La disputa approdò
in Parlamento,
dove i due rivali
si presentarono
ciascuno con un baule di dollari
per comprare
i parlamentari.
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Esattamente a metà degli anni Ottanta, Ivan Boesky divenne
leroe di Wall Street, una sorta di moderno Re Mida che trasformava
in oro tutto ciò che toccava e che gli veniva a tiro. Convinto
di essere onnipotente, predicava apertamente lavidità:
«Lavidità è sana e bella disse
in una conferenza dedicata ai giovani . Il mio sogno afrodisiaco
è di scalare una montagna di dollari dargento».
Boesky cessò di essere un eroe e diventò un galeotto
il giorno che la Sec (Security and Exchange Commission) scoprì
che basava le compravendite di azioni sullinside trading,
vale a dire sulle informazioni riservate, e pertanto su un reato
grave. Gliele forniva Dennis Levine, un banchiere dinvestimenti
della Drexel Burnham Lambert, dietro una grossa percentuale dei
guadagni. Assieme ai complici, tra i quali Michael Milken, il re
dei junk bonds, cioè le azioni spazzatura, Boesky
fu costretto a pagare centinaia di milioni di dollari di multa e
scontare un anno e mezzo di prigione. La Drexel Burnham Lambert
andò in bancarotta e Wall Street subì ingenti perdite.
Hollywood si innamorò della vicenda e ne trasse un film con
un protagonista eccellente, Michael Douglas, lattore che ripeté
parola per parola linno di Boesky allavidità.
Lo scandalo è ritornato alla ribalta in occasione di unaltra
bancarotta, la più grande di tutti i tempi, quella della
Enron, che ha dato la stura ad una serie di scandali senza precedenti
nellAmerica dei nostri giorni. Lo citano nuovi libri, da Le
chiromanti di Howard Kurtz, un giornalista, a Gli avvoltoi di Hillary
Rosenberg, uneconomista, e un bestseller degli anni Novanta
ristampato per la circostanza, Covo dei ladroni, di James Stewart,
che non è il vecchio attore dellAmerica post-bellica,
bensì un noto editorialista del Wall Street Journal. I libri
tracciano un quadro inquietante della Borsa, «dove gli imbrogli
sono tanto rispettabili quanto in passato lo furono la tratta degli
schiavi e la rapina dei territori pellerossa», come scrive
Kurtz. Le chiromanti sono gli analisti che spingono le azioni di
società come la Enron, gli avvoltoi sono i finanzieri dassalto,
i ladroni sono gli agenti disonesti. Una Trinità del
Male, direbbe il presidente degli Stati Uniti, da cui i risparmiatori
si possono difendere soltanto con investimenti prudenti e oculati.
Per il Washington Post, Boesky, la Enron, e così via, sono
un semplice ricorso storico: «Dopotutto sottolinea
il quotidiano le frodi furono le fondamenta di alcune delle
massime fortune finanziarie americane: quelle dei Vanderbilt, dei
Morgan, dei Rockefeller, dei Kennedy. Questi Creso sono patrioti
che manifestano il proprio patriottismo versando soldi ai politici
senza chiedere nulla in cambio, se non un piccolo favore fiscale».
Lanno scorso i titoli della Enron, finanziatrice dei partiti
e del presidente Bush, un tempo la settima società del mondo,
precipitarono da 90 dollari a quasi zero ciascuna, lasciando sul
lastrico decine di migliaia di persone. «LAmerica è
la terra delle grandi opportunità conclude il Washington
Post , il posto dove anche un povero immigrato italiano come
Charles Ponzi può realizzare una truffa così semplice
da darle il suo nome».
E dubbio che Ponzi, un piccolo truffatore già incarcerato
ad Atlanta e a Montreal, fosse un genio finanziario: in Italia non
avrebbe ingannato nessuno. Ma nella Boston del 1919, e dunque alla
vigilia dei ruggenti anni Venti, la sua catena di SantAntonio,
applicata alla Borsa, fece colpo. Ponzi fondò la Security
and Exchange Company (da qui, ironia della sorte, il nome della
futura Sec) promettendo agli investitori un profitto del cinquanta
per cento in soli 45 giorni. Con i soldi del secondo azionista pagò
il primo, con i soldi del terzo pagò il secondo, con i soldi
del quarto pagò il terzo, e via di seguito. Nellestate
del 1920 Ponzi incassava 250 mila dollari al giorno, circa 280 mila
euro, che nascondeva nei cassetti: una cifra colossale per quei
tempi. Ovviamente, venne scoperto e imprigionato. «Il pubblico
merita una spiegazione», tuonò il giudice. «Il
pubblico merita esattamente ciò che ha», ribatté
Ponzi.
Negli anni Sessanta, un altro italo-americano, Anthony De Angelis,
un ex macellaio di New York noto come il re dellolio
da insalata, si ricordò di Ponzi. Creò una ditta,
la Allied Crude Vegetable Oil, e si fece dare milioni di dollari
da investire nei futures del settore. Li garantì
con una sconfinata quantità di olio contenuta in enormi serbatoi.
Ma lolio era soltanto in superficie, i serbatoi erano pieni
dacqua. Due agenzie di Borsa dichiararono bancarotta e De
Angelis scontò sette anni di galera.
Un uomo del tutto privo di scrupoli? Certamente, ma non come Richard
Whitney, il presidente della Stock Exchange, la Borsa di New York.
Negli anni Trenta, quando il presidente Franklin D. Roosevelt propose
di formare la Sec, Whitney si oppose: «La massima garanzia
contro le frodi sono io», sostenne fieramente. Nel 1937, però,
rubò un milione di dollari dai fondi pensione e finì
nelle celle del penitenziario di Sing Sing.
La truffa azionaria più spettacolare della storia è
legata comunque ai Vanderbilt. Nel 1868, il commodoro Cornelius
Vanderbilt, proprietario delle Ferrovie centrali di New York, tentò
di comprare il pacchetto azionario delle Ferrovie Erie, controllato
da Daniel Drew.
Drew accettò 7 milioni di dollari, altra somma smisurata,
ma stampò una valanga di nuove azioni, conservandone così
la maggioranza. Vanderbilt corruppe un giudice, che vietò
a Drew di continuare. Drew ne corruppe un altro, che gli consentì
di proseguire. Poi si rinchiuse in una villa protetta da poliziotti
corrotti armati di cannone. La disputa approdò in Parlamento
a New York, dove i due rivali si presentarono ciascuno con un baule
di dollari per comprare i parlamentari. Vanderbilt non riuscì
a mettere le mani sulle Ferrovie Erie, ma ci guadagnò ugualmente,
scaricando le sue azioni sulla Borsa di Londra. Gli inglesi ne acquistarono
centomila, per vedere il loro valore dimezzarsi nel giro di pochi
giorni.
Ogni volta Wall Street ha cercato di correre ai ripari. Ma cè
da dubitare che arrivi il giorno in cui inchioderà un cartello
con su scritto: «Gli scandali non abitano più qui».
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