Dicembre 2002

CAPITALI IN FUGA DAGLI STATES

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La Bce non dovrà aumentare i tassi
Daniel Gros Direttore “Centre for European Political Studies” - Consulente Bce
 
 

 

 

 

 

La cosa
fondamentale
è attirare capitali nei Paesi in via
di sviluppo, con un maggiore rigore di bilancio e con una più ampia apertura economica.

 

L’euro debole faceva bene alla bilancia commerciale europea, ma suscitava qualche apprensione per l’inflazione. Adesso che è forte, l’effetto è inverso, ma in un caso come nell’altro l’oscillazione non è drammatica. In concreto, ora la Banca centrale europea sarà meno preoccupata dalle tensioni sui prezzi e non deciderà di aumentare i tassi come si riteneva inevitabile fino a qualche tempo fa. Ma non credo che farà nemmeno l’inverso, tagliando i tassi. Starà a vedere quel che succede.
E’ esattamente quel che fa da un pezzo. Ma questa non è una giustificazione a posteriori della politica seguita. La Banca centrale è stata fortunata, gli ultimi sviluppi erano imprevedibili. E non nel senso che il capovolgimento dei rapporti di forza tra euro e dollaro sia irrazionale. Anzi, è molto razionale, perché un deficit americano delle partite correnti di 400 miliardi di dollari all’anno non era sostenibile e non giustificava il dollaro forte. Però la situazione durava da parecchio tempo e non era prevedibile il momento in cui i mercati ne avrebbero preso atto. Ma tengo anche a sottolineare che per ora il riequilibrio fra le grandi regioni economiche del mondo non sta andando nel senso giusto.
Voglio dire: è in atto una fuga di capitali dal dollaro verso l’euro, che rivaluta la moneta europea e rende meno competitivo l’export dall’Unione europea verso gli Stati Uniti. Ma questo non corregge lo squilibrio di fondo, perché il deficit commerciale americano non è verso l’Europa, ma verso alcuni Paesi emergenti, che hanno valute deboli e surplus commerciali, ma che ultimamente hanno perso capitali a vantaggio degli Stati Uniti. A medio termine, si può sperare che il flusso dei capitali in fuga dagli Stati Uniti si diriga non verso l’Unione europea, ma verso i Paesi in via di sviluppo. Se in questi Paesi il tasso di cambio col dollaro si rafforza, i loro surplus commerciali si riducono, ma se contemporaneamente si riducono anche i tassi di interesse, l’effetto complessivo sulla crescita può essere positivo.
La cosa fondamentale, pertanto, è attirare capitali nei Paesi in via di sviluppo con più trasparenza finanziaria, con un maggior rigore di bilancio e con una più ampia apertura economica.
A chi rilevi che si tratta delle solite, contestatissime strategie attuate dal Fondo monetario internazionale, ribatto che si può contestare sul “timing”, ma non sulla direzione di marcia. Neanche il più grande critico del Fondo monetario, Joseph Stigliz, mette in dubbio che si debba fare così. Contesta soltanto che vada fatto nei primi sei mesi di una crisi, anziché nei primi tre anni.
Se, invece, il riequilibrio non avverrà lungo l’asse Stati Uniti-Paesi in via di sviluppo, ma su quella Stati Uniti-Unione europea, succederà che sempre più capitali americani affluiranno in Europa e per un po’ l’orgoglio di certi politici europei verrà soddisfatto, come ora, dall’euro che si apprezza sul dollaro. Ma alla lunga questo fenomeno danneggerebbe la bilancia commerciale del Vecchio Continente. Si deve aver buona memoria: nel 1995 fra il dollaro e il marco tedesco, allora moneta-guida in Europa, si stabilì un rapporto di cambio che, convertendo i marchi in euro, equivarrebbe a un cambio attuale di 1,30 dollari per euro. Potrebbe succedere ancora, e in tal caso il riequilibrio della bilancia commerciale americana avverrebbe a scapito dell’Europa, togliendole almeno il 6 per cento del Prodotto interno lordo. Sarebbe un brutto colpo.
E si tenga conto che non è più tempo di guidare i rapporti di cambio con accordi fra Banche centrali. Magari si possono concertare delle fasce di oscillazione, ma per indurre attualmente le Banche centrali a muoversi contrastando i mercati dovrebbe trattarsi di fasce talmente larghe, per esempio fra 0,80 e 1,30, da non avere significato.

   
   
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