Dicembre 2002

BILANCIO SOCIALE

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Non è solo
un fenomeno di moda
Filippo Cucuccio  
 
 

 

 

 

 

“Questo mondo
non ci è stato dato
in eredità dai nostri padri, ma in prestito dai nostri figli.
E’ nostro dovere
restituirlo migliore
di prima”...

Dal Bilancio Sociale BPP edizione 2000.

 

L’importanza del sociale nella società contemporanea appare sempre più un dato di tendenza incontrovertibile; non è certo un caso che si stiano moltiplicando in modo vertiginoso iniziative di tipo laico o confessionale che comunque hanno in comune un fattore: la consapevolezza che, oltre a quella economica, all’uomo vada innanzitutto attribuita una dimensione etica dalla quale non si può prescindere, né come singolo, né come elemento di collettività o specifiche comunità professionali.
In questa ampia galassia del sociale (solo in parte esplorata) c’è una realtà che anche in Italia si sta diffondendo con grande rapidità, quella del bilancio sociale. Nei fatti, l’esperienza del bilancio sociale nel nostro Paese risale agli anni ‘80 e sembra interessare, così come avvenuto in altre realtà estere, quelle imprese che per la propria attività registravano un impatto ambientale più evidente e diretto. Non è certo una mera combinazione che il primo esempio di bilancio sociale del 1987 è opera di una società chimico-petrolifera, l’Enichem, la cui attività era per definizione in grado di apportare significative influenze sull’ambiente circostante.
Successivamente la pratica del bilancio sociale prese a diffondersi in altri ambiti industriali differenti da quello chimico, nella convinzione che le specifiche operatività potessero comunque apportare modificazioni all’ambiente e dovessero quindi essere controbilanciate da attività finalizzate ad una più attenta tutela dei valori ambientali in linea con il concetto di sviluppo sostenibile, ossia di utilizzo delle risorse senza pregiudizio dell’equilibrio complessivo dell’ecosistema. Nell’ultimo decennio la storia del bilancio sociale si arricchisce di un nuovo capitolo dedicato alle imprese dei servizi finanziari e assicurativi, a testimonianza di quell’attenzione al sociale di cui prima si parlava e soprattutto della consapevolezza che qualsiasi attività, quindi anche quella bancaria, assicurativa o finanziaria, possa avere un impatto di tipo socio-ambientale.

A questo punto, prima di procedere oltre, converrà fare chiarezza sul significato dell’espressione “bilancio sociale”. Ci soccorre in questa ricerca la definizione contenuta in una recente pubblicazione dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI), dove per bilancio sociale si intende

lo strumento per la strategia di gestione e comunicazione di impresa che ha come obiettivo primario la rappresentazione dei valori e degli effetti che l’attività aziendale produce sull’ambiente e su tutte le categorie di stakeholders (cioè dei portatori di interessi).

Dietro questa definizione vi è la necessità – come sostiene Roberto Marziantonio, presidente dell’Istituto Europeo per il Bilancio Sociale – di «superare i vincoli di una visione prevalentemente economicistica del modello socio-organizzativo, coniugando la finalità paradigmatica del profitto con le modalità attraverso le quali perseguirlo in maniera socialmente responsabile». Una meta sicuramente ambiziosa e che non può facilmente prescindere dagli altri elementi culturali del Paese, come ad esempio lo sviluppo di procedure formalizzate delle modalità di governo delle organizzazioni. Una meta che si sostanzia – è sempre Marziantonio a ricordarcelo – nel «rendere più funzionale il modello di gestione dell’impresa ancorandolo a presupposti di responsabilità sociale, intesa come coerenza a valori e diritti pregnanti delle singole persone nell’ambiente, della correttezza negoziale e della distribuzione delle risorse».
Non è certo possibile dopo questi brevi cenni ricordare qui tutti gli esempi di bilancio sociale finora apparsi in Italia, ma converrà soffermarsi su quelli che hanno riguardato alcune banche italiane.

In termini cronologici la prima esperienza nazionale risale al 1995 per opera del Credito Valtellinese che ha fatto un po’ da caposcuola nel segmento delle banche popolari, ispirandosi ai princìpi germanici della Sozial-Bilanzen Praxis. Ma esempi eccellenti si ritrovano anche in altre categorie bancarie, come nel caso della Cassa di Risparmio di Cento che nel 1997 ha fatto da battistrada alle altre Casse, o della Banca 121 (ex Banca Del Salento) che, realizzando il prototipo del bilancio sociale per gruppi bancari, ha meritato l’Oscar del Bilancio nel 2000.
Si sono qui ricordate imprese che per loro natura e conformazione presentano una spiccata valenza di radicamento territoriale e quindi una vicinanza agli interessi di collettività ben definite. Peraltro, proprio a conferma di un’aumentata sensibilità verso la dimensione del sociale, non sono mancati gli esempi di alcuni grandi istituti bancari, come il Monte dei Paschi di Siena, l’Unicredito, la BNL o grandi istituti assicurativi come l’UNIPOL che può fregiarsi anch’esso di un significativo riconoscimento (l’Oscar di Comunicazione del Bilancio per il 2001).
Fermandosi ancora un momento ad analizzare il panorama italiano, appare evidente sia il numero sempre più ampio di imprese bancarie, assicurative e finanziarie che accanto al bilancio civilistico presentano un bilancio sociale, fotografia di una crescente condivisione del nuovo modello di sviluppo e di un contemperamento degli interessi individuali nella prospettiva di una crescita umana di elevata qualità; sia anche l’approfondimento delle singole esperienze con la fissazione di standard di bilancio sociale di settore, o attraverso le prime certificazioni di questa nuova forma di rendicontazione nel segno di un impegno portato avanti in modo rigoroso e responsabile.
Di questa fase di crescita culturale sono testimoni autentici alcuni esempi sempre di espressione bancaria della più recente stagione del bilancio sociale (ci si riferisce alla seconda parte del 2002).
Si prenda il caso del bilancio socio-ambientale del Monte dei Paschi, in cui pur essendo il focus dell’attenzione incentrato sulle tematiche inerenti lo sviluppo sostenibile, viene presentato per bocca del suo Presidente Pier Luigi Fabrizi come il documento in cui «sono espressi i valori e la cultura che la Banca genera nel sociale e quei flussi di scambio qualitativo e quantitativo che spesso non emergono dal bilancio d’esercizio». In questo esempio di bilancio sociale colpiscono anche il riferimento alla Triple Bottom Line (impegno profuso nella salvaguardia dell’ambiente, rendiconto economico e attività con ricaduta sociale) e l’individuazione di indicatori di performance ambientale, facendo rientrare in questo ambito sia la descrizione di una filiale ecologica, sia la puntuale fotografia dei principali consumi ad impatto ambientale. In definitiva, appare confermata anche in questa edizione «la volontà di unificare i due documenti del sociale e dell’ambientale con un bilancio che si avvicina a quello della sostenibilità, tipico delle esperienze svizzero-tedesche».

Dal canto suo BNL, che nel 2002 per la prima volta nella sua storia ha affrontato l’esperienza del bilancio sociale nella convinzione, come dice il suo amministratore delegato Davide Croff, che «trasparenza e qualità dell’impegno sociale sono elementi indispensabili per competere con successo». Il bilancio sociale viene vissuto qui come effettivo strumento di comunicazione per la semplicità strutturale e per la chiarezza espositiva, quasi come naturale conseguenza di un radicamento di BNL in diversi ambiti del sociale che è nel DNA di questa banca (cooperazione, turismo, teatro, cinema, ecc.).
Un terzo esempio che merita di essere ricordato riguarda un’altra grande banca, anzi un gruppo, l’Unicredito, che alla sua seconda esperienza su questo campo è riuscito nell’intento certo non semplice di estendere alle banche federate l’esperienza del bilancio sociale nella prospettiva di un documento unico su base consolidata, quale strumento di governance del sistema dei valori. Non è, quindi, una semplice coincidenza che l’amministratore delegato di Unicredito, Alessandro Profumo, abbia sottolineato come «la responsabilità sociale d’impresa deve essere vissuta come un progetto imprenditoriale [...] gli stakeholders non sono semplicemente destinatari di iniziative di sostegno bensì partners di un progetto che l’impresa può attuare con il loro contributo». Né stupisce in questo ambito, poi, l’altra affermazione secondo cui «le scelte del gruppo Unicredito Italiano si sono tradotte in responsabilità», così come appare un coerente passo in avanti sulla strada del sociale il lancio di Greenlab, il portale verticale per l’ambiente e la sicurezza.

Avviandoci alla conclusione della nostra rapida panoramica, facciamo un passo indietro ritornando dalle grandi alle banche di dimensione più contenuta. Prima si sono ricordati gli esempi di imprese bancarie che – è il caso di sottolinearlo – hanno fatto scuola nel proprio segmento di appartenenza e che continuano a svolgere un’opera meritoria di ricerca e di approfondimento su questo delicato terreno del bilancio sociale. Ora vale la pena di ricordare un nuovo arrivato in questo contesto, la Banca Popolare Pugliese, che nello scorso settembre ha licenziato la seconda edizione del proprio bilancio sociale. Già nella prima il suo presidente, Raffaele Caroli Casavola, faceva proprio il principio tramandatoci dalla civiltà precolombiana secondo cui «questo mondo non ci è stato dato in eredità dai nostri padri, ma in prestito dai nostri figli. E’ nostro dovere restituirlo migliore di prima». Nella seconda edizione egli ribadisce in modo ancor più significativo l’importanza di «conoscere e valutare in modo sistematico e oggettivo il maggior valore fornito dall’Azienda alla crescita del territorio e del suo contributo verso uno sviluppo sostenibile». Parole che suggellano scelte qualificanti, come l’adozione di un codice etico e l’adesione ai princìpi della Carta dei Valori dell’Impresa elaborata dall’Istituto per il Bilancio Sociale Europeo, oltre ad alcune iniziative specifiche con ricaduta sul territorio di propria competenza operativa.

Ecco, sono queste le tappe essenziali del bilancio sociale in Italia, in particolare per il mondo bancario. Rimane da stabilire quanto delle affermazioni fatte nei diversi documenti ufficiali siano di pura facciata o esprimano il senso di un cambiamento gestionale che affonda le proprie radici in un nuovo orientamento culturale. Rispondere a questa implicita alternativa non è cosa semplice, ma la verifica del puntuale adempimento degli impegni presi nei bilanci potrà fornire in un prossimo futuro la chiave probante di un’adesione non solo formale ad un nuovo cammino di civiltà dove l’attenzione al sociale diviene una componente qualificante del processo di creazione del valore aziendale.

Dal Bilancio Sociale 2001 della Banca Popolare Pugliese riportiamo la lettera di presentazione del Presidente dell’Istituto, Raffaele Caroli Casavola.

Lo scorso anno conclusi la presentazione del Bilancio Sociale con un augurio e una certezza.
Da un lato auspicavo che questo mezzo di comunicazione potesse contribuire a consolidare il dialogo fra la Banca e i suoi interlocutori, anche attraverso un’equa valutazione del valore fornito dall’Azienda alla crescita del territorio e del suo contributo verso uno sviluppo sostenibile e dall’altro mi dichiaravo certo che il Bilancio Sociale, lungi dal costituire il raggiungimento di un traguardo, rappresentasse soltanto l’avvio di un processo perfettibile e aperto a miglioramento.

Ad un anno di distanza posso dire che il favore con cui i media, i rappresentanti di associazioni e ordini professionali, di enti e istituzioni, di categorie economiche e produttive, nonché i collaboratori, soci, clienti e fornitori dell’Istituto, hanno accolto e valutato il “Bilancio Sociale 2000”, ha indotto la Popolare Pugliese ad affinare ancor di più questo strumento (e il sottostante processo) volto a “render conto” dell’apporto che l’Azienda genera a vantaggio dei propri stakeholder e dell’intera collettività.

La Banca ha così avviato una profonda riflessione, che ha investito tutto l’agire aziendale, coinvolgendo, fra l’altro, i diversi interlocutori interni ed esterni, ai quali è stato chiesto di fornire stimoli e proposte di miglioramento.
E’ avvenuto in questo modo che concetti quali «conoscere e valutare in modo sistematico e oggettivo il maggior valore fornito dall’Azienda alla crescita del territorio e del suo contributo verso uno sviluppo sostenibile» hanno abbandonato i manuali che li contengono per “scendere” e “calarsi” nella nostra realtà aziendale, diventando il banco di prova e di verifica di un gruppo di 800 persone che – prima timidamente, poi con sempre maggiore speditezza – è riuscito a dare sostanza, corpo e concretezza a quei concetti.
Di questo iter viene data ampia descrizione nelle pagine che seguono; a me preme sottolineare come per una Banca come la nostra, con la sensibilità al sociale che le deriva dall’essere una Popolare di matrice cooperativa, stia diventando sempre più importante e decisivo sotto il profilo strategico affinare questo sistema di rendicontazione, che consente di valutare la qualità delle relazioni che corrono tra la Banca e i suoi interlocutori, fornendo nel contempo un quadro chiaro e omogeneo sul contenuto di socialità presente in tutte le attività che essa pone in essere: attenzione ai valori della persona umana, dell’ambiente, della correttezza negoziale, della solidarietà, della cultura, della qualità della vita.

   
   
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