La cosa
fondamentale
è attirare capitali nei Paesi in via
di sviluppo, con un maggiore rigore di bilancio e con una più
ampia apertura economica.
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Leuro debole faceva bene alla bilancia commerciale europea,
ma suscitava qualche apprensione per linflazione. Adesso che
è forte, leffetto è inverso, ma in un caso come
nellaltro loscillazione non è drammatica. In
concreto, ora la Banca centrale europea sarà meno preoccupata
dalle tensioni sui prezzi e non deciderà di aumentare i tassi
come si riteneva inevitabile fino a qualche tempo fa. Ma non credo
che farà nemmeno linverso, tagliando i tassi. Starà
a vedere quel che succede.
E esattamente quel che fa da un pezzo. Ma questa non è
una giustificazione a posteriori della politica seguita. La Banca
centrale è stata fortunata, gli ultimi sviluppi erano imprevedibili.
E non nel senso che il capovolgimento dei rapporti di forza tra
euro e dollaro sia irrazionale. Anzi, è molto razionale,
perché un deficit americano delle partite correnti di 400
miliardi di dollari allanno non era sostenibile e non giustificava
il dollaro forte. Però la situazione durava da parecchio
tempo e non era prevedibile il momento in cui i mercati ne avrebbero
preso atto. Ma tengo anche a sottolineare che per ora il riequilibrio
fra le grandi regioni economiche del mondo non sta andando nel senso
giusto.
Voglio dire: è in atto una fuga di capitali dal dollaro verso
leuro, che rivaluta la moneta europea e rende meno competitivo
lexport dallUnione europea verso gli Stati Uniti. Ma
questo non corregge lo squilibrio di fondo, perché il deficit
commerciale americano non è verso lEuropa, ma verso
alcuni Paesi emergenti, che hanno valute deboli e surplus commerciali,
ma che ultimamente hanno perso capitali a vantaggio degli Stati
Uniti. A medio termine, si può sperare che il flusso dei
capitali in fuga dagli Stati Uniti si diriga non verso lUnione
europea, ma verso i Paesi in via di sviluppo. Se in questi Paesi
il tasso di cambio col dollaro si rafforza, i loro surplus commerciali
si riducono, ma se contemporaneamente si riducono anche i tassi
di interesse, leffetto complessivo sulla crescita può
essere positivo.
La cosa fondamentale, pertanto, è attirare capitali nei Paesi
in via di sviluppo con più trasparenza finanziaria, con un
maggior rigore di bilancio e con una più ampia apertura economica.
A chi rilevi che si tratta delle solite, contestatissime strategie
attuate dal Fondo monetario internazionale, ribatto che si può
contestare sul timing, ma non sulla direzione di marcia.
Neanche il più grande critico del Fondo monetario, Joseph
Stigliz, mette in dubbio che si debba fare così. Contesta
soltanto che vada fatto nei primi sei mesi di una crisi, anziché
nei primi tre anni.
Se, invece, il riequilibrio non avverrà lungo lasse
Stati Uniti-Paesi in via di sviluppo, ma su quella Stati Uniti-Unione
europea, succederà che sempre più capitali americani
affluiranno in Europa e per un po lorgoglio di certi
politici europei verrà soddisfatto, come ora, dalleuro
che si apprezza sul dollaro. Ma alla lunga questo fenomeno danneggerebbe
la bilancia commerciale del Vecchio Continente. Si deve aver buona
memoria: nel 1995 fra il dollaro e il marco tedesco, allora moneta-guida
in Europa, si stabilì un rapporto di cambio che, convertendo
i marchi in euro, equivarrebbe a un cambio attuale di 1,30 dollari
per euro. Potrebbe succedere ancora, e in tal caso il riequilibrio
della bilancia commerciale americana avverrebbe a scapito dellEuropa,
togliendole almeno il 6 per cento del Prodotto interno lordo. Sarebbe
un brutto colpo.
E si tenga conto che non è più tempo di guidare i
rapporti di cambio con accordi fra Banche centrali. Magari si possono
concertare delle fasce di oscillazione, ma per indurre attualmente
le Banche centrali a muoversi contrastando i mercati dovrebbe trattarsi
di fasce talmente larghe, per esempio fra 0,80 e 1,30, da non avere
significato.
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