Dicembre 2003

Costituzione europea: occasione mancata contro la decadenza

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Il mantello di Licurgo
Claudio Alemanno
 
 

 

 

Athena dovrà
impegnarsi a fondo per trasformare le cicale in formiche, portando gli attori politici su binari
di dialogo non
contaminati da
nostalgie carolinge.

 

Meglio mercanti che fanno i politici o politici che fanno i mercanti? Con questo dilemma si è conclusa la Conferenza intergovernativa a presidenza italiana. Il varo della Costituzione europea è rinviato, ma la diplomazia è già al lavoro per scongelare i punti controversi del negoziato.
Il primo pensiero va a Licurgo, leggendario legislatore di Sparta. Con la Costituzione che porta il suo nome il potere è affidato a due re (nella Costituzione europea la Commissione e il Consiglio dei Ministri), assistiti da un Senato aristocratico e da un’Assemblea di liberi (nella moderna versione europea, l’Europarlamento).
Sparta esprime un precedente illustre di storia costituzionale. Lo abbiamo citato perché Valéry Giscard d’Estaing, presidente della Convenzione che ha elaborato il progetto, sembra sensibile ai richiami simbolici. Durante i lavori, ha esibito sempre una piccola tartaruga di alabastro (antiquariato cinese).
Purtroppo la tartaruga non vola e, quando cammina, si muove lentamente. Un handicap riscontrato anche nei lavori della Conferenza intergovernativa (Cig). Il pesante clima politico non sembra costituire un buon viatico per un Trattato costituzionale definito dallo stesso Giscard «prezioso e fragile».
Per il cammino futuro meglio riflettere ancora su Licurgo e chiedere aiuto ad Athena, dea forte, simbolo di equilibrio e di saggezza.
Negli eventi storici, conta il “pensiero illuministico” più delle firme e delle parole di convenienza pronunciate. La frammentazione delle idee ci ricorda che unità non vuol dire unicità. Una considerazione ovvia, che ha bisogno di essere chiarita quando il frastuono delle grida soffoca il sommesso sussurro dei fatti. Il cronista deve registrare un collage di mugugni sopiti; deve decifrare volti tesi, sguardi assenti, silenzi pietrificati. Deve compiere slalom tra scenari a rischio e deve essere pronto a cogliere nel ronzio delle parole la sottile barriera che separa il rifiuto-rifiuto dal rifiuto morbido. Dribblando le diverse proposte, deve districarsi tra le ombre lunghe che le sovrastano, tra mille ragioni di opportunismo che rimbalzano da una Cancelleria all’altra.

Athena dovrà impegnarsi a fondo per trasformare le cicale in formiche, portando gli attori politici su binari di dialogo non contaminati da nostalgie carolinge. Cercando livelli minimi di sintonia tra Istituzioni, Società e Soggetti statuali abituati ad aggregarsi in composizioni variabili secondo convenienza. Dovrà compiere un miracolo autentico: far decollare un “patto sociale” che abbia la forza di sconfiggere le logiche del comparaggio e diffondere la cultura del melting pot, trasformando popoli diversi in un popolo unico.
Questi macigni tengono bassi gli indici di gradimento interno e di credibilità esterna.
Nei rapporti Usa-Gran Bretagna esiste un sodalizio talmente forte da far pensare all’attualità di un sogno antico, alla restaurazione di un percorso d’integrazione interrotto dalle guerre d’indipendenza (i tempi dell’insurrezione per la tassa sull’importazione del the sono lontani). Ciò crea nel cuore dell’Europa oggettive asimmetrie di idee e di linguaggio. Come si possa rendere compatibile un progetto del genere con un disegno europeo autonomo, non omologato a volontà transatlantiche, è materia di studio per gli esperti di relazioni internazionali.
C’è l’asse franco-tedesco che avalla un’Europa diversa, a due velocità; c’è poi un contrasto diffuso, sottile e impalpabile, tra la voglia d’integrazione e le resistenze espresse dagli egoismi della deriva comunitaria locale che rappresenta la prima cellula sociale di appartenenza (l’arcipelago frastagliato delle culture molecolari).

Esistono in Europa consorterie di potere tenacemente sopravvissute ad ogni governo e ad ogni politica. Morto un sistema di potere, i suoi “avanzi” continuano a far parte della nomenklatura. L’Italia è maestra insigne: è successo con gli angioini, gli aragonesi, i guelfi, i ghibellini, i neri, i bianchi, i rossi e da ultimo con il ritorno di due vecchie consorterie mai scomparse, quelle dei piagnoni e degli arrabbiati (girotondi e altri circoli che gestiscono gli scontenti).
Il Grande Gioco non riguarda più i fattori d’integrazione economica e territoriale, con decisioni adottate in Club elitari (tra prìncipi della finanza e prìncipi della politica) per soddisfare gli aspetti dell’upper class europea, dei ceti abbienti. Adesso bisogna trovare i cromosomi di una “laicità” europea con caratteri peculiari distinti dalle mode pervasive di un Occidente americanizzato (bisogna metabolizzare un’autonoma realtà economica e istituzionale, anche in relazione alla remota possibilità di un progetto di Confederazione tra le comunità delle due sponde dell’Atlantico).
La società civile europea si presenta all’appuntamento costituzionale con le stimmate del suo Edipo borghese. La presenza diffusa di castellani e contrade ha prodotto un mosaico di feudalità governate ieri e oggi dai baroni della politica (la buona creanza crea poi Re e Viceré). La sua organizzazione si regge su una rete fitta di fortini familistici e corporativi che danno linfa quotidiana alle moderne suggestioni di tardo statalismo poste a presidio degli steccati di difesa. Conservatori e progressisti, imbrigliati nello schema destra-sinistra, fanno a gara per produrre cambiamenti restaurativi o di cosmesi, mai ispirati ad effettiva volontà di innovare le logiche dello sviluppo (privilegiando le sinergie interattive su scala europea rispetto alle logiche di prossimità ai governi nazionali).
Di riflesso, la politica istituzionalizzata ha costruito tre aree d’influenza dialoganti con patti saltuari di armistizio: un polo anglofono con tendenze autonomiste; un polo Nord-europeo, con epicentro Berlino, di tendenza liberista e federalista; un polo Sud-europeo, con epicentro Parigi, di tendenza statalista e protezionista. Schieramenti privi di respiro europeista, senza una metamorfosi antropologica del capitalismo europeo.
Domanda e offerta di unità resteranno virtuali fino a quando prevarrà la concezione “collettivista” della società, con la politica soggiogata dal fascino delle premières danseuses, dal primato delle caste che governano gli interessi sociali diffusi. Le nuove istituzioni dovranno operare al centro di una folla interclassista, con compiti difficili di mediazione tra cultori di vitalizi, tra patrizi e plebei della globalizzazione. Con questo cursus honorum rendere concreta l’idea di “bene comune” – risorse, mezzi, obiettivi comuni – non è impresa facile (è di grande attualità l’ultima ricerca storica su Firenze di Francesco Bruni, La città divisa. Le parti e il bene comune da Dante a Guicciardini, il Mulino, Bologna, 2003).
Il peso delle incognite politiche e sociali non sminuisce comunque il complesso lavoro di mediazione svolto in sedici mesi. Con 207 iscritti alla Convenzione, tra titolari e supplenti di 28 Paesi, con 20 lingue da coordinare e altrettante culture da rispettare, si è creato un laboratorio di ricerca che ha inaugurato una nuova regia istituzionale. Un crogiuolo di riflessione offerto a rappresentanze allargate e composite. Certamente ha fatto strada l’idea di un’Unione inadeguata, se intesa solo come zona di libero scambio.
Qualcuno ha paragonato il Presidente Giscard a Benjamin Franklin, uno dei Padri fondatori della Costituzione americana di Philadelphia (anche il termine “Convenzione” ricorda l’Assemblea che varò la Costituzione americana del 1787, ancora vigente). In comune hanno il successo personale conseguito in avanzata età (77 anni per Giscard, 81 per Franklin). Per tutto il resto, le differenze sono abissali.
La Costituzione di Philadelphia nasce in stato di necessità, sulle ceneri di una guerra civile che aveva aperto profonde ferite sociali e dissanguato molte casse statali (il “bene comune” era palpabile). Nasce tra coloni arricchitisi all’ombra dell’Impero britannico, decisi a mettersi in proprio per costruire un impero alternativo (va sottolineato che l’idea dell’impero negli Stati Uniti è sempre attuale. Segnaliamo due testi freschi di stampa: Empire, dello storico di Oxford Niell Ferguson, d’ispirazione repubblicana, ed Empire Light, di Michael Ignatieff, professore di pratica dei diritti umani ad Harvard, d’ispirazione democratica).
La Costituzione europea nasce invece da istanze politiche espresse da un gruppo di Stati come complemento e completamento dell’euromercato, tra sentimenti popolari di sostanziale indifferenza. C’è di più. Resta ancora fuori dalla discussione dei popoli (i probabili referendum potranno riservare sorprese) e si cala in una realtà sociale dove pensieri ed emozioni sono affidati alla democrazia del Web che guarda con sospettoso distacco tutto ciò che avviene al di fuori del suo mondo (non è casuale che vada aumentando il divario tra le centrali del potere e la loro legittimazione).

La nostra sensazione è che nell’atelier di Giscard sia stata coltivata una mediazione centrata sull’obiettivo minimo di compiacere tutti ad ogni costo, evitando interessi offesi e orgogli feriti. Si è prodotto un affresco liberty, privilegiando un dialogo epidermico tra Paesi grandi e piccoli, tra istituzioni europee e nazionali. In bilico tra due anime anemiche, quella federale e quella intergovernativa. Si è data enfasi ai princìpi di una democrazia generalista, si è attribuita personalità giuridica all’Europa, si è ridotto il diritto di veto dei Paesi membri (ma non è stato eliminato nelle decisioni di politica estera), si è introdotto il voto con doppia maggioranza (Stato, popolazione), ma è stato confermato il principio dell’unanimità in molte decisioni di governo. Non è consentita l’elezione diretta dei cittadini per nessuna carica istituzionale e il nucleo di massimo potere resta attribuito al Consiglio dei Ministri (organo legislativo degli Stati membri frazionato per materia, Ecofin, Agricoltura, ecc.).
E’ mancato il salto di qualità verso approdi federali, per cui l’Europa degli europei resta ancora in mezzo al guado. Presentando il documento finale, Giscard ha sostenuto che non è il risultato di un compromesso, ma la sintesi di volontà diverse. Sarà così, ma si tratta di volontà con molte riserve mentali, essendo depositarie di uno spirito di conservazione che offre sensibilità europea a corrente alternata, privilegiando il carattere nazional-unitario dei sistemi politici e amministrativi. La gerarchia dei “valori europei” è dominata dal modernismo affaristico, mentre l’impegno per uno spirito unitario non riesce a sfuggire alla tentazione della retorica (si creano organismi di coordinamento, si fanno esperimenti di collaborazione, ma non si intravvedono ancora modelli operativi di corporate governance).
Anche quando c’è consenso pieno, come per l’adozione di un ministro degli Esteri, molte riserve pratiche rimangono (è difficile pensare a una sede diplomatica guidata da un ambasciatore italiano con consiglieri tedeschi, inglesi, francesi, spagnoli…). Non basta un ministro per fare una Politica. Viene in mente il Prometeo di Eschilo: quando Prometeo, rivolto al coro che gli chiede quale farmaco avesse trovato per ovviare all’incapacità degli uomini di prevedere il loro destino, risponde: «Speranze cieche piantai nei loro cuori» (Pr., 247-252).
Speranze cieche anche per l’Europa? Al momento, non si vedono segnali di una grande passione civile europea. Resta di moda il nichilismo della scuola nietzschiana, con i valori del “pensiero comune” che si svalutano, mentre si dilatano le dinamiche conflittuali proposte da movimenti nazionalisti e localisti. La Costituzione rappresenta una frontiera simbolica per un passaggio illuminato dalla Storia alla Cronaca, attraverso la ricerca di modelli di convivenza civile non appiattiti solo sul linguaggio silente delle pietre e sull’orgoglio delle tradizioni e della memoria (un inno all’autocontemplazione). Deve tracciare il solco delle mutazioni possibili. Deve divulgare una fede laica, costruire un’identità sovranazionale e diffondere l’orgoglio di un destino comune. Deve offrire in breve l’idea compiuta di una società europea non solo mercificata e storicamente imbalsamata.

Al di là dei prodigi dell’effetto mediatico, nell’architettura di un impianto costituzionale assumono significato di rilievo i momenti meno emblematici, quelli che tracciano il percorso di revisione (le cosiddette clausole evolutive).
Anche la Costituzione americana, pur affermando princìpi di libertà e uguaglianza, non prevedeva in origine la loro applicazione agli amerindi e agli afro-americani. Fu necessario un emendamento successivo per sanare questa lacuna. L’abolizione della schiavitù e di alcuni tratti oligarchici del testo originario e molte altre vicende che hanno prodotto l’espansione dei diritti civili in America sono legati agli emendamenti costituzionali. Certamente, dopo l’euro le priorità europee vanno ad una diplomazia, una sicurezza e una difesa comuni. Ma non vedendo all’orizzonte congreghe di golpisti, i giuristi più agguerriti saranno chiamati dopo il varo ufficiale della Costituzione ad affinare i meccanismi di aggiornamento di un testo che presenta una curvatura politica troppo appiattita sugli equilibri esistenti (evitando di fotocopiare i cavillosi percorsi italiani che rendono quasi impossibile la riforma della nostra Costituzione).
Una Costituzione moderna non può ignorare il ruolo centrale dell’individuo e il suo diritto/dovere di difendersi dalla dittatura delle maggioranze. Il capitolo dei diritti umani soggettivi lega intimamente il futuro assetto costituzionale alla Carta dei diritti fondamentali varata a Nizza nel 2000. I diritti della persona non possono prescindere dallo spazio istituzionale in cui si esercitano, pertanto restano aperti molti dossier che politici e giuristi dovranno riempire. Si può accettare la tesi dei piccoli passi, ma non quella dei piccoli acconti, affidando il nocciolo della cultura unionista al momento in cui saranno massimizzate le rendite statuali di posizione.

Chi si preoccupa per le sorti dell’Europa unita dovrà lavorare per dare dignità democratica alla cittadinanza e fare crescere una società attiva e competitiva, riducendo le ragioni della crisi etica, economica, normativa e gestionale. La condizione schizofrenica vissuta finora, con politiche di stop and go, non rasserena l’orizzonte. Così come non aiutano confusione e contrapposizione tra esigenze di cassa e strategie sociali.
Molti angoli devono essere smussati. Come superare le questioni di “rango” tra Paesi grandi e piccoli che animano sempre punture di spillo e malesseri di trincea? Come conciliare le tendenze centraliste dell’etica cattolica con lo spirito individualista ed efficientista del capitalismo protestante? Come rendere compatibili i poteri forti di un regionalismo minuto con le esigenze di uniformità tecnico-economiche imposte dalle nuove identità globali? Come conciliare le esigenze di governo del sistema con la complessa elaborazione di un diritto comunitario a due vie, del corso ascendente e del corso discendente?
Ecco alcune contraddizioni che rendono l’idea della difficoltà che incontra l’immagine dell’Europa unita alla Borsa del potere. Non si può creare nuova normalità se al posto di nuove verità si perpetuano vecchie diatribe nel governo del quotidiano.
Sulla via di una maggiore integrazione non turba tanto l’indifferenza dei partiti e dei governi (sempre portatori di interessi specifici) quanto quella della società civile e dei suoi movimenti (l’embrione dei grossi eventi politici), da sempre più sensibili alle tematiche dei diritti universali, dei diritti civili e della democrazia associativa. Parlano di pluralismo e pensano al singolare (forse per rispetto alla grammatica). Marciano per la pace, contro la guerra e l’oppressione delle dittature, ma non marciano per l’Europa (talvolta marciano contro, com’è accaduto recentemente in Polonia, dove è comparsa la scritta E.U.tanazia, eutanasia).

Sotto il profilo economico, i nuovi Paesi portano in dote 75 milioni di cittadini con reddito inferiore alla metà di quello dei vecchi Paesi Cee. Una pioggia di opportunità in attesa di regole, mettendo in conto che sarebbe incauto lasciare i nuovi cittadini europei nelle condizioni attuali. Nei sistemi economici emergenti le nuove ragioni di convenienza dovranno comunque rispettare il misery index, l’indice della miseria, dato dalla somma del tasso d’inflazione e del tasso di disoccupazione (non deve mai superare i 10 punti, standard di sicurezza sociale).
I supremi valori espressi dalla Carta costituzionale potranno aiutare il processo integrativo. Per agevolare un bipartitismo maturo che farebbe chiarezza nel quadro politico. Per tracciare l’identikit del post-italiano, post-tedesco, post-francese, ecc. togliendo spazio ai sentimenti claustrofobici che continuano a farci pregare in lingue diverse il Dio della domenica. Il battesimo della futura Costituzione europea non sarà facile, dovendo operare tra soggetti che usano armi moderne per conseguire risultati immediati e soggetti che usano armi medioevali per colpire a distanza e senza rumore, con l’intento di portare a casa successi futuri. Sotto il profilo monetario, l’Europa a 25 Stati è divisa tra chi ha adottato l’euro, chi lo ha rifiutato e chi attende di scegliere.
Sul versante interno la cittadinanza europea integra e non sostituisce la cittadinanza nazionale. Diventa così urgente la creazione di uno spazio comune per la circolazione delle persone (si pensi ai visti, ai controlli di frontiera, alle politiche dell’immigrazione). C’è la necessità di fare fronte ai vuoti giuridici che nascono in ragione di molti accordi dei nuovi Paesi dell’Unione che non saranno più validi dopo la firma del Trattato. E c’è ancora la necessità di rendere efficienti i sistemi giuridico-giudiziari dei Paesi di recente adesione, per tutelare i diritti dei creditori internazionali.

In politica estera la visione dominante di un sistema multipolare spinge gli Usa a sollecitare un rapido allargamento dell’Europa verso Sud-Est, includendo la Turchia, i Balcani, l’Ucraina e il Caucaso, mentre i Paesi dell’Unione prediligono al momento una linea più rigida e selettiva (i confini della nuova Europa restano comunque porosi).
La ricerca di autorevolezza e di credibilità avviene sul fronte pragmatico del fare e dunque della capacità di disporre di politiche realistiche e persuasive. Si tratta di vedere come evolveranno le dinamiche dei “poteri” e dei “controlli” (pesi e contrappesi di un sano equilibrio costituzionale).
Il progetto costituzionale ha unificato i simboli. Abbiamo una bandiera (12 stelle oro disposte a cerchio su fondo blu), un inno (l’Inno della gioia di Beethoven) e un motto, “Uniti nella diversità” (ricorda il primo motto della Costituzione americana, “e pluribus unum”, scelto da John Adams, Benjamin Franklin e Thomas Jefferson). Sarebbe più aderente alla realtà un altro motto, europeo Doc, vecchio di 200 anni, “Concordia et Integritas”. Appartiene all’impero Rothschild, che già nel 1996 aveva riunito gli affari dei due rami della famiglia, quello inglese e quello francese. Un segnale su cui dovremmo tutti riflettere di qua e di là della Manica.
Per creare una borghesia rinascimentale che sappia prendere per mano una società europea adolescente. Per fare sistema, creando uno spazio giuridico europeo che abbia codici, polizia, magistratura inquirente e giudicante. Per uniformare i colori dell’arcobaleno-Europa non evidenziati dalla bandiera che nei cuori e negli uffici resta sempre seconda rispetto alla bandiera nazionale. Riflesso di una povertà pedagogica che produce debolezza politica ed economica. Con il rischio di sfarinare sogni e bisogni unionisti, intrappolati nella mitologia di un’Europa esausta di storia e storie di borgate, di campanili, di confraternite.

   
   
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