Dicembre 2003

Dilemmi europei

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Obiettivo occupazione
D.M.B.
 
 

 

 

L’obiettivo
è spingere i Paesi dell’Unione europea a prendere misure contro il ritiro
anticipato,
come pure
aumentare il tasso
di occupazione.

 

Non sarà soltanto una stagione di manovre finanziarie per i governi dei Quindici. Già alle prese con una crescita piuttosto bassa, con disavanzi pubblici che sforano i parametri prefissati, con impopolari riforme del welfare e con un’inflazione che in molte Capitali ha ripreso a salire piuttosto pericolosamente, i leader dell’Unione europea vedono ora spuntare un altro problema di fondamentale importanza: come creare nuovi posti di lavoro con la congiuntura sfavorevole.
Sul fronte della disoccupazione, l’Europa mostra in realtà risultati migliori del recente passato. Dal 2000 sono stati creati cinque milioni di nuovi posti (molti dei quali nel settore high-tech) e oggi l’esercito dei senza lavoro è, in media, all’8 per cento. Per fare un confronto, negli Stati Uniti la percentuale dei disoccupati è stabile al 6 per cento, però negli ultimi 21 mesi sono stati persi un milione e 200 mila posti. Secondo i dati dell’ILO, l’Organizzazione internazionale del lavoro, un lavoratore americano è più produttivo di uno europeo, sia grazie al maggior numero di ore lavorate sia grazie alla tecnologia informatica e nei servizi.
Il panorama del Vecchio Continente, invece, presenta non poche zone d’ombra. Intanto, se il motto scelto dall’Unione europea è “more and better jobs”, più lavoro e migliore, fino a questo momento i Quindici sembrano aver fatto le riforme puntando più alla quantità dei posti che alla qualità. Inoltre, l’ingresso di nuovi partner dall’Est rischia di modificare abbastanza i dati statistici. Infatti, alcuni dei Paesi di prossima entrata nell’Ue hanno livelli di disoccupazione altissimi, com’è il caso della Polonia e della Slovacchia.

Infine, il capitolo occupazione rappresenta l’altra faccia del rovente tema dei sistemi pensionistici. Secondo le stime di Bruxelles, in Europa oggi ci sono quattro lavoratori per ogni pensionato oltre i 65 anni: fra meno di cinquant’anni ce ne saranno soltanto due. L’obiettivo è spingere i Paesi dell’Unione europea a prendere misure contro il ritiro anticipato, come pure aumentare il tasso di occupazione. Il vertice di Lisbona, tre anni fa, lo fissò ad almeno il 70 per cento: tradotto in numeri, oltre quindici milioni di nuovi posti entro il 2010. Un divario non piccolo da colmare, almeno per alcuni Paesi: in Italia, che pure può vantare un calo della disoccupazione media all’8,3 per cento, è occupato appena il 55 per cento della forza lavoro totale, con i fortissimi sbilanciamenti che sono noti: maggiore occupazione maschile rispetto a quella femminile, maggiore occupazione nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali e insulari.
Come agire? Bruxelles ha già individuato le priorità, elaborando una sorta di decalogo che comprende norme di comportamento comuni. I dieci comandamenti prevedono, ad esempio, un piano personalizzato di ricerca del lavoro per chi è disoccupato da almeno quattro mesi e un’esperienza di lavoro o di formazione per gli inattivi da almeno un anno. E poi l’obbligo di dimezzare il tasso di abbandono scolastico e di innalzare l’istruzione secondaria all’80 per cento della popolazione tra i 25 e i 64 anni.
Il compito di individuare meglio le aree di sofferenza del mercato del lavoro europeo e di studiare le soluzioni è stato affidato a un gruppo di otto esperti, guidati dall’ex premier olandese Wim Kok. Le conclusioni dei lavori, che sono iniziati lo scorso mese di aprile, sono state recentemente presentate, con un quadro di fondo già tracciato: «C’è una preoccupazione comune per la congiuntura economica attuale. I governi europei devono trovare immediatamente maggiori risorse per creare occupazione». Come, del resto, sta accadendo negli Stati Uniti.
Proposte concrete messe sul tappeto? Il primo cambiamento utile è legare gli orientamenti per l’occupazione alla politica economica. I Paesi dovrebbero consegnare nelle mani di Bruxelles due pacchetti insieme: ciò che propongono di fare per la crescita economica, e la strategia per l’occupazione. In questo modo, produttività, competitività e nuovi posti di lavoro andranno di pari passo.
Un secondo problema è che, per ottenere più posti, i Paesi hanno cercato di aumentare la flessibilità. Passo corretto, se non fosse che questo a volte ha comportato precarietà. Ben lo sanno i più giovani, che entrano ed escono con discontinuità dal mondo del lavoro, e i disoccupati di lunga durata, che stentano a ricollocarsi sul mercato per mancanza di qualificazione. Qui, la soluzione deve essere l’istruzione. Ogni lavoratore deve avere la sua “lifelong learning”, una formazione continua per l’intero corso della sua vita professionale. Soltanto mantenendo sempre aggiornate le proprie competenze, insomma, un lavoratore può sperare di restare a lungo in un’azienda produttiva.
C’è, poi, il punto delle differenze salariali. E qui è molto difficile intervenire, perché imporre di eliminare le diseguaglianze delle buste paga può essere una trappola: porta all’aumento del lavoro nero.

Da ultimo, restano gli specifici problemi nazionali. Le situazioni sono molto diverse. I Paesi del Nord, come la Svezia, la Danimarca, i Paesi Bassi e l’Irlanda, hanno buoni livelli occupazionali e buoni redditi. In Gran Bretagna, invece, il reddito pro capite non è sempre adeguato, perché c’è maggiore flessibilità. La Spagna ha una buona dinamica occupazionale, ma anche un eccessivo livello di lavoro a termine. In Francia, il problema sono i lavoratori anziani.
E l’Italia? Purtroppo, i nodi rimangono sempre gli stessi: le differenze territoriali tra Nord e Sud e tra le stesse regioni del Mezzogiorno, e il sommerso, diffuso indiscriminatamente sia nelle regioni del Nord che in quelle del Sud, con alti indici di lavoratori clandestini.
Quanto alle donne, Bruxelles chiede ai governi di dimezzare il divario degli stipendi percepiti (rispetto a quelli più alti dei colleghi maschi) e aumentare i posti negli asili-nido, fino ad accogliere il 90 per cento dei bambini fra i tre anni e l’età scolare. Con qualche suggerimento pratico: se un’imprenditrice belga deve prendere un congedo di maternità, può contare sulle “imprenditrici volanti”, che la rimpiazzano durante l’assenza.

   
   
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