Dicembre 2002

SE FIBRILLA IL DOLLARO

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Atlantico più largo
D.M.B.  
 
 

 

 

 

 

Che cosa determina la capacità
di attrarre
investimenti?
Innanzitutto, conti pubblici in ordine
e debiti limitati.

 

L’oscillazione da montagne russe del dollaro e la sua conseguenza diretta, cioè il brusco rallentamento delle importazioni americane, sono una bruttissima notizia per le aziende europee. Si erano abituate a vendere in un mercato nel quale la domanda sembrava inesauribile e la forza della moneta (salita di oltre il 30 per cento dal 1995) spiazzava la concorrenza locale. Ora esportare è molto più difficile. E, comunque, la crisi del dollaro forte rappresenta anche una grande opportunità per il Vecchio Continente.
Nell’ultimo decennio gli Stati Uniti hanno attirato dal resto del mondo una straordinaria quantità di risparmio, oltre duemila miliardi di dollari. Questi hanno finanziato un po’ di tutto: consumi delle famiglie, il boom della Borsa, i costi della guerra contro Al Qaeda, ma anche, e soprattutto, investimenti. Una parte importante di questo risparmio (300 miliardi di dollari soltanto nel 2000, in massima parte provenienti dall’Europa) è infatti arrivata al di là dell’Atlantico in forma di investimenti diretti in aziende americane, per finanziare nuovi investimenti o più semplicemente per acquistarle.
Il rallentamento dell’economia americana (e soprattutto le preoccupazioni suscitate negli investitori dallo scandalo Enron e dalla scoperta di altri episodi di contabilità disonesta) ha bruscamente frenato questo flusso di risparmio. Nella prima parte del 2002 gli acquisti di azioni e di obbligazioni americane da parte di risparmiatori del resto del mondo (al netto delle vendite) si sono ridotti di un buon 35 per cento; gli investimenti diretti in aziende americane si sono pressoché dimezzati. Il primo effetto di questa inversione di tendenza nella fiducia dei risparmiatori è la caduta del dollaro, ma la domanda più interessante è: dove si dirigerà ora tutto questo risparmio? Qui risiede la grande opportunità dell’Europa: si aprono, per chi saprà coglierle, grandi occasioni di investire e di crescere.
E’ un momento per molti aspetti favorevole all’Europa: il Giappone langue in una crisi ormai decennale; in America Latina, il Brasile, fino a pochi mesi fa grande speranza di quella parte del mondo, è in fase incerta. Nei prossimi mesi, dunque, gli investitori valuteranno attentamente la possibilità di spostarsi nel Vecchio Continente. Ma non tutti i Paesi sono uguali, e le scelte saranno necessariamente selettive.
In Europa, il 70 per cento degli investimenti diretti, i più importanti perché i più stabili, si concentra su quattro soli Paesi (i dati si riferiscono al triennio 1998-2000): Gran Bretagna (28 per cento), Olanda (20 per cento), Spagna (12 per cento), Irlanda (8 per cento). Germania, Francia e Italia, messe insieme, contano poco più della Spagna.

Che cosa determina la capacità di attrarre investimenti? Innanzitutto, conti pubblici in ordine e debiti limitati. Ne godono Paesi, come ad esempio l’Olanda e l’Irlanda, nei quali è più che improbabile che il governo debba alzare le tasse per ripagare il debito, e Paesi con imprenditori intelligenti e con buone idee. Questi ultimi in Italia non mancano: la palla al piede è il debito pubblico, che è ancora quasi il doppio della media europea e costituisce la maggior fonte di preoccupazione degli investitori internazionali.
Abbattere il debito pubblico è il problema dei problemi italiani. Qualcuno ha detto: si useranno le imprese ancora pubbliche per fare politica industriale, non si svenderà per fare cassa. E, infatti, continuiamo a sentir parlare di grandi progetti finanziari, ma non si è ancora avviata neppure un’azione. Sarebbe interessante sapere che cosa aspetta il nostro ministro dell’Economia, per vendere, ad esempio, il 3 per cento di Telecom Italia che ancora possiede, oppure (caso diverso, ma altrettanto straordinario) gli stabilimenti del Poligrafico dello Stato. Appare quasi una follia non sfruttare questi grandi spostamenti del risparmio internazionale per abbattere in misura considerevole il nostro debito pubblico.

   
   
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