Cosa fare,
in un mondo che la globalizzazione ha reso più piccolo e
più omogeneo nel bene come nel male:
bisogna guardare
ai punti di forza
e ai segnali positivi.
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Non vè tavola rotonda, incontro sociale o soltanto
chiacchierata tra amici a cui non si richieda alleconomista
presente (e oggi ve ne sono tanti...) di dire la sua opinione sullandamento
delleconomia, sul rischio di un rafforzamento del dollaro
o, addirittura, sui tempi necessari per la ripresa delle quotazioni
azionarie. Il malcapitato, dopo qualche tentativo di schermirsi,
cerca dincardinare la risposta sul passato invece che sul
futuro, sullanalisi piuttosto che sulla previsione. Perché
tanta cautela? Per timore di sbagliare o di indurre in errore altri,
ad esempio un imprenditore o un policymaker? Difficile crederlo,
perché la previsione è stata sempre arte rischiosa
e chi la pratica ne è consapevole.
Tuttavia, nellattuale situazione mondiale, essa è diventata
di gran lunga più aleatoria che in passato a causa di un
grado dincertezza anormalmente elevato. Seguendo il Fondo
monetario, è possibile elencarne i principali fattori.
1) Gli Stati Uniti sono certamente lunica superpotenza sotto
il profilo politico e militare, ma si sono rivelati, dopo leclissi
del Giappone e lancor forte dipendenza dellEuropa dalle
esportazioni, lunico vero motore della crescita; il disavanzo
Usa nelle partite correnti di cui hanno beneficiato tanto lAsia
quanto lEuropa ne è la prova. La quasi recessione americana
del 2001 e lansia con la quale si guarda ai suoi dati congiunturali
sono frutto dei timori di una ricaduta, di un double dip.
Né manca chi, per scaramanzia più che per convinzione,
fa un parallelo tra le vicende giapponesi (scoppio della bolla sui
mercati azionario e immobiliare e successivo decennio di recessioni
altalenanti, con crescita media dell1 per cento, deflazione
dei prezzi, esaurimento delle opzioni della politica monetaria e
fiscale, rispettivamente per lazzeramento del tasso dinteresse
e per lesplosione del debito pubblico) e quelle americane,
similari ma non troppo (distruzione di ricchezza a Wall Street per
ottomila miliardi di dollari, boom immobiliare con caratteristiche
sempre più speculative, afflosciarsi del tasso di crescita,
bassa inflazione, scarsi margini di manovra per la politica monetaria,
ritorno in disavanzo del bilancio federale).
2) Un secondo fattore di pervasiva incertezza a livello mondiale
è il prezzo del petrolio. Non solo esso è attualmente
elevato, intorno ai 30 dollari al barile, ma rischia di schizzare
verso lalto se il riacutizzarsi della crisi in diversi scacchieri
del Vicino Oriente e tra questi e quasi tutto il mondo occidentale,
sia pure con diversità di accenti e sfumature, sfocerà
in una guerra. La determinazione del presidente Bush nel combattere
i regimi che hanno offerto o sono sospettati di dare rifugio o di
essere conniventi col terrorismo internazionale lascia poche speranze
per una soluzione incruenta. Perciò, i mercati cominciano
a porsi domande circa la durata della guerra, i possibili danni
alla capacità di estrazione e trasporto del petrolio non
solo in Iraq, ma in tutto il Vicino Oriente, gli effetti sulla congiuntura
mondiale.
Ogni qualvolta si è avuto un aumento forte e improvviso del
prezzo dellenergia, esso ha funzionato come uno shock esogeno
che ha spinto in recessione leconomia mondiale. Ciò
è accaduto anche allindomani delloperazione Desert
Storm, la cui vittoriosa conclusione non fu sufficiente al
presidente Bush senior per essere riconfermato nel mandato. Per
minimizzare i rischi recessivi è necessario sperare che la
guerra sia breve e che linfrastruttura petrolifera ne resti
sostanzialmente indenne.
3) Altri elementi che contribuiscono allincertezza sistemica
hanno natura finanziaria. Le quotazioni sul mercato azionario americano
si sono ridimensionate fortemente e, per laccresciuta correlazione,
landamento si è manifestato anche nelle altre Borse;
tuttavia, in America si sono manifestate forti smagliature nel governo
societario e nei rapporti tra manager, agenzie di revisione, analisti
di mercato e banche daffari, con danno non solo per gli azionisti,
ma anche per limmagine e la fairness del mercato finanziario.
La regolamentazione è stata resa più dura e la giustizia
anche penale sta procedendo contro coloro che per smodata avidità
si sono resi colpevoli di illeciti; per restaurare la fiducia incrinata
ci vorranno impegno nel perseguire gli abusi e tempo per dimenticare
le perdite subite.
Per il momento, in assenza di segnali decisi dal settore reale,
resta la volatilità, figlia appunto dellincertezza.
Inoltre, la difficile situazione dellAmerica Latina, con leccezione
del Cile e del Messico, sta portando a un aumento dei premi per
il rischio, a una riduzione dei flussi di capitale. Infine, la dimensione
del disavanzo sullestero degli Stati Uniti prima o poi non
potrà evitare al dollaro un deprezzamento significativo,
prospettiva che riempie di timori il cuore degli europei.
Cosa fare, quindi, in un mondo che la globalizzazione ha reso più
piccolo e più omogeneo nel bene come nel male?
Bisogna guardare ai punti di forza e ai segnali positivi per trarre
da essi fiducia. Ad esempio, negli Stati Uniti, nonostante lo sgonfiamento
della bolla e lo shock terroristico, nessuna istituzione finanziaria
è diventata insolvente. Se si fa il raffronto con la Grande
Crisi che vide la caduta di migliaia di banche, ci si rende conto
che la gestione dei rischi, la loro ripartizione sul mercato e il
monitoraggio da parte dei supervisori hanno reso il sistema molto
più resistente. In Giappone, segnali positivi per la politica
di ristrutturazione derivano dalla decisione della Banca centrale
di acquistare i titoli azionari posseduti dalle banche, e, soprattutto,
dal rimpasto di gabinetto che ha portato a unificare nelle mani
del ministro delle Finanze, favorevole ad usare denaro pubblico
per ricapitalizzare le banche, le competenze in questa materia.
Per lEuropa, infine, non si può non prendere atto con
soddisfazione del realismo del Commissario Solbes e del presidente
della Commissione Prodi nel proporre per la discussione allEurogruppo
e allEcofin la reinterpretazione del Patto di stabilità
e crescita in termini strutturali, invece che nominali; è
sperabile che lannunciata opposizione dei Paesi virtuosi
non renda più difficile il cammino sul sentiero della ragionevolezza.
Tuttavia, non solo per lEuropa, ma soprattutto per il nostro
Paese, le riforme strutturali (liberalizzazioni, privatizzazioni,
riequilibrio e completamento dei regimi pensionistici, ecc.) non
possono attendere sine die, se si vuole ampliare il prodotto potenziale
e ridurre il surriscaldamento dei prezzi quando il reddito tornerà
a crescere a tassi soddisfacenti. A questo riguardo, il richiamo
del Governatore Fazio alle responsabilità istituzionali del
Parlamento è logico, ma uno spirito di concordia e di dialogo
in Italia come in Europa è condizione necessaria per configurare
e condividere il bene comune. Anche leccessivo spirito di
parte contribuisce allincertezza.
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