Per questo continuava a chiamare quel posto Porto
Enea.
Perché così laveva chiamato suo padre e il padre
di suo padre, fino a generazioni
di uggianesi
e di otrantini, che si perdevano nella notte dei tempi.
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La strada per giungere al rifugio-bar di Giuseppe, il vecchio
pescatore, era sempre la stessa: Caprarica di Lecce-Martano-Otranto-Punta
Palàcia-Serra di Torre SantEmiliano-la Grande Grotta
e, finalmente, il bar-rivendita-Tabacchi n. 5 dei De Paola, al centro
del grappolo di case, davanti al mare di Odisseo, il mare nostrum
non sempre amato ma nemmeno odiato, perché tutto dentro linferno
della nostra vita.
Pensare di distogliere luomo dallocchio sbilenco, Antonio
Verri, dal percorso stabilito da anni era ormai solo unutopia.
A chi gli stava a fianco, solitamente diceva: «E questa
la strada del cuore, quella che porta a sognare mondi sconosciuti,
interrati nella roccia, dove uomini e donne hanno vissuto, vivono
guardando il sole, giocando con la luce».
«Ma no Verri, a Badisco cè solo Badisco, un ammasso
di roccia in forma di scogliera e un mare freddo e sospettoso»,
rispondeva lo chaffeur di turno, che poi era lo stesso di sempre.
«Ottobrino (era questo il nomignolo dato allautista),
non cè verso che tu possa capire queste cose. Per te
sapere che sotto i nostri piedi cè un immenso tesoro
di parole animali edifici, altro ancora, in forma di segni geroglifici
disegnati sulle pareti di una grotta, non significa nulla. Nessuna
emozione. Sei insensibile come un caprone castrato, che guarda una
pecora betissa passargli davanti, e a lui non gli prudono neanche
i pensieri. Taci e guida, per favore!».
Due erano i punti di sosta rituali del percorso. Il primo, sugli
speroni di Punta Palàcia, dove era possibile guardare lombra
degli Acrocerauni di Virgilio, la grande montagna della Cika sopra
Valona per gli albanesi, aristocraticamente ritagliati nellaurora
appena abbozzata del mattino; laltro, sulla Serra di Torre
SantEmiliano, nel luogo magico fatato dove è sempre
possibile ascoltare la voce del vento che sibila tra le rocce, e
che parla, e che solo Verri sapeva ascoltare.
«E qui che si forma il sibilo lungo, la poesia del vento,
che poi, dolcemente, si va a gettare nel mare di Badisco, proprio
davanti al bar di Giuseppe De Paola. Ascolta, Ottobrino, la voce
del vento e cerca di decifrarne le parole e i suoni».
«Per la verità, Verri, sento solo come una sorta di
ululati di cani».
«Zallo, non sei altro che uno zallo. Non capirai mai! Non
so perché ti porto con me. Forse la speranza che un giorno
tu possa aprire quegli occhi di geco rattrappito».
«Buon giorno, Giuseppe! Come va questa mattina?». Queste
erano quasi sempre le prime parole pronunciate dalluomo dallocchio
sbilenco, Antonio Verri, appena varcata la soglia del piccolo bar-rifugio
davanti al mare.
«Bene!», era la risposta del vecchio uomo di mare, capostipite
dei De Paola, che subito aggiungeva: «Antonio, questa mattina
fa freddo. Abbi un attimo di pazienza perché metta a posto
la legna nel camino, fare fuoco, poi faccio il caffè».
Luomo dallocchio sbilenco, Antonio Verri, si appoggiava
allora allo stipite della porta dingresso, che lievemente
scricchiolava sotto il peso delle spalle possenti. Allora il vecchio
pescatore diceva: «Verri, ti prego, non mi smontare il bar.
E lunica risorsa che io e la mia famiglia abbiamo, soprattutto
da quando ho lasciato la vita del mare per fare la vita grama di
pensionato».
«Capisco capisco!», era la risposta delluomo dallocchio
sbilenco, Antonio Verri, che allora mogio mogio si andava a sedere
sui bordi di uno dei tavoli del bar-rivendita Tabacchi n. 5, aperto
quasi sempre ad ogni ora della giornata per viandanti disperati
e messapi dispersi nella notte hidruntina.
«Sai Antonio, non ti offendere se dico questo, non è
per meticolosità che lo faccio. Tu sai che io qui ci sto
come uomo che fa le cose. Questa bottega è di proprietà
di mio figlio Carlo che, a sua volta, gli è fortunatamente
caduta in testa grazie al felice matrimonio con Maria Rosaria Spano,
una carissima donna di Giuggianello, che ama infinitamente questo
posto come ama suo marito e i suoi tre figli, i miei nipoti Andrea,
Gianluca e Giuseppe. Sai sono proprio cari. Dico questo perché
sono i figli di mio figlio ed io sono il loro nonno. Sono vecchio
Verri, e come tutti i vecchi sto attento alle minuzie, alle piccole
cose, allessenziale. Perciò non te la prendere se ti
ho detto di non gettarmi giù lo stipite della porta».
«Ma no, vecchio, non me la prendo, non me la prendo. Conosco
la storia di questo posto. So anchio che questa rivendita
è di proprietà di tuo figlio, il quale, invece di
fare il suo dovere e darti una mano, spesso se la sta a spassare
con i suoi amici. Credo proprio che non riesca a capire limportanza
che ha per te questo rifugio, e quanto sia utile respirare laria
del mare, laria dei sogni che Badisco porta. Un giorno, uno
di quei giorni in cui tu eri un po più arrabbiato con
Carlo, e noi stavamo seduti accanto al fuoco del camino, mi raccontasti
la tua storia. Mi dicesti che un tale Andrea Chirilli, tuo suocero,
possedeva una bottega di vino ad Uggiano. Era il tempo in cui il
vino era importantissimo per noi salentini. Praticamente era tutto:
ti dissetava e ti toglieva la fame, ti faceva ballare e ti curava
le ferite del cuore, ed era poi rifugio estremo alla nostra disperazione
quasi insulare; era nostro padre ancestrale, e paternamente ci accoglieva
nel fumo delle sue braccia facendoci dimenticare le miserie umane,
gli inferni dellanima, la negazione di desideri fin troppo
cercati e quasi sempre negati. Conosco Giuseppe, conosco, e ti comprendo».
«Allora sai pure, caro Verri, che mio suocero decise, unestate
degli anni 40, di mettere qui una seconda bottega di vino,
perché innamorato del posto e perché sapeva che a
noi pescatori di Badisco, al mattino, prima di entrare in mare,
piaceva innaffiarci la bocca con un buon bicchierino di anisetta,
un po per pulirci i denti ma anche, e credo soprattutto, per
prendere coraggio nellaffrontare le acque del mare di Badisco,
che non sempre sono calme e silenziose. Come tu sai e come ti ho
fatto notare altre volte, sono acque che parlano, che mandano certi
sibili lamentosi che non si sa proprio da dove provengano.
Comunque, nel 1955 mio suocero Andrea Chirilli riuscì, dopo
tanta attesa, ad ottenere lautorizzazione a far sì
che la bottega di vino, che si era intanto un po evoluta in
una sorta di piccolo bar-ristoro per i pescatori dinverno
e per i bagnanti destate, divenisse anche una rivendita di
tabacchi. Per la nostra famiglia, questa fu una fortuna di non poco
conto, nonostante sapessimo che qui dinverno cera da
fare solo la fame. Per un lungo periodo dellanno, a viverci
in questo posto siamo rimasti solo noi De Paola. Per il resto gente
di passaggio, pescatori che vanno e vengono, qualcun altro che si
ferma a bere un caffè, o a farsi un quartino di rosso, oppure
a mettere sotto i denti qualcosa che noi stessi gli prepariamo.
Cose nostre paesane, sintende, caro Verri, spesso legate al
pesce e ad altri prodotti del mare pescati qui. Poi, un giorno,
mio suocero se ne morì in silenzio, una morte come spesso
accade a tutti noi salentini, quando lora giunge e il padreterno
ci chiama allovile. La bottega di vino-bar-rivendita-Tabacchi
n. 5 passò allora in eredità a mia cognata Olga, una
santa donna, che subito la trasmise a mio figlio in quello stesso
anno 1979. Poi anche lei se ne morì come Dio comanda nel
1985. Furono anni un po brutti quelli. Mi morì anche
la moglie in quello stesso periodo. Era giusto il 1987. Allora facevo
ancora il pescatore, e mi dividevo tra il mare e la bottega di Uggiano
La Chiesa, mentre mio figlio rimaneva qui ad interessarsi della
bottega di Badisco. Tu, Verri, sai che Carlo sembra non essere molto
entusiasta di questo lavoro e di questo posto; vorrebbe scappare
sempre via, sempre attento solo alle sue cose, alle sue amicizie
e basta. Ma vedrai vedrai, verrà il giorno in cui egli mi
sostituirà in tutto e saprà dimostrarsi quel degno
figlio che il sottoscritto ha sempre sognato. Vedrai vedrai, che
quel giorno arriverà. Forse io non ci sarò più.
Ma sono sicuro che così andranno le cose».
«Capisco capisco, Giuseppe», rispose luomo dallocchio
sbilenco, Antonio Verri, guardando il vecchio pescatore che finiva
di sistemare il camino dando fuoco alla legna di quel nuovo giorno.
Quando ancora era pescatore, Giuseppe De Paola divideva il suo tempo
tra il mare e la bottega di vino-rivendita-Tabacchi n. 5. Al mattino
si alzava prestissimo. Sempre prima dellalba e le prime operazioni
della giornata erano rivolte tutte al bar-rifugio. Spesso faceva
innervosire la nuora, Maria Rosaria Spano, ma poi non più
di tanto, perché questa buona donna, alla fine, comprendeva
il problema del suocero. Il fatto stava che il vecchio apriva bottega
quando ancora non era stata approntata per il giorno la sala centrale
della stessa, per cui la nuora arrivava quando già nel locale
cerano i primi avventori, fra i quali, non di rado, anche
luomo dallocchio sbilenco, Antonio Verri, e qualche
suo amico nottambulo.
«Ma per favore papà, perché non aspetti che
io faccia prima le pulizie del locale e poi apri?», diceva
Maria Rosaria.
«Ma, cara, come posso fare, se tra poco devo andare a ritirare
le reti e qui non cè nessuno che mi possa sostituire?».
«Sì, è vero. Però a me tocca ora pulire
davanti ai clienti. Cerca di comprendere anche tu il mio disagio».
Giuseppe De Paola resisteva ancora un po nel locale, giusto
il tempo che il figlio Carlo arrivasse, poi di filato scendeva giù
alla caletta, affondava i piedi su quelle rocce che egli sognava
come calpestate dai mitici eroi omerici. Per questo continuava a
chiamare quel posto Porto Enea. Perché così laveva
chiamato suo padre e il padre di suo padre, fino a generazioni di
uggianesi e di otrantini, che si perdevano nella notte dei tempi.
Verri, riprendendo il filo del discorso del vecchio, che parlava
del mare di Porto Badisco come di acque che si lamentano, disse:
«Sì, Giuseppe, anchio in questo posto di mare
sento le voci del vento e quelle del mare. Quelle del vento sono
forse le voci dei fauni, quelle del mare forse le voci delle sirene,
nascoste negli anfratti di questo luogo dincanto, che tu ancora
ti ostini a chiamare Porto Enea. Tu forse non sai, perché
nessuno te lo ha mai detto, che mai leroe troiano ha posto
piede su questo suolo. E vero sì che giunse con la
sua nave nei pressi del porto di Otranto e che sfiorò queste
acque di Badisco. Il poeta Virgilio lo ha scritto nella sua splendida
Eneide.
Se vuoi e se ti fa piacere, te li leggo questi versi direttamente
dalla traduzione che un professore, di nome Ezio Cetrangolo, fece
per un libro della Sansoni di Firenze. Questo libro è stato
stampato nel 1971 e i versi si trovano alle pagine 65-66: Di
già tramontate le stelle lAurora tingeva / il cielo
di rosa, quando vediamo monti lontani / velati di nebbia e sorgere
bassa dal mare / lItalia. LItalia ci addita Acate per
primo, / lItalia i compagni salutano in grido di giubilo.
/ Anchise cinge di fiori un calice largo, / lo colma di vino, e
in piedi levatosi a poppa, / si volge ai Numi così: / Voi
che del mare siete i potenti, divini signori, / e così della
terra, e dellalte nere tempeste; / fate che il vento ci spinga
sereno per facile via!./ Crescono i soffi del vento invocato,
e si scopre / il porto vicino e il tempio a Minerva sul monte. /
Caliamo le vele, volgiamo ai lidi le prore. / Ad arco il porto sincurva,
sicuro dai flutti di Euro, / le rupi di fronte spumeggiano in salso
fervore, / scogli turriti che in basso distendon le braccia / simili
a duplice muro lo coprono ai lati / e indietro il tempio scompare
alla vista dal lido. / Qui vidi, e fu certo un presagio, quattro
cavalli / di niveo candore che lerba del campo pascevano.
/ Anchise ora dice: O terra ospitale, guerra tu porti; / sarmano
in guerra i cavalli, minacciano guerra; / ma sogliono pure venire
al carro aggiogati / i cavalli, e al gioco e al freno piegarsi concordi:
/ speranza anche di pace. Il santo Nume adoriamo / di Pallade
armata, che prima ci accolse esultanti, / e dinanzi agli altari
veliamo di porpora Frigia / il capo, e secondo il monito grave di
Eleno / bruciamo le offerte prescritte allArgiva Giunone.
/ Compiuti di séguito i voti solenni per ordine, / volgiamo
sùbito al mare le antenne e le vele, / lasciamo i campi sospetti
e le case dei Greci. Come puoi ben vedere da questo passo,
mai Enea scese qui».
«Verri, tu puoi credere a quel che tu vuoi», rispose
il vecchio pescatore. «Quello che io so è questo. Un
nostro antico racconto narra che il mitico eroe Enea, abbandonata
Troia, sconfitta ormai definitivamente dai greci, col padre Anchise
approdò qui, in questo posto di mare che noi per questo chiamiamo
ancora Porto Enea. Se questo è accaduto veramente, caro Verri,
è sicuro che leroe troiano avrà visto il fiume
Silur che qui riversava le sue limpide acque in questo mare. Tu
sai che nei tempi antichi è stato questo fiume a scavare
la Grande Grotta. Le buone genti, che qui allora vivevano, sicuramente
conoscevano già un cunicolo per penetrare nelle profondità
della grotta. E certo che Enea fu bene accolto da quella nostra
brava gente, che forse rifocillò lui, il padre e lintero
suo equipaggio. Ed è anche certo che gli fecero visitare
il cunicolo detto del Diavolo, attraverso il quale è possibile
penetrare nel ventre attorcigliato della Montagnola,
sovrastante la Valle del Cervo, allinterno della quale si
conserva il tempio della nostra arte neolitica. Enea ha quindi visto
prima di noi le scene di caccia scarabocchiate, le divinità
in forma di spirale, la Grande Madre, il mitico edificio piramidale,
laustera divinità danzante, le altre figure antropomorfe
geometrizzate, i cervi, i cani, gli strumenti e le armi, i giochi
del tempo, e pure la paura della morte, tutto appena appena segnato,
appena appena tratteggiato da una due tre semplici linee di guano,
di ocra rossa o di argilla frammista allolio. Dipinti che
noi ancora oggi ammiriamo. Io, Verri, nelle cavità della
Grande Grotta di Badisco ci sono stato, grazie al professore Paolo
Graziosi, il grande studioso, che permise a me, umile pescatore,
di osservare quella meraviglia che mai nella mia vita avrei sperato
di vedere».
«Ma Giuseppe è possibile che tu possa ancora credere
a simili leggende?», rispose luomo dallocchio
sbilenco, Antonio Verri.
«Va bene, va bene. Non ne parliamo più. Ognuno resta
convinto delle proprie opinioni. Io adesso vado per mare. Ciao».
Il vecchio pescatore si avviò verso la caletta davanti al
suo bar, sciolse lormeggio della barchetta e a forza di remi
entrò nel mare ancora annebbiato dalla brezza mattutina.
Giuseppe De Paola aveva subito amato la Grande Grotta, che un gruppo
di speleologi dilettanti aveva scoperto l1-3 e l8 febbraio
1970.
«Abbiamo scoperto un santuario delletà della
pietra nel sottosuolo del Salento», aveva sentito dire da
uno degli scopritori, i cui nomi fissò per sempre nella mente:
Severino Albertini (veneto); Enzo Evangelisti (laziale); Isidoro
Mattioli (veneto); Remo Mazzotta (leccese); Daniele Rizzo (magliese).
Tutti del Gruppo Speleologico Salentino P. De Lorentiis
di Maglie. Collaboratori degli scopritori furono Nunzio Pacella
(magliese, consulente scientifico) e Pino Salamina (leccese, fotografo).
Una fredda mattina dinverno, il vecchio uomo di mare, seduto
davanti al camino che scoppiettava scintille di fuoco, raccontò
alluomo dallocchio sbilenco, Antonio Verri, quanto il
suo amico Paolo Graziosi, professore dellUniversità
di Firenze, gli aveva confidato nelle lunghe pause tra una discesa
e laltra nel ventre della terra: «Vedi, caro Verri,
mi ha raccontato il professore che nella Grande Grotta ci sono pitture
che ricoprono qualche chilometro di pareti a testimonianza della
vita spirituale delluomo antico. Egli mi diceva pure che si
trattava di pittogrammi, alcuni dei quali erano già stati
identificati e interpretati, e oggi appaiono nel suo splendido volume
Le pitture preistoriche della Grotta di Porto Badisco, altri sono
invece ancora da interpretare. Il professore fu così gentile
con me che mi donò copia con la sua firma di quello splendido
libro che ancora conservo».
Luomo dallocchio sbilenco, Antonio Verri, che nel suo
intimo aveva scelto quel luogo, Badisco, quale suo mitico luogo
in cui far convergere i suoi inferni e le sue disperazioni, volle
sapere di più dal vecchio pescatore. Per questo gli chiese:
«Ma Giuseppe quali erano i discorsi che il professor Graziosi
ti faceva?».
«Il professore mi diceva che le pitture, che decorano le pareti
della Grande Grotta, sono rappresentazioni schematiche della realtà
così come la vedevano allora quei nostri antenati primitivi.
I soggetti rappresentati vanno dalla figura umana alla figura animalesca.
Si tratta di scene di caccia al cervo e scene di vita pastorale,
ma anche scene di vita religiosa. Ci sono spirali, strumenti per
la cattura di prede, segni cruciformi, uomini con arco, cani, schemi
di capanne, bambini, animali, catene e reticoli, sciamani, segni
celesti, stellari e astrali, stelle comete, soli splendenti,
cerchi, impronte di mani infantili e di donne, schizzi, insetti,
punti e spruzzi, prove primordiali di scrittura, pettiniformi e
forse segni dacqua, scudi, ghirigori e labirinti, totem e
menhir, bucrani, graticciati, anse, ganci, meandri, costruzioni
dolmeniche, quasi si trattasse di una sorta di santuario delleta
della pietra».
«Giuseppe, che sai ancora su questa grotta?», chiese
sbalordito dallelenco, luomo dallocchio sbilenco,
Antonio Verri.
«Be!, sì, certo. Ad esempio, che il rilievo del sistema
carsico presenta tre gallerie principali orientate a nord-ovest
e un gran numero di diramazioni, alcune delle quali indicano nuovi
ma non ancora esplorati percorsi. Così è ubicata la
Grande Grotta», disse Giuseppe De Paola, ponendo sotto lo
sguardo delluomo dallocchio sbilenco, Antonio Verri,
una cartina geografica del luogo: «Porto Badisco-Otranto (Lecce),
località Montagnola. Carta I.G.M. 215 III S O,
long. Est Monte Mario 6° 02 01, latid. Nord 40°
04 54, quota m. 26 s.l.m. Grotta di Porto Badisco,
n. 902 Pu. Sinonimi: Grotta dei Cervi, Grotta di Enea, Otranto (LE).
Profondità: m. 26; sviluppo spaziale: m. 1550. (Rilievo di
Franco Orofino 1970); temperatura interna: media 16-20° C.;
umidità relativa: media 92-99%».
«Mi hanno pure detto continuò a raccontare il
vecchio pescatore che sulle pareti e le volte delle gallerie
sono presenti numerose figure eseguite prevalentemente con guano
di pipistrello, mentre in numero minore sono quelle realizzate con
ocra di colore rosso. I corridoi dipinti sono stati suddivisi dal
professor Graziosi in dodici zone. Il modo come hanno trovato le
ceramiche nella grotta, la presenza di buche (riempite con pietre),
ubicate in basso ai dipinti, e la forma di determinate figure fanno
spesso pensare ad un carattere sacrale e sociale del luogo. Ma tu,
caro Verri, puoi farti unidea direttamente di quanto dico
dalle pubblicazioni che spesso gli studiosi mi hanno lasciato qui
a ricordo dellimportanza della grotta».
Così dicendo il vecchio uomo di mare, Giuseppe De Paola,
dispiegò sul tavolo, davanti alluomo dallocchio
sbilenco, Antonio Verri, un mucchio di riviste, opuscoli, ritagli
di giornale, qualche libro, che era sempre lì a portata di
mano nella sala grande del bar-rivendita-Tabacchi n. 5. Fra questi,
Verri lesse alcuni autori e titoli, che più gli interessavano.
In particolare i testi di Paolo Graziosi, fra cui Le pitture preistoriche
della Grotta di Porto Badisco e S. Cesarea, in Rendiconti
della classe di Scienze morali, storiche e filologiche dellAccademia
nazionale dei Lincei, Serie VIII, vo. XXVI, gennaio-febbraio
1971, pp. 355-359; Le pitture di Porto Badisco. Qualche osservazione
preliminare, in Atti della XV Riunione scientifica in Puglia
dellIstituto italiano di preistoria e protostoria / 13-16
ottobre 1970, Firenze 1972, pp. 17-26; Larte preistorica
in Italia, Sansoni, Milano 1973, pp. 131 e seguenti; sempre di Graziosi
(assieme a A. Cigna, E. Detti e G. Mele), Perizia allegata alla
sentenza istruttoria del Pretore di Otranto, del 15 luglio 1975;
e ancora Un santuario della preistoria, in LUnità,
23.11.1975, p. 15. Rilesse il titolo del più importante libro
sulla grotta del professore fiorentino, cioè Le pitture preistoriche
della Grotta di Porto Badisco, Giunti-Martello, Firenze 1980; e
ancora Porto Badisco. Sul tacco dItalia un cenacolo di artisti,
in Airone, n. 12, Mondadori 1982, pp. 82-85. Infine
lesse lultimo articolo scritto dal Graziosi, dedicato ancora
una volta alla Grande Grotta, Larte preistorica della Grotta
di Porto Badisco, in LUmana Avventura, Jaca-Book,
Milano 1988, pp. 65-75. Ancora del professore Graziosi lesse unintervista
rilasciata a Nunzio Pacella, uno dei collaboratori della scoperta
nel 1970, dal titolo Le Grotte di Badisco rimarranno chiuse? Intervista
al prof. Graziosi, in Realtà salentina, Maglie
1977, n. 7, p. 3. Di Mario Moscardino, invece, che era stato presidente
del Gruppo Speleologico Salentino P. De Lorentiis di
Maglie allepoca della scoperta della Grande Grotta, Verri
lesse questi titoli: Larte preistorica dopo le scoperte salentine
di Porto Badisco, in Società editrice D. Alighieri,
Lecce 1971; Tre fari di civiltà nellarea culturale
salentina, in La Zagaglia, 1972, n. 10, pp. 103-114.
Verri venne attratto anche da una serie di ritagli di giornali e
di opuscoli del professore Cosimo Giannuzzi, di Maglie, un suo amico
che sapeva essere un attentissimo studioso delle raff¦gurazioni
pittoriche della grotta. Questi i titoli che lesse: Lo stregone
della Grotta dei Cervi: unesegesi, in Nuovo spazio,
n. 6, Maglie 1987, p. 5; Il Dio che danza. Appunti per una ricerca
antropologica sullarte di Badisco, Erreci, Maglie 1988; Scoprendo
lo scrigno sommerso. La Grotta dei Cervi di Porto Badisco, in «I
Salentini», anno III n. 3, Andrano 1989, pp. 28-29; Era un
santuario?, in I Salentini, anno III, n. 4, Andrano
1989, p. 8; I misteri di Badisco, in Il Quotidiano di Lecce,
28 giugno 1989 pp. 10-11; Segni di antica civiltà. Un ciclo
di conferenze sui ritrovamenti della Grotta dei Cervi a Badisco,
in Il Quotidiano di Lecce, 23.06.1990; Le impronte di
mani nelle grotte preistoriche del Salento, in Unuci,
10 sett. 1990, Roma, pp. 8-9.
Poi si stancò un po e non lesse altro. Però,
davanti alla messe di scritti sulla grotta che Giuseppe De Paola
gli aveva messo sotto gli occhi, chiese: «Giuseppe, ma non
hai altro?».
E subito, da sotto il bancone del bar-rivendita-Tabacchi n. 5, il
vecchio pescatore tirò fuori due foto, rispondendo: «Ecco
guarda, Verri, qui, a fianco del professore Paolo Graziosi, ci sono
io».
«Perché non me le dai queste fotografie così
le pubblico sul mio giornale?», rispose luomo dallocchio
sbilenco, Antonio Verri.
«Mi dispiace. Mi dispiace proprio. Sono di mio figlio e dei
miei tre nipotini. Saranno loro a decidere cosa farne, dopo la mia
morte», fu la risposta del vecchio pescatore.
Vani furono allora tutti i tentativi delluomo dallocchio
sbilenco, Antonio Verri, di farsi dare quelle foto per il Pensionante
de Saraceni.
Il grande sogno del vecchio uomo di mare, Giuseppe De Paola, era
stato sempre quello di riuscire ad arredare le pareti del suo bar-rivendita-Tabacchi
n. 5 con le immagini della Grande Grotta. Fu il sovrintendente Francesco
Lo Porto che un giorno soddisfece il desiderio del vecchio pescatore.
Gli regalò alcuni quadri delle pitture di Porto Badisco già
confezionati che, subito, Giuseppe attaccò alle pareti. Qualche
altra immagine egli la comprò anche dalla Pro Loco dello
stesso posto. Così, agli inizi degli anni 70, il suo
bar-rivendita-Tabacchi n. 5 era 1unico posto al mondo in cui,
da subito dopo la scoperta della Grande Grotta, si potevano ammirare
le pitture in fotografia appese alle pareti. Di ciò il vecchio
pescatore ne era profondamente orgoglioso, tanto che luomo
dallocchio sbilenco, Antonio Verri, sapendolo, tutte le volte
che si recava a Badisco, soffermandosi a lungo davanti a quelle
immagini, finiva col dirgli: «Caro Giuseppe, sei tu oggi il
vero depositario di millenni di storia. Da oggi in avanti chi vorrà
vedere le pitture della grotta in formato fotografia dovrà
passare da questo tuo luogo incantato fatato».
«Grazie Antonio, grazie. Ma non è veramente proprio
tutto quello che io desideravo», rispondeva il vecchio uomo
di mare. «Perché avrei tanto desiderato ottenere anche
lautorizzazione a far stampare alcune cartoline con le immagini
della Grande Grotta. Sai, chi le avesse poi spedite avrebbe fatto
conoscere questo bellissimo posto di mare in tutto il mondo».
«Capisco», disse luomo dallocchio sbilenco,
Antonio Verri. Aggiungendo: «Vedrai, prima o poi anche questa
autorizzazione ti sarà concessa».
Il buon vecchio uomo di mare, Giuseppe De Paola, non fece in tempo
a vedere questa concessione, perché un giorno, in assoluto
silenzio, entrò con la sua barca nel mare delleternità,
forse felice perché pensava di entrare in quel suo stesso
mare di Badisco, che egli per tutta la vita si era ostinato a chiamare
Porto Enea.
Alcuni anni dopo la morte di Giuseppe, luomo dallocchio
sbilenco, Antonio Verri, scrisse che a lui gli era sembrato di vedere
la barca del vecchio pescatore entrare direttamente nelle acque
e che, stranamente, la vide navigare non verso est, cioè
verso loriente dei sibili lunghi, ma nellentroterra,
verso la Montagnola nel cui sottosuolo erano conservate
le pitture cultuali delluomo neolitico. Verri scrisse che
a remare era lanima del vecchio, che andava verso il riposo
eterno tra i segni e i simboli preistorici che tanto aveva amato.
Effettivamente lautorizzazione a pubblicare su cartolina alcune
immagini delle pitture parietali arrivò qualche tempo dopo.
Fu il figlio di Giuseppe ad ottenerla, che le stampò con
questa scritta: «Bar-Riv. n. 5 De Paola Carlo. Riproduzione
eseguita su concessione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali.
Soprintendenza Archeologica della Puglia. E vietata lulteriore
riproduzione».
Quel giorno che giunse la notizia per via epistolare, ci fu festa
grande nella casa abitata un tempo dal vecchio pescatore. Il figlio,
la nuora e i nipoti gioirono alla grande e mangiarono il piatto
buono della festa. Ad una ad una vollero guardare nuovamente le
immagini della Grande Grotta sulle pareti del bar-rivendita-Tabacchi
n. 5, e decisero quali far stampare per la divulgazione. Ai presenti
di quel giorno sembrò esserci nel bar come uno spirito curioso
il vecchio uomo di mare Giuseppe De Paola? , che, con
il dito rivolto alle pareti della sala, indicava ai parenti le immagini
da scegliere.
Luomo dallocchio sbilenco, Antonio Verri, conosceva
bene queste cartoline. Da sempre le aveva comprate e le aveva spedite
ai quattro venti del mondo per far conoscere a tutti la meraviglia
di Porto Badisco. Per questo, anche ora, pensando al suo vecchio
amico pescatore, le cui spoglie, secondo lui, riposavano nel ventre
della Grande Grotta, se le girava e rigirava più volte tra
le sue grosse mani, mani di messapo abituato alle carte, e alle
storie, e ai sibili lunghi di Badisco. Su un quadernino di appunti,
che portava sempre con sé, nel tempo aveva annotato quanto
segue:
Badisco (cioè Porto Enea). Immagini della Grande Grotta sulle
pareti del bar-rivendita-Tabacchi n. 5 di Carlo De Paola, figlio
di Giuseppe, vecchio pescatore e sognatore di mari infiniti incantati
fatati.
- Cartoline nn. 1 e 2. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Stalattiti e stalagmiti. Si tratta di due corridoi
dellepigrotta.
- Cartolina n. 3. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Figure umane stilizzate sporgenti dai quattro
lati del quadrato e disegni spiraliformi. Figure nere. Si tratta
del corridoio n. 2 con arco naturale e linee di spegnimento della
grossa frana che interessò la parte terminale del secondo
corridoio. Da sinistra verso destra si notano: trappola con ami
per pesca nei dintorni di un fiume (o del mare); due segni non identificabili;
un segno stelliforme con S serpentina nel suo quadrato interno;
un uomo in movimento tra due zagaglie (una è segnata al suo
interno con una croce) e su una spirale divinatoria; una sizigia
serpentina; un grande segno stelliforme (però potrebbe trattarsi
di un edificio) che si trova proprio sopra larco e al centro
del passaggio tra un corridoio e laltro quasi ad indicare
lingresso ad una sorta di tempio.
- Cartolina n. 4. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Figura antropomorfa curvilinea e spiraliforme.
Spirale e disegni subcircolari. Figure nere. Si tratta delle tre
immagini finali della cartolina precedente: uomo in movimento a
fianco di una probabile zagaglia segnata dalla croce e sulla spirale
circolare.
- Cartolina n. 5. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Scena di caccia con un uomo schematico armato
di arco preceduto da due cani e due cervi. Figure nere. Si tratta
del corridoio n. 1 lato destro, andando verso linterno della
grotta. Da sinistra verso destra: scena di caccia con cacciatore
armato di arco, preceduto da cani e da due cervi; alle spalle dellarciere
vi è un animale morto, come pure sembra essere morto anche
laltro cervo in basso.
- Cartolina n. 6. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Figure schematiche di uomini e di quadrupedi.
Figure nere. Si tratta del proseguimento dellimmagine della
cartolina n. 5. Sono raffigurate tre scene: una orizzontale, ed
è quella già descritta; laltra, verticale, che
rappresenta la simbologia della Grande Madre Tridattila, composta
dallAriete addobbato (lato sinistro di chi guarda), dalla
Divinità con tre dita per ogni mano, grandi seni laterali
e ventre gravido (lato destro di chi guarda), e la pecora o il cane
o la capra, comunque un quadrupede (in basso); sulla parete del
corridoio che si piega verso linterno della grotta, in un
contesto del tutto diverso dalle due scene precedenti, un altro
quadrupede (forse un bovino) con un addobbo sulla schiena.
- Cartolina n. 7. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Scene di caccia: arcieri e cervi. Si tratta
delle prime figure dipinte con ocra rossa. Sono le uniche figure
rosse che appaiono tra le cartoline autorizzate dal Ministero al
Bar-rivendita n. 5 De Paola. Appartengono ai gruppi indicati dal
Graziosi come 11, 12 e 16, per un totale di circa 60 segni conservati
integri, senza sovrapposizioni né aggiunte o deturpamenti.
Si tratta delle più antiche pitture dellintero complesso
e segnalano una direzione opposta rispetto a quella indicata dalle
figure nere. La scena raffigura animali e uomini, il primo di questi
(quello più a sinistra) ha le braccia rivolte in alto verso
la testa di un bovino, al suo fianco e intorno due cani e un altro
bovino; il secondo uomo (dietro il bovino più grande), figura
appena abbozzata, impugna un arco con la freccia; il terzo uomo,
più in basso, anche questa figura appena abbozzata, ha le
braccia protese verso gli animali e verso un recinto aperto (probabile
ovile?). Ancora più a destra, e nella parte superiore, si
vede un arciere con alle spalle un lungo segno parallelo alla sua
stessa figura; sulla parte bassa della parete chiaramente si vede
dipinto un perimetro chiuso, quasi ad indicare un probabile altro
ovile.
- Cartolina n. 8. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Figure stilizzate, forse umane, con perimetro
formato da macchie tondeggianti e, al di sotto, arciere a gambe
divaricate. Figure nere. Si tratta del corridoio n. 2, lato destro.
E una vetrina delle meraviglie della Grande Grotta
di Porto Badisco. Da sinistra verso destra: sembrerebbe la forma
di un insetto gigantesco (indica forse uninvasione di insetti:
cavallette o altro), potrebbe comunque rappresentare qualcosaltro:
recinzioni, percorsi. Altri segni, tra cui un umano che avanza verso
una barriera. Al di sopra un segno stelliforme, ma potrebbe trattarsi
di un villaggio con capanne. Spostandoci verso destra, quasi al
centro della cartolina, un umano in forma di triangolo (ma potrebbe
trattarsi di una costruzione) sopra ad un villaggio con capanne
raccordate in circonferenza; linterno del villaggio è
segnato da una serie di linee tratteggiate che lo attraversano da
una parte allaltra. Nelle vicinanze, un altro villaggio con
capanne appena abbozzato e non finito. Nella parte superiore della
parete, a destra, alcune forme cembaliche (tentativi di raffigurazione
di villaggi con capanne), altri strani oggetti e due forme che sembrerebbero
umanizzate, una più compiuta, una sorta di uomo-scudo, laltra
incompiuta. Nella parte inferiore della parete, evidente il tentativo
mal riuscito della raffigurazione di un edificio con attorno strani
oggetti; un altro segno cancellato col guano. Un po più
a destra di questultima scena, un altro villaggio con capanne
con al centro due linee tratteggiate perpendicolarmente. Ancora
più sotto, un uomo con le gambe divaricate, il sesso pendulo
e un attrezzo nelle mani; ancora più in là, un segno
non decifrabile.
- Cartolina n. 9. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): A sinistra, figure geometriche con perimetro
segnato da macchie tondeggianti; a destra scena di caccia con arciere
e cervi. Figure nere. Si tratta del proseguimento della raffigurazione
della cartolina n. 8 già descritta. Spostandoci invece sulla
parte destra di questa Vetrina delle meraviglie si vede
raffigurata una grande scena di caccia con animali morti e vivi,
qualcuno a sei zampe che caratterizza il movimento, lento o veloce,
poi cè larciere (in basso con il sesso pendulo)
con al fianco il suo cane; infine altri segni indecifrabili.
- Cartolina n. 10. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Figure stilizzate, forse umane, a forma subtriangolare
con macchie tondeggianti lungo il perimetro e a forma circolare
con quattro appendici. Figure nere. Si tratta del proseguimento
della raffigurazione della cartolina n. 9.
A sinistra cè la grande scena di caccia citata, un
susseguirsi di linee e segni non ancora decifrabili, quindi due
grandi villaggi con capanne irregolari sui loro confini; allapice
basso di uno dei grandi villaggi (quello più a destra) cè
una delle raffigurazioni più emblematiche della Grande Grotta
di Badisco: la scena del tempo meteorologico (sole pioggia neve
o grandine); andando sempre più verso destra è raffigurato
un villaggio con quattro capanne, tre delle quali anche il recinto
degli animali; il villaggio è attraversato dalla traiettoria
del sole (est sud ovest); un po più in alto vi sono
due segni al momento non decifrabili (il primo dei quali però
potrebbe essere un semi-recinto), mentre il secondo la traccia di
un inizio di un percorso; quindi un altro segno che forse sta ad
indicare un cielo nuvoloso con pioggia.
- Cartolina n. 11. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Figure umane stilizzate sporgenti dai lati
del quadrato, cacciatori con arco, cervi. Figure nere. Siamo nel
corridoio n. 2, lato destro. Questa raffigurazione è collocata
prima dellarco naturale citato nella cartolina n. 3. Sembrerebbe
una sorta di apoteosi scenica, dipinta lì quasi a raccontare
lintero ciclo della vita della civiltà nera
di Badisco. Forse anche il suo tragico epilogo. E ben noto
che la Grande Grotta di Badisco fu chiusa dagli uomini
delle pitture nere del neolitico circa seimila anni
fa. La sua riapertura, per quello che se ne sa fino ad oggi, sarebbe
avvenuta poi nel 1970. Andando da sinistra verso destra: segni stelliformi
(la seconda stella sembrerebbe una cometa), però potrebbe
trattarsi anche di due villaggi con capanne e recinti, e su una
un tracciato di un percorso; donna con un probabile setaccio fra
le mani (si tratta di uno dei due umani con raffigurata la forma
dei piedi); poco più sopra un bambino e cervide (ma potrebbe
essere una capra); al di sopra di questa scena un agglomerato umano
in movimento; spostandoci verso destra, forse una probabile mappa
labirintica di percorso, ma può essere anche un nuovo agglomerato
(forse umano, oppure di animali, tipo mandria o gregge) in movimento;
al di sopra di questo un segno elicoidale (forse un uccello?) e
un cervo; ancora verso destra, un arciere con il dardo puntato sul
segno elicoidale (forse luccello) ed il cervo; al di sotto
della mappa, vi sono raffigurate due spirali divinatorie;
andando ancora verso destra, un nuovo agglomerato (forse umano,
oppure di animali, tipo mandria o gregge) raccolto in formazione
di difesa; sopra di esso un nuovo segno cruciforme molto complesso
(sembrerebbe un edificio, ma potrebbe trattarsi anche di un piccolo
agglomerato di capanne con recinti) con alla base due spirali in
forma di sizigia (una riuscita laltra no). La scena è
complessiva di un intero ciclo: la presenza delle spirali indica
le divinità; i segni stelliformi e cruciformi forse ciò
che cè nel cielo (interessante quella sorta di stella
cometa); gli agglomerati e gli animali indicano il percorso della
vita a Badisco a quel tempo: caccia, agricoltura (donna con il setaccio),
pastorizia (il bmbino con il piccolo cervo o capra).
- Cartolina n. 12. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Scena di caccia con un uomo schematico armato
di arco sovrastato da un cervo. Figure nere. Si tratta dellarciere
della raffigurazione della cartolina n. 11. Questa figura di cacciatore
è contrassegnata da un grande membro pendulo, ma potrebbe
trattarsi anche di un pugnale stretto alla coscia. Questo è
laltro umano che ha raffigurata la forma dei piedi (ma potrebbe
trattarsi anche di probabili calzari, come quelli delluomo
di Similaun). Accurata sembra lesecuzione di questo dipinto
con la definizione di ogni parte del corpo (osservare, ad esempio,
la rotondità gobba delle spalle, la sinuosità delle
forme degli avambracci, la testa ben modellata, le gambe con lindividuazione
di un probabile ginocchio, i piedi o calzari). Sullarco è
possibile individuare la tecnica pittorica a punto (puntiforme),
consistente in un procedimento di questo genere: il dito intinto
nel colorante e impresso sulla parete, punto dopo punto fino a formare
la figura ideata.
- Cartolina n. 13. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Metamorfosi della figura umana in senso curvilineo.
Gruppo antropomorfo. Figura cruciforme. Figure nere. Si tratta di
una delle più note immagini di Badisco. Nel tempo è
stata definita: Scimmietta (gli scopritori); Grande
Capo di Porto Badisco (i locali), Stregone danzante
(Orofino), Sciamano (gli etnoarcheologi). Si trova nel
Secondo corridoio, Ottava zona, Gruppo 46, così 1ha
ubicata il prof. Paolo Graziosi, che nel suo libro la definisce:
«Sia pure nella sua accentuata deformazione in senso curvilineo
e spiraliforme, questa figura è piena di vitalità:
le gambe divaricate e piegate al ginocchio, i piedi ben marcati,
le braccia formanti allestremità un ricciolo, le spalle
massicce, la testa triangolare e sormontata da piccoli tratti, probabile
rappresentazione dei capelli o di una particolare acconciatura.
In basso tra le gambe si vedono due figure ad S affrontate».
Il Graziosi non dice altro.
Il prof. Cosimo Giannuzzi, di Maglie, invece, il primo nel Salento
a fare un attento studio della figura antropomorfa, dice che si
tratta di una Divinità danzante, perché si rivela
nella forma di un Dio che danza e assume lo stesso ruolo che rese
Hermes intellegibile in periodo storico, grazie al caduceo (cfr.
Il Dio che danza, Maglie 1988). E ancora: «Linterpretazione
della figura antropomorfa di Badisco quale divinità poggia
su un grafema ritenuto sigla della Grotta dei Cervi.
Questo grafema è costituito da due figure equivalenti ma
opposte specularmente a forma di S... che sta ad indicare lesistenza
di una contrapposizione fra due elementi di cui uno di essi, fondante,
è la derivazione speculare dellaltro. Il criptogramma
di Badisco è perciò un simbolo dualistico, perché
raffigura una contrapposizione di un contenuto cognitivo, composto
da una coppia di elementi costituenti un insieme... Il dualismo...
si riferisce al dualismo religioso... In questo criptogramma, la
coppia delle S fa supporre, con buona probabilità, a due
serpenti affrontati... Il criptogramma delle S è posto fra
le gambe di una figura antropomorfa. Questa presenza appare come
unimmagine di conciliazione del conflitto degli opposti polarizzati,
caratterizzandosi come contenitore di essi... Nella
figura antropomorfa di Badisco convive la spirale che è unelaborazione
(in termini di astrazione) del serpente, ovvero del concetto di
psiche ancestrale (luogo degli archetipi). E levoluzione
di questa energia che porta alle manifestazioni simboliche qual
è la figura antropomorfa» (cfr. Divinità a Porto
Badisco, Apulia, III, sett. 1996, pp. 148-150).
Accanto alla Divinità danzante (Giannuzzi), vi è una
costruzione nella forma della piramide non molto ben riuscita, oppure
si tratta di un villaggio con capanne e relativi recinti, o ancora
un segno stellare, o infine un dolmen con foro centrale. Comunque,
non è una tavola attorno alla quale vi sono seduti degli
umani. Tra la figura antropomorfa e ledificio vi sono due
probabili punte di zagaglia, oppure due estremità in forma
di sizigia.
- Cartolina n. 14. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Figure astratte a forma ovale e subtriangolare.
Figure nere. Si tratta di raffigurazioni dipinte sulla volta della
grotta. Da sinistra verso destra vediamo un umano con il braccio
indicante una direzione e di seguito alcuni segni indecifrabili;
quindi il probabile recinto vuoto di un villaggio di capanne (ma
potrebbe trattarsi anche di un recinto vuoto e diviso per settori
per grossi animali) (anche in questo caso notare levidente
tecnica puntiniforme del pittore/i di Badisco); poco sopra altri
segni di umani in movimento; spostandoci verso destra si vedono
due recinti con capanne allinterno di una recinzione e, poco
più a destra, due spirali in forma di sizigia non ben riuscite;
poco più in alto il segno di un altro umano in movimento;
da questo punto in poi, andando sempre più verso destra si
vede il gruppo delle impronte di mani. Dalle misure anatomiche risulterebbero
di adolescenti e di donne. Si trovano collocate in un punto pericoloso
della grotta, al confine di unantica frana che ha ostruito
il corridoio di proseguimento. Durante la riproduzione grafica,
necessaria per le misure anatomiche, gli esperti hanno contato circa
150 impronte. La zona a detta di chi lha visitata e
studiata dallinterno è ancora pericolosa, a
causa di distacchi e crolli di lame di roccia, che però non
si sono mai più verificati fin dal tempo dal primo incidente.
Tuttavia, sembra essere questo il motivo per cui la collocazione
delle impronte è in quel luogo (soffitto della grotta). Forse
come immagini scaramantiche, una sorta di sostegni magici,
messi lì a impedire altri possibili crolli nel futuro.
Su queste impronte però cè pure un altro studio
del prof. Cosimo Giannuzzi, il quale scrive che «nella Grotta
dei Cervi di Badisco si trovano... delle figure, classificabili
tipologicamente fra le mani positive... un indicatore privilegiato
dagli interpreti dellevento cultuale è costituito dallassenza
in certe impronte di mani, di falangi in alcune dita. Alcuni studiosi
lhanno spiegata come una pratica rituale cruenta peculiare
di culti ctonii, al fine di modificare la coscienza ordinaria dellindividuo.
La sofferenza fisica, derivante dal taglio della falange, è
manifestazione della morte iniziatica intesa come condizione
indispensabile per qualsiasi rigenerazione mistica. In definitiva
attraverso lamputazione lindividuo accede alla spiritualità,
differenziandosi dalla collettività definitivamente. Una
ricca documentazione sullattestazione di mutilazioni sacrificali
presso popolazioni primitive anche contemporanee è assunta
come prova decisiva della rigenerazione mistica... (che) ci fa intravedere
un filo conduttore collegante il gesto, la parola e il segno, nel
cui incontro va collocata la nascita del pensiero simbolico e della
comunicazione». Questo non è in contraddizione con
quanto detto precedentemente circa il motivo magico
e scaramantico.
- Cartolina n. 15. Legenda: Grotta dei Cervi Porto Badisco
Otranto (Le): Figure umane stilizzate sporgenti dai quattro
lati del quadrato. Figure nere. Altra figura emblematica della Grande
Grotta di Badisco. Probabilmente si tratta di un edificio, forse
nella forma di una grande piramide, con al suo interno un ipotetico
percorso del sole: est-sud-ovest.
Fin qui gli appunti sul quadernino delluomo dallocchio
sbilenco, Antonio Verri, che ora sentiva di aver effettivamente
visto fino in fondo lantro uterale della Grande Grotta. Per
questo, alla fine della storia, era divenuto anche lui un muto eterno,
proprio come il suo amico, il vecchio uomo di mare Giuseppe De Paola,
assieme al quale attraversava infiniti mondi sotterranei, a Badisco,
nel ventre della Montagnola, e immerso in una luce che
non poteva essere altra che quella astrale magica e fatata. Solo
un sibilo lungo percorreva la Valle.
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