Dicembre 2003

L’Europa utile

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In campo anche
contro il carofigurine!
Mario Pinzauti
 
 

 

 

La forma
delle scatole
dei pomodori
e quella dei cetrioli ci ricordano come l’ottusità
e l’eccesso di zelo non risparmino
un ridotto numero di dirigenti
e funzionari delle istituzioni europee.

 

Utile: ma anche impicciona e, qualche volta, perditempo? La domanda riguarda l’Europa di cui ci occupiamo in questo spazio della nostra Rivista. L’Europa impegnata per migliorare la vita dei cittadini. L’Europa che abbiamo definito “utile”, quella che, come abbiamo documentato nei precedenti articoli, è al lavoro per difendere la nostra salute, la nostra alimentazione, per aumentare e migliorare le nostre possibilità di lavoro, i nostri viaggi, i nostri studi, la nostra cultura e tanto altro. Ma che, a giudizio di qualcuno, a forza di far tanto finisce con il fare troppo, anche quello che non sarebbe necessario fare o, addirittura, sarebbe meglio evitare.
Un giudizio recentemente espresso dal ministro del Tesoro Tremonti – «L’Europa funzionerebbe meglio se non sprecasse energie per occuparsi della forma delle scatole dei pomodori pelati» – mette, per così dire, il dito sulla piaga o presunta tale. Richiama infatti alla nostra attenzione l’esistenza di interventi europei su problemi di modestissima rilevanza o tali da poter essere lasciati alle competenze dei governi nazionali.

Fatta questa ammissione, va anche però subito dopo aggiunto che la piaga è una piaghetta e costituisce un’eccezione davvero eccezionale. La forma delle scatole dei pomodori pelati e pochi altri casi di interventi europei di non sicura utilità e serietà (un altro, qualche anno fa, riguardò la forma dei cetrioli) ci ricordano che a questo mondo nessuno e niente è perfetto e che quindi è inevitabile che l’ottusità, l’eccesso di zelo e altri difetti umani non risparmino un ridotto numero di dirigenti e funzionari delle istituzioni europee. Ecco così qualche sbaglio, qualche leggerezza, forse qualche episodio di vera e propria stupidità.
Ma ecco anche gli atti positivi, interessanti, importanti dell’Europa utile. Ed eccoli in quantità enorme, in maggioranza talmente schiacciante da permetterci di affermare tranquillamente che le eccezioni non fanno che confermare la regola, contribuendo così a mettere in evidenza la validità dell’Europa utile.
Tanto più perché spesso, anzi quasi sempre, tale validità, per chi sa guardare e valutare con obiettività, è confermata perfino da molti casi che, in partenza, sembrano destinati a portare acqua al mulino di chi ironizza sull’Europa utile o addirittura la critica pesantemente. Potrebbe perfino avvenire (non abbiamo sufficienti elementi di giudizio per affermarlo con certezza) per la forma delle scatole dei pomodori. Certamente avviene per gli interventi europei di cui parleremo in questo articolo, quelli che riguardano nientedimeno che… le figurine Pokemon e i giardini zoologici!
Prendere questi due casi per dimostrare che si tratta di esempi di validità dell’Europa utile sembra, lo sappiamo, un’arrampicata sugli specchi. Non lo è, nonostante l’ingannevole apparenza. I lettori che avranno la pazienza di seguirci si convinceranno da soli che anche occupandosi di figurine Pokemon e di giardini zoologici l’Europa utile può fare, anzi fa, una bella figura.

Cominciamo con le figurine Pokemon. Stampate (su licenza della giapponese Nintendo) dalla multinazionale americana Topps, dal 1999 in poi hanno conquistato un vasto pubblico di bambini, adolescenti e anche un buon numero di adulti. E sono diventate la materia prima di un ottimo giro di affari. Nel 2000 le vendite delle figurine e degli adesivi raffiguranti i 250 personaggi del gioco Pokemon hanno raggiunto, nello Spazio Economico Europeo (15 Paesi dell’Unione più Norvegia, Islanda e Liechtenstein), 600 milioni di euro, pari a 1.161 miliardi delle vecchie lire. Una cifra di tutto rispetto.
Fatta questa osservazione, dato che ognuno è libero di spendere, anche di sprecare a proprio piacimento i soldi che ha in tasca, niente altro ci sarebbe tuttavia da dire se da un’indagine della Commissione europea non fosse risultato che i mille e passa miliardi di vecchie lire incassati in un anno con la vendita di figurine e adesivi sono stati messi insieme ricorrendo a espedienti non proprio corretti, anzi in aperta violazione con le norme europee che regolano la concorrenza nell’Unione.

L’indagine è scattata nel 2000 sulla base di una denuncia che segnalava abissali differenze di prezzo nella vendita delle figurine e degli adesivi nei diversi Paesi dello Spazio economico europeo. Un corpo di ispettori della Commissione si è messo in moto. E visitando i vari Paesi europei ha fatto scoperte strabilianti. In Francia le figurine e gli adesivi di Pokemon erano venduti a un prezzo che era il doppio di quello praticato in Spagna e molto più alto anche di quello richiesto in Italia. Il record era rappresentato dalla Finlandia: in questo Paese, figurine e adesivi costavano il 243 per cento in più che in Portogallo.
Come poteva avvenire? Gli ispettori hanno approfondito l’indagine e sono arrivati al perché e al per come: tutte e due semplicissimi, anzi elementari. La differenza enorme nei prezzi delle figurine nei vari Paesi era, in un certo senso, pilotata. Faceva parte di una strategia finalizzata a realizzare, senza troppi scrupoli, i massimi profitti.
Per scendere nel concreto, la Topps, attraverso la sua organizzazione europea e alcune reti nazionali di distribuzione, era intervenuta per impedire quella che avrebbe potuto essere la giusta soluzione del problema, cioè le esportazioni di figurine adesive dai Paesi dove i prezzi erano più bassi (come il Portogallo) ai Paesi dove – come in Francia – erano più elevati. Se questo tipo di esportazioni fosse avvenuto le differenze si sarebbero, come minimo, ridotte notevolmente. Sarebbero però anche diminuiti gli incassi della Topps e di alcuni distributori regionali.
Era il costo da pagare per il rispetto delle norme sulla concorrenza stabilite, tra l’altro, con il Mercato Unico Europeo (entrato in vigore nel ‘93). Ma la Topps e i suoi alleati hanno preferito cavarsela con disinvolte contromisure. In pratica, hanno fatto di tutto per impedire le esportazioni dai Paesi con prezzi bassi ai Paesi con prezzi alti. Sono arrivati – a quanto risulta dagli atti dell’indagine – a minacciare il taglio delle forniture di figurine e di adesivi ai distributori che non si fossero adeguati a tale linea.
Accertati i fatti, la Commissione europea è intervenuta presso la Topps facendo presente che il sistema in atto nella distribuzione delle figurine e degli adesivi violava le norme europee ed era quindi illegale. La multinazionale ha promesso di mettersi in regola. Avveniva a novembre del 2002. Sono trascorsi alcuni mesi e un successivo controllo ha accertato, nel corso del 2003, che poco e niente era cambiato. E’ scattato allora un procedimento formale contro la Topps per violazione dell’articolo 81 del trattato dell’Unione europea, cioè, detto in parole più povere, per avere impedito la concorrenza. «Si tratta di comportamenti – ha commentato Mario Monti, commissario europeo – che hanno l’effetto di mantenere artificialmente alti i prezzi al consumo e costituiscono una violazione delle norme antitrust». «La Commissione – ha aggiunto Monti – ha combattuto tali comportamenti illeciti nel passato e continuerà a farlo energicamente».

Che succederà ora? La Topps ha alcuni mesi di tempo per difendersi dagli addebiti; potrà chiedere anche che un suo rappresentante sia ascoltato dalla Commissione europea. Se con questi interventi non dimostrerà di avere ragione – e pare improbabile che riesca a farlo – sarà obbligata a rispettare le norme sulla concorrenza. Dovrà anche pagare una multa che potrebbe essere molto pesante. E come conseguenza di tutto questo il “commercio parallelo”, o transfrontaliero, cioè quello che si svolge dai Paesi a prezzi più bassi ai Paesi a prezzi più alti, con sensibili benefici per i consumatori, avrà dall’Europa utile un ulteriore incoraggiamento, com’è già avvenuto con i precedenti interventi della Commissione contro le non giustificabili differenze dei prezzi delle principali marche di automobili nei vari Paesi europei.
Bene, ci sembra di non esserci arrampicati sugli specchi, ci sembra di aver chiarito che anche il caso Pokemon dimostra, e molto bene, che l’Europa utile è valida e importante per tutti noi anche quando apre gli occhi e impegna le proprie energie su problemi e fatti che apparentemente riguardano e interessano solo una parte dei cittadini dell’Unione.

Si può dire lo stesso per l’altro dei casi di cui ci occupiamo in questo articolo, quello dei giardini zoologici europei? Ci pare di sì. E sperando di convincervi vi spieghiamo subito perché.
Qualche mese fa, la Commissione europea ha deciso di deferire alla Corte di Giustizia delle Comunità europee otto Stati membri, tra cui l’Italia (gli altri sono la Germania, il Regno Unito, l’Irlanda, la Grecia, la Spagna, il Portogallo, la Finlandia), per la mancata applicazione della Direttiva 1999/22/Ce approvata il 29 marzo 1999 dal Consiglio dei Ministri dell’Unione europea. La Direttiva, come si sa, è la forma legislativa europea più vincolante. Ogni Stato membro dell’Unione è obbligato a inserirla nella propria legislazione nazionale, quindi ad applicarla. Ma nel caso della 1999/22/Ce questo obbligo non è stato ancora rispettato. Quattro anni dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri europeo la Direttiva non è legge nazionale in Italia, Germania, Regno Unito, Germania, Irlanda, Grecia e Portogallo. Un ottavo Stato, la Finlandia, ha fatto propria la norma europea, ma la sta applicando solo su una parte del suo territorio, escludendo le isole Aland.

Di fronte a questo collettivo atto di disobbedienza, dopo varie sollecitazioni e inviti, l’Unione europea ha deciso di mostrare i muscoli. Attraverso la Commissione ha deferito gli otto Stati inadempienti alla Corte di Giustizia delle Comunità europee. Si è aperto così un vero e proprio processo che da una parte vede le istituzioni europee e dall’altra metà abbondante dei 15 Stati di cui l’Unione è attualmente composta.
Qual è la materia del contendere? I giardini zoologici europei! Proprio così. Stropicciatevi gli occhi, guardate bene e vedrete non solo che non state sognando, ma che si tratta di una cosa seria.
La direttiva approvata dal Consiglio dei Ministri nel marzo del 1999 e finora non applicata da oltre la metà degli Stati membri stabilisce tra l’altro che in tutta l’Unione i giardini zoologici devono essere gestiti sulla base di regolari licenze rilasciate a persone di sicura competenza in materia, devono garantire il rispetto delle esigenze per la conservazione delle varie specie, mantenendo un alto livello qualitativo nella custodia degli animali grazie a trattamenti veterinari preventivi e curativi e a programmi di alimentazione sofisticati.

Sempre secondo la Direttiva, i giardini zoologici devono inoltre diventare la sede di ricerche sulla conservazione delle specie, sulla riproduzione in cattività, sul ripopolamento, sulla possibilità e l’opportunità del reinserimento di alcuni animali nella vita selvatica. Devono infine promuovere l’istruzione del pubblico su problemi quali la conservazione della biodiversità, le specie esposte al rischio di estinzione e l’habitat naturale da cui esse provengono.
E’ molto di più di un intervento per permettere ad adulti e bambini di godersi al meglio la visita domenicale al giardino zoologico della propria città. E’ una doverosa tutela dei diritti degli animali. E’ un’operazione culturale. E’ un contributo alla ricerca scientifica.
La Direttiva del 1999 ha dunque quanto basta per essere considerata un nuovo fiore all’occhiello dell’Europa utile. Bene ha fatto la Commissione europea a difenderla e valorizzarla deferendo alla Corte di Giustizia gli otto Stati membri, tra cui il nostro, che almeno finora non l’hanno inserita nella propria legislazione.

   
   
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