Dicembre 2002

 

Indietro
Più flessibilità per il mercato del lavoro
Robert Mundell Premio Nobel per l’Economia
 
 

 

 

 

 

Se queste riforme troveranno attuazione in Europa, l’euro potrebbe diventare entro il 2010 la moneta più forte a livello planetario.

 

Per crescere, l’Italia ha bisogno di un mercato del lavoro flessibile e competitivo. Le recenti modifiche dell’articolo 18 sono passi nella giusta direzione, ma non sono ancora sufficienti. Le norme che impediscono alle aziende la flessibilità vanno eliminate.
Nel corso degli anni ho studiato a lungo i meccanismi che regolano il mercato del lavoro. Naturalmente, ci sono grandi differenze tra il mercato americano e quello europeo, diversità dovute sostanzialmente a motivi storici. Nonostante queste diverse impostazioni di fondo, ho potuto constatare che la maggiore differenza è dovuta all’azione dei governi europei, che hanno bloccato il mercato del lavoro con una serie eccessiva di regole. Purtroppo, però, se impediamo il licenziamento ad un’azienda la carichiamo di un fardello improprio.
Un esempio può chiarire l’astratta teoria. Supponiamo che l’Italia, Paese che amo molto e dove vivo parte dell’anno, entri in una grave recessione. Ipotizziamo che questo rallentamento dell’attività economica faccia salire il tasso di disoccupazione che è di per sé già elevato. Non è possibile lasciare questo gran peso sulle spalle delle aziende, perché fallirebbero. Questo, allora, diventerebbe un problema nazionale. Anzi, per essere ancora più precisi, si trasformerebbe, nell’era della moneta unica, in un problema europeo. In altri termini, è semplicemente inconcepibile che un’azienda possa risolvere problemi di questa natura con i suoi soli mezzi, perché l’unico sbocco sarebbe quello di portare i libri in tribunale.
C’è un ulteriore elemento da analizzare. Se il mercato del lavoro resta rigido, le imprese frenano sugli investimenti. Si crea un circolo vizioso dove le rigidità del mercato del lavoro rallentano la crescita potenziale di un’area forte come quella di Eurolandia e tengono lontani gli investimenti internazionali.
Inoltre, vorrei sgombrare il campo da un’opinione molto diffusa, secondo la quale l’euro sarà l’artefice di un’armonizzazione dei salari europei. Vorrei escludere una volta per tutte questa ipotesi. In Europa il livello di produttività è molto diverso da Paese a Paese. Basti pensare alla differente produttività che si riscontra in Portogallo e in Grecia rispetto a quella tedesca o francese. I salari seguono la produttività, e questa è aumentata grazie alla cosiddetta rivoluzione tecnologica che ha portato enormi risparmi. L’euro, dunque, non c’entra.
La vera svolta si è celebrata al summit dell’Unione europea di Barcellona, dove i capi di Stato e di governo dei Quindici hanno fatto buoni passi avanti verso un mercato più flessibile del mercato del lavoro e dove si sono poste le basi di una rivoluzione europea della e-economy, come quella che si è verificata negli Stati Uniti. Se queste riforme troveranno attuazione in Europa, l’euro potrebbe diventare entro il 2010 la moneta più forte a livello planetario. Per ora, invece, si deve accontentare di restare in una forbice compresa tra 0,90 e 1,10 contro il dollaro.

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000