Dicembre 2002

KEYNES ALL’ORIZZONTE?

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Chi deve spendere
Franco Righi Molteni  
 
 

 

 

 

 

Chi sollecita
a spendere,
intuisce che se tutti spendessero a cuor leggero la domanda riprenderebbe
e il vento tornerebbe a soffiare nelle vele di tutta l’economia produttiva.

 

Pochi giorni prima che venisse recuperato da un passato non proprio gradevole il termine “sacrifici”, gli italiani erano stati sollecitati a spendere, a consumare e a non preoccuparsi per il futuro. Un sia pure astratto fondamento economico ad una sollecitazione del genere non può essere negato. Quanto più il reddito è elevato, infatti, tanto più nella struttura della domanda perdono peso i beni essenziali, (l’alimentazione, la casa, l’abbigliamento), per concederne a beni e servizi accessori, superflui, comunque non vitali. Quanto più il reddito è elevato, di conseguenza, tanto più il sistema economico diventa instabile. Si struttura e si dimensiona per il volume di domanda che il reddito consente, ma la corrispondenza di quella domanda a quel reddito diventa elastica, potendosi modificare anche in funzione di atteggiamenti soggettivi, psicologici, umorali, dovuti alle cause più diverse, ma che in prima approssimazione possiamo ricondurre alla fiducia nel futuro.
Nelle economie preindustriali, delle quali abbiamo moltissimi esempi ancora nel nostro tempo, il problema non si pone: in gran parte dell’Africa, come è risaputo, il livello di vita è talmente basso da lasciare ben pochi margini oltre alla pura e semplice sussistenza. In quelle aree non c’è una congiuntura economica; non ci sono cicli da governare, né comportamenti da indirizzare. Nelle economie evolute, invece, il problema si pone perché ampia è la quota della domanda di beni e di servizi il cui acquisto può essere graduato, sospeso, rinviato, e persino escluso, imponendo la continua ricerca di un equilibrio tra la domanda di beni e di servizi e il dimensionamento del sistema produttivo – in termini di impianti e di forza lavoro – necessario per soddisfarla.
Il primo compito di un governo, quindi, è quello di evitare sbalzi della domanda che rendano inadeguato il dimensionamento del sistema produttivo: se la domanda cresce senza dare tempo al sistema di adeguarsi, si ha inflazione; se diminuisce, si ha eccesso di capacità produttiva e, di conseguenza, taglio di investimenti, riduzione di occupazione, arresto della crescita, o, addirittura, recessione.
Quest’ultima sembra essere la condizione nella quale versa l’economia italiana, insieme a gran parte dei sistemi economici del mondo più evoluto: è caratterizzata da una spirale lungo la quale l’incertezza del futuro induce parsimonia, la parsimonia determina una flessione della domanda, questa comporta stagnazione degli investimenti e precarietà dell’occupazione, rafforzando in definitiva i motivi che inducono alla parsimonia.
Chi, dunque, sollecita a spendere, intuisce che se tutti spendessero più a cuor leggero, vivendo sull’attimo fuggente, la domanda riprenderebbe e il vento tornerebbe a soffiare nelle vele di tutta l’economia produttiva. Purtroppo, però, si tratta di un’astrazione perché, se c’è un calo di fiducia, ognuno si comporterà di conseguenza, guardandosi bene dallo scommettere su un comportamento forzato che può avere successo soltanto all’incerta e improbabile condizione che sia generalizzato. Per questo motivo, uno dei più grandi economisti di tutti i tempi, un certo Lord Keynes, formulò la ben nota teoria secondo la quale, quando vi siano risorse produttive inutilizzate, debba essere il settore pubblico ad attivare il volàno della domanda, in modo che l’economia possa ripartire e la domanda privata superare le remore della sfiducia.
Sebbene siano state collaudate con successo in più occasioni, però, oggi le teorie keynesiane hanno scarsa fortuna; a motivo del ruolo attivo che assegnano al settore pubblico, passano per essere di sinistra, in contrasto quindi con le politiche liberiste che affidano il destino dell’economia alle scelte dei privati, delle persone e delle imprese, sulle quali lo Stato deve intervenire il meno possibile. E infatti (rifacendoci al caso italiano) per raddrizzare il percorso logico che è andato dalla sollecitazione a spendere per far aumentare i consumi all’annuncio di sacrifici, il Capo del governo ha precisato che questi ultimi non verranno chiesti ai cittadini, i quali, anzi, beneficeranno della riduzione del prelievo fiscale sui redditi più bassi, potendo in questo modo consumare di più e trarre l’economia dal pantano della stagnazione.
Ma la forma che i sacrifici possono assumere non è solo quella fiscale, bensì anche quella della riduzione dei servizi assicurati da Stato, Regioni, Province e Comuni, ai quali i sacrifici sono stati chiesti e confermati. Quale sarà il saldo finale, e se davvero aumenteranno le risorse per alimentare una maggiore propensione al consumo, si potrà dunque verificare solo col tempo. Per ora il giudizio sulla compatibilità di una sollecitazione a consumare con la prospettiva di sacrifici, sia pure soltanto per gli enti statali e locali, deve rimanere quanto meno sospeso.

   
   
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