo produttivo. Ciò è confermato sia da un elevato turnover (rotazione di capitale investito), che garantisce un veloce rientro del capitale investito, sia da positivi valori di liquidità immediata. Tale livello di redditività porta a considerare adeguati i livelli di efficienza e di convenienza all’investimento nel settore in esame.
Il livello di liquidità positivo ha permesso di concludere per un campione sano con attività correnti eccedenti le passività correnti (il che significa ridotta rigidità degli impieghi e quindi maggiore adattamento alle mutazioni delle condizioni economiche del mercato di riferimento) e soprattutto scorte di magazzino ridotte. Quest’ultimo aspetto è molto importante se si considerano le criticità del settore, caratterizzato da elevati livelli di obsolescenza dei prodotti. Pertanto, un ammontare di scorte elevato, qualora invenduto, può obbligare ad organizzare attività di svendita o stoccaggio con riflessi negativi sul fatturato.
A fronte di una buona redditività non corrisponde però un altrettanto equilibrio tra mezzi propri e mezzi di terzi. La composizione delle fonti di finanziamento evidenzia come le imprese pugliesi di informatica siano dipendenti da mezzi di terzi rispetto al capitale proprio. Ciò è confermato anche da un margine di struttura in prevalenza negativo, che sta ad indicare l’insufficiente dotazione dei mezzi patrimoniali e l’eventualità di dover limitare i processi di espansione autonoma della produzione e compromettere anche l’equilibrio economico aziendale. La dipendenza dall’indebitamento è confermata anche dagli elevati valori dell’indice di indipendenza finanziaria, valori che però si mostrano decrescenti, soprattutto dal 2000, ed evidenziano un’inversione di tendenza verso un maggiore orientamento al capitale proprio.
L’incidenza delle passività a breve è piuttosto elevata (superando il 50% del totale del passivo); però è da notare che la componente bancaria ha un peso ridotto rispetto al totale dei debiti: ciò denota la tendenza di un maggior ricorso al debito di fornitura piuttosto che a quello bancario.
Di contro, si assiste ad una crescita dell’incidenza delle passività consolidate a medio e lungo termine sul totale del passivo, fattore questo considerato molto importante al fine di poter raggiungere quell’equilibrio finanziario che consenta all’impresa di essere solvibile nel medio e lungo periodo.
Il giudizio sul livello dell’indebitamento può essere positivo in quanto si è in presenza di attività a breve capaci di coprire le passività correnti, di valori decrescenti dello stesso livello e di un graduale aumento delle passività a medio e lungo termine. Infine, anche l’incidenza degli oneri finanziari sul fatturato, benché di una certa rilevanza, non spinge a prospettare per queste imprese, nel lungo termine, situazioni di dissesto.
L’esistenza di un buon livello di redditività del campione, associato ad una struttura finanziaria non troppo equilibrata, in cui l’ammontare del capitale dei terzi supera quello proprio (comportando un certo ammontare di oneri finanziari e un certo rischio finanziario percepito dai terzi finanziatori), è sintomatica di un impiego redditizio delle risorse prese a prestito.
Il rendimento è superiore al costo delle risorse stesse, e quindi è possibile avere effetti complessivamente positivi sul reddito finale aumentando l’indebitamento (fino a quando ovviamente l’aumento di rischio legato al crescere dell’indebitamento, aumentando il tasso d’interesse richiesto dai finanziatori, non inverta la relazione, inizialmente favorevole, tra rendimento e costo dei debiti finanziari).
I risultati sin qui evidenziati hanno trovato conferma in uno studio effettuato dall’Unioncamere Emilia-Romagna nel proprio Rapporto sull’Economia Regionale nel 2000 e previsioni per il 2001 intitolato “Imprese ICT e imprese tradizionali a confronto attraverso l’analisi dei bilanci aziendali” avente il nostro medesimo obiettivo: verificare che le imprese operanti in settori innovativi abbiano una crescita più dinamica supportata da una struttura finanziaria migliore delle imprese operanti in settori tradizionali.
In particolare, lo studio evidenzia che le imprese appartenenti al settore ICT consentono una maggiore remunerazione del capitale impiegato nell’attività dell’impresa, cioè dell’intero capitale investito nel processo produttivo, rispetto alle altre imprese tradizionali, e sono caratterizzate da una minore rigidità degli impieghi e da una maggiore liquidità immediata, cosa attribuibile al forte clima di fiducia sugli investimenti nel settore. La composizione delle fonti di finanziamento evidenzia come le imprese ICT siano maggiormente dipendenti dal capitale di terzi rispetto al capitale proprio.
Se si osserva la propensione all’indebitamento, è interessante sottolineare che, a fronte di un maggior ricorso al capitale di terzi, le imprese della New Economy preferiscono fonti di finanziamento di lungo e medio termine. Anche la redditività ottenuta da queste imprese risulta essere superiore a quella delle imprese tradizionali, dovuta probabilmente alla minore incidenza dei costi sul valore della produzione nell’impresa della nuova economia.
Se confrontata con la struttura finanziaria del campione a livello nazionale (Tab. 4), quella delle imprese pugliesi dimostra una buona capacità di rimanere al passo con le colleghe nazionali di medesima dimensione, in quanto i valori evidenziati sono molto simili, se non, in alcuni casi, anche migliori.
Pertanto, circa la stabilità e solidità patrimoniale e gli aspetti reddituali e di liquidità, si possono far valere le medesime considerazioni appena svolte a livello locale, ad eccezione di alcuni aspetti:
• il margine di struttura, che per il campione regionale era in prevalenza negativo, diventa positivo a livello nazionale, sottolineando una più equilibrata struttura finanziaria in termini di copertura delle immobilizzazioni con mezzi propri;
• il tasso di incidenza dei debiti finanziari a breve termine del campione nazionale è pressoché il doppio di quello regionale; questo associato ad una maggiore incidenza delle passività correnti sul totale del passivo, evidenzia un maggiore squilibrio verso le fonti di finanziamento a breve, rispetto a quello del campione regionale che, invece, fa rilevare una certa attenzione verso quelle a medio e lungo termine, la cui incidenza è maggiore rispetto all’Italia.
Da quanto sin qui sostenuto, il settore informatico pugliese dispone di un grosso potenziale di crescita, ma non bisogna dimenticare di considerare che esso rileva anche delle grosse criticità di mercato per diversi motivi, qui di seguito sintetizzati:
• forte concorrenza nazionale ed estera;
• concorrenza di prezzo su prodotto similare;
• estrema facilità di obsolescenza del settore sia hardware che software;
• estremo rialzo dei prezzi, legato anche ad un periodo di crisi generale, che può comportare dei tagli sugli investimenti (in termini di innovazioni tecnologiche, progettazione, impiego di risorse umane);
• l’acquisto di programmi e/o macchine di ultima generazione comporta per l’impresa, da un lato, grossi impegni finanziari a medio e lungo termine, dall’altro il rischio di facile sorpassabilità di tali prodotti e bassissima possibilità di reimpiego degli stessi con modifiche tecniche ed effetti economici contenuti;
• le imprese pugliesi, in particolare, scontano la collocazione in una regione lontana da quelle del Nord, che possiede un mercato dell’informatica più vivo. La distanza fisica potrebbe essere ridotta puntando su una maggiore differenziazione del prodotto, anziché limitarsi a quelli fin troppo standardizzati.
I risultati raggiunti ci consentono di concludere che il campione osservato, seppure non presenti un sufficiente equilibrio tra le fonti e gli impieghi e sia comunque squilibrato verso l’indebitamento, dispone di un elevato potenziale di crescita e di una dinamicità maggiore delle imprese più tradizionali.
I dati confermano la dinamicità imprenditoriale nel settore ICT e la maggiore crescita rispetto al comparto Industria e Servizi; essi sono inoltre corrispondenti alla fase di crescita generalizzata registratasi in Puglia dal 1995 al 200123.
Ulteriore corrispondenza con i risultati raggiunti si ritrova con riferimento alla specializzazione settoriale in cui, in Puglia, sono sicuramente le imprese di software e dei servizi a determinare l’andamento del settore.
Conclusioni

Le considerazioni svolte nelle pagine precedenti hanno preso le mosse dalla convinzione che l’attuale modello imprenditoriale e di sviluppo delle PMI sia ormai inadatto a costituire garanzia di concorrenzialità di queste imprese e che l’adeguamento alle condizioni mutevoli dell’ambiente circostante - supportato da un modello di finanziamento che trovi le proprie condizioni di equilibrio sia in un evoluto rapporto con il sistema finanziario che nella ricerca di strumenti finanziari innovativi - sia potenzialmente garanzia di crescita e di sviluppo continuo per le PMI.
L’attenzione a questa particolare tipologia di imprese è derivata dalla constatazione che la struttura del nostro sistema industriale è basata sulla loro presenza predominante. Esse si trovano ad operare in un contesto profondamente mutato in cui fenomeni di globalizzazione, internazionalizzazione, deregolamentazione e d’innovazione tecnologica e finanziaria rappresentano la spinta al cambiamento, ovvero al passaggio da un contesto prettamente locale ad uno globale.
Si impone, pertanto, un nuovo modello di impresa che basi il proprio successo sul rinnovamento continuo della propria business idea.
Sulla base di un’indagine statistica fornita dall’ISTAT, si è verificato che a guidare le fila delle imprese innovatrici sono di gran lunga le imprese di più grandi dimensioni. Per le imprese più piccole la difficoltà principale che inibisce il processo di diffusione dell’innovazione è quella di reperire finanziamenti, associata ai costi elevati e al rischio economico eccessivo che una piccola dimensione, sebbene caratterizzata da vantaggi di flessibilità produttiva e organizzativa, non riesce ad ammortizzare.
La rischiosità dell’innovazione e la difficoltà di definizione dell’orizzonte temporale dell’innovazione e della produzione dei suoi effetti sono gli elementi fondamentali che incidono sulla reperibilità di risorse finanziarie per le PMI.
Le problematiche inerenti il finanziamento delle PMI, che si sono accentuate in questo particolare momento di turbolenza del sistema economico, non sono da addebitare esclusivamente alle caratteristiche del processo d’innovazione, ma sono storicamente dovute ad un modello imprenditoriale le cui caratteristiche possono essere sintetizzate in: ruolo chiave dell’imprenditore, tipicamente dotato di scarsa cultura finanziaria; coincidenza tra proprietà e controllo, chiusura della proprietà agli apporti esterni di capitale di rischio; scarsità di risorse manageriali, concentrazione del processo decisionale nella persona dell’imprenditore.
A ben vedere, quindi, un modello di sviluppo rigidamente collegato con la chiusura mentale del soggetto economico di riferimento.
E’ sulla base di queste considerazioni che si ripropone l’aspetto finanziario dello sviluppo delle PMI. In relazione all’analisi del modello di finanziamento, i caratteri della struttura finanziaria delle PMI italiane forniti dalla Banca d’Italia, e da altri autorevoli studiosi, hanno indicato la tendenza delle stesse a finanziare il proprio modello di sviluppo facendo un elevato ricorso all’indebitamento bancario a breve termine.
Si è osservato come le PMI abbiano fatto prevalentemente ricorso al canale bancario nonché ad un intenso utilizzo del credito di fornitura, condizionate da una serie di vincoli esogeni ed endogeni che non hanno consentito loro di ispirarsi a quei princìpi generali individuati dalla dottrina e di comporre in maniera equilibrata la propria struttura finanziaria.
Infine, considerata l’attenzione particolare che si è avuta per l’aspetto “innovazione” nell’ambito dello sviluppo e del finanziamento delle PMI, nella parte finale del lavoro ci si è focalizzati sulle tipicità della struttura finanziaria delle PMI in Puglia che, diversamente da quanto visto nel resto dello studio, operano in un settore che può essere considerato particolarmente innovativo come quello dell’Information & Communication Technology.
I risultati dell’analisi effettuata su tali imprese, confortati da quelli ottenuti da altre indagini empiriche, hanno infatti dimostrato come la struttura finanziaria delle imprese che operano in settori innovativi dispone di maggiori potenzialità di crescita, nonché della capacità di attirare investimenti nel settore, assicurando una maggiore redditività e quindi remunerazione del capitale investito.

   
   
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