Si dice che le donne del Sud siano tutte donne,
veramente donne e basta. Come le donne
al tempo dei Sassi
e della bolgia
ebolitana.
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Sono rimasti nelle corti e nei vichi, abbarbicati a quelli che
chiamano centri storici, archeologia umana esiliata
nellarcheologia dei quartieri-dormitorio, perché tra
le persone e le abitazioni non cè soltanto il vincolo
della solidarietà, non sopravvive inconscio, eppure
tattile listinto della difesa comune, ma si stabilisce
un rapporto musicale, una specie di sintonia originata da suoni
familiari, da echi ondulari. A modo loro, le pareti parlano e le
persone ascoltano e rispondono, e il lessico è decriptato
dalle anime delle case e delle persone comunicanti sui pentagrammi
speculari delle crepe sui muri e sulla pelle, segni del tempo e
della confidenza. Ed emblemi dellinfelicità.
Non cè un Sud felice in nessuna latitudine planetaria.
Sud è categoria sensibile dello spirito, scintilla primaria
della filosofia e della poesia, invenzione di dèi afosi,
sintagma di messaggi sensitivi, terra del lutto senza riscatto.
E cognizione del dolore. E Sud è rupe, serra, osso
argilloso, spuntone giroscopico, murgia ferrugigna; è botro,
calanco, dolina, lama, gravina, sisma e smottamento; è muriccia
di pietre silicee, accanita divisione di campi, schiena arcuata,
rumore di zappa, solco di terra corrucciata; è funereo asfodelo,
ulivo laminato, vite torva, fico crepitante, vallonea sterile, mora
selvaggia, grano marezzato. Sud è ferita aperta rimarginata
riaperta. Sud è antico preludio di rughe.
Sono rimasti nelle corti e nei vichi, abbarbicati a quelli che
chiamano centri storici, archeologia umana esiliata
nellarcheologia dei quartieri-dormitorio, perché tra
le persone e le abitazioni non cè soltanto il vincolo
della solidarietà, non sopravvive inconscio, eppure
tattile listinto della difesa comune, ma si stabilisce
un rapporto musicale, una specie di sintonia originata da suoni
familiari, da echi ondulari. A modo loro, le pareti parlano e le
persone ascoltano e rispondono, e il lessico è decriptato
dalle anime delle case e delle persone comunicanti sui pentagrammi
speculari delle crepe sui muri e sulla pelle, segni del tempo e
della confidenza. Ed emblemi dellinfelicità.
Non cè un Sud felice in nessuna latitudine planetaria.
Sud è categoria sensibile dello spirito, scintilla primaria
della filosofia e della poesia, invenzione di dèi afosi,
sintagma di messaggi sensitivi, terra del lutto senza riscatto.
E cognizione del dolore. E Sud è rupe, serra, osso
argilloso, spuntone giroscopico, murgia ferrugigna; è botro,
calanco, dolina, lama, gravina, sisma e smottamento; è muriccia
di pietre silicee, accanita divisione di campi, schiena arcuata,
rumore di zappa, solco di terra corrucciata; è funereo asfodelo,
ulivo laminato, vite torva, fico crepitante, vallonea sterile, mora
selvaggia, grano marezzato. Sud è ferita aperta rimarginata
riaperta. Sud è antico preludio di rughe.
Bisogna capire preventivamente che cosa è una corte, che
cosa è un vico. Bisogna capire la psicologia dellarroccamento.
Era uno spazio aperto, il Sud che accolse le poleis magnogreche.
Era approdo, relazione, scambio, osmosi. Quando la Storia oscurò
il Mediterraneo, facendosi scorreria, assalto, rovina, schiavitù,
e il mare si popolò di vele filibustiere, archi di memoria
romana (a tutto tondo) o etrusca (con possente architrave) furono
bocca di corte, limite di difesa, baluardo di sopravvivenza. Così
i vichi, dove case addossate, con passaggi multipli per cortili
butterati da pozzi e cisterne, aprivano varchi in altre vie e in
casbeh contigue, per unillusione di fuga e di salvezza.
Quelli che trovarono scampo scalarono le alture, e lì alzarono
dimore scoscese e sovrapposte, lavorarono campi in pendio, scavarono
scalinate come stradelle, bucarono rocce per rifugio di asini e
capre, aprirono botole per la cattura dellacqua piovana. Era
necessario avere una riserva smisurata di sogno per ostinarsi a
sopravvivere agli assedi di una distruttività palpabile assegnati
al Sud dalla màcina del destino.
Donne pennute come giurassiche dèe madri discese dai giacimenti
votivi ai disegni stilizzati dei tappeti di Golconda e Buchara,
e radicate in tutti i Sud. Querule matriarche, Madonne Nere, Pleiadi
proclivi, oracoli predittivi, insondabili abissi distinto
e damore.
Le donne del Sud! La pelle, gli occhi, il cuore delle donne del
Sud! Le voci roche, i gesti felini, il familismo determinato, lira
nuda, la vita agra, lalibi della speranza, le rivolte disarmate
contro il resto di niente...
Si dice che le donne del Sud siano tutte donne, veramente donne
e basta. Come le donne al tempo dei Sassi e della bolgia ebolitana.
Desolate e coraggiose, portavano il peso della loro esistenza con
apparente levità. Curavano i loro uomini, provvedevano giorno
e notte alle loro passioni e ai loro bisogni feroci e infantili,
amministravano famiglie affamate e ignoranti. Erano queste donne,
regine di capanne antri tuguri, a fare dei meridionali un popolo.
La loro fatica e la loro sofferenza intrecciavano in un ordito di
sollecitudine e di temperamento ciò che altrimenti sarebbe
stato un coacervo di vite mercenarie. Erano donne fiere, donne dolci,
donne indulgenti e pietose. Donne docili, che facevano dellamore
uno spettacolo vivo e vibrante. Donne che aravano i campi, lavavano
i panni, guidavano chars-à-bancs. Donne forti e pazienti
che seguivano ovunque i loro uomini. Donne disperatamente razionali
che spaccavano il soldo per procurarsi il pane. Donne di precoce
senilità, donne minate, che rammendavano al sole poverissimi
stracci e carminavano allombra le fronde dei pagliericci.
Donne intrepide, dagli sguardi sfrontati, con lividi sui seni per
gli amplessi di uomini ubriachi. Donne che con il loro afrore irradiavano
vertigini carnali. Donne che col sorriso promanavano una luce liquida.
Donne defraudate dalla bellezza che scivolava come la camicia di
un rettile. Donne malinconiche che sapevano tendere le corde del
cuore. Donne del Sud che dava un nome al martirio schivo e verecondo
delle sue donne.
Essendo privi di tutto, erano ricchi di stracci e di fantasia. I
bambini del Sud erano già adulti a nove o dieci anni. Erano
sciuscià, vastasi, pischelli, valiò, callidi ragazzi
di vita pasoliniani, Ciàula che scoprivano la luna nellintermezzo
tra una schiavitù e laltra, monelli scalzi, rattoppati,
e magri denutriti braccati da scabbie anemie insulti epilettici.
Campi di gioco e aule di scuola, le strade. Imparavano il mestiere
di vivere fra le botteghe di carradori, fabbri ferrai, carpentieri,
muratori, falegnami, sarti, calzolai, imbianchini, gelatai, riparatori
di biciclette e mosquitos, cavatori di tufo, trainieri, verdurai,
mercanti da fiere paesane.
Appena adulti, spiccavano il volo verso le sirene dei cantieri.
Verso il cielo in gramaglie che era stato tanto generoso con gli
uomini del Nord, mentre quello cristallino era stato altrettanto
ostile con gli uomini del Sud. Furono dapprima Torino, Milano, Roma,
città ancora quasi straniere. Poi Belgio, Francia, Germania,
Svizzera. Qualcuno, più spericolato, raggiunse le Americhe
o lAustralia. Oltre il Tronto e oltre il Garigliano, limbuto
insaziabile dello Stivale ingoiava braccia e materia grigia, come
un buco nero ingoia sterminate quantità di energia. Nei paesi
vaiolosi restavano i vecchi, corpi contorti come i tronchi degli
ulivi, superstiti testimoni in ritirata dalle campagne dalle officine
dalle botteghe, sapienziali affabulatori, le sere dello scirocco,
in circolo sulle soglie di casa.
E tutto quel che ci resta, proiezione di unantropologia
lineare irrinunciabile: questa sinfonia di rughe non del tutto affrancate,
questa polifonia di esperienze mai del tutto rimosse, questo spartito
umano che alternò furore e lutto, miseria e orgoglio, astuzie
della ragione e fragilità delle illusioni, inebrianti miraggi
e umbratili rancori.
Sono quelli che continuano a sopravvivere nei Sud del Sud. E
la testimonianza palpitante dei nostri vecchi nodosi, delle donne
omeriche, dei bambini dai sogni impenetrabili. E tutto ciò
che sta ancora in mezzo a noi, che di tanto in tanto prova ad entrare
in comunicazione con noi, se la velocità esponenziale del
tempo e la simultanea contrazione dello spazio premio e castigo
per la società contemporanea non ci imponessero che
persino quel momento di piacere terreno, che è la sosta a
mezzogiorno sotto un albero frondoso, non possa, non debba protrarsi.
(Non era dato circuire questi Sud del Sud con le malie del colore.
La loro contemporaneità è un cono dombra della
nostra coscienza civile e culturale, il sigillo della colpa e, forse,
di un rimorso, ma questo ermeticamente segregato.
Cera bisogno del bianco-e-nero per cogliere in tutte le sfumature
maculazioni sovrapposizioni i registri e le atmosfere di mondi per
tanti versi archetipici. Bianco-e-nero essendo le cromie essenziali
dominanti in queste isole arroccate; e le stesse tempere celesti
o verdi o rosa che ingentiliscono gli esterni delle case essendo
così tenui e trasparenti da suggerire allobiettivo
la loro nostalgia del bianco.
Cera anche bisogno dello scatto su soggetti statici o di impercettibile
moto, la cui ombra stessa sembra non muoversi quando il sole declina.
Cioè: sono isole anche elettivamente immobili, aliene ai
richiami della modernità, che non sia lelettrodomestico
televisivo che ha solo imbastardito, senza distruggerlo, il lessico
dialettale, e impoverito, standardizzandola verso il basso, la stessa
lingua italiana. E lostentata avversione di un modo di essere,
di stare al mondo, di pensare, di vestire, di nutrirsi, di scendere
a patti con la vita frenetica della città, di trasferirsi
senza morirne in una casa moderna, arredo Ikea, lettore
cd incorporato, piano rialzato, vicinato ignoto, norcinerie non
confidenziali, è riflessa nelle iridi, stampata sul volto,
deformata nella smorfia degli anziani ormai tagliati fuori da ogni
progettualità o voglia di conoscenza, anche la meno sofisticata.
Così come, per converso, la fissità degli occhi dei
bambini verso un orizzonte misterioso e remoto sembra essere un
consapevole impulso vitalistico, una determinazione a venir fuori
da quella dimensione degradata, innaturale.
Ed è qui che il gioco di luci e ombre, di luce e non-luce,
innesta il modulo della lettura psicologica del soggetto inquadrato,
lavora dintrospezione, estrapola racconti per sequenze e suggestioni
per memorie esistenziali.
E attualità documentale che non intende sistemarsi
in via definitiva fra le pagine della Storia che fu. Sicché,
sfogliando le foto di Coccioli, conveniamo che ancora oggi
come dice Handke viviamo un tempo paradossale, in cui a volte
anche dai detriti sgorgano sorgenti; e da tutto ciò che appare
assolutamente pietrificato possono sprigionarsi immagini che indicano
la possibilità di un dispiegamento delle facoltà conoscitive
e operative delluomo fino a limiti impensati. Se questo è
vero, è probabile che il moderno le cui allegorie
sono Eros e Caos annunciato da Novalis sia al tramonto, mentre
si comincia a vivere la transizione verso un altro tempo. Per i
Sud del Sud, allora, si aprono spazi enigmatici: sapranno fondersi
col resto del mondo? Ci sarà per loro un oltre?
Si rimetterà in cammino, il Cristo dei deserti, per valicare
la nera linea polare di Eboli?).
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