Che cosa determina la capacità
di attrarre
investimenti?
Innanzitutto, conti pubblici in ordine
e debiti limitati.
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Loscillazione da montagne russe del dollaro e la sua conseguenza
diretta, cioè il brusco rallentamento delle importazioni
americane, sono una bruttissima notizia per le aziende europee.
Si erano abituate a vendere in un mercato nel quale la domanda sembrava
inesauribile e la forza della moneta (salita di oltre il 30 per
cento dal 1995) spiazzava la concorrenza locale. Ora esportare è
molto più difficile. E, comunque, la crisi del dollaro forte
rappresenta anche una grande opportunità per il Vecchio Continente.
Nellultimo decennio gli Stati Uniti hanno attirato dal resto
del mondo una straordinaria quantità di risparmio, oltre
duemila miliardi di dollari. Questi hanno finanziato un po
di tutto: consumi delle famiglie, il boom della Borsa, i costi della
guerra contro Al Qaeda, ma anche, e soprattutto, investimenti. Una
parte importante di questo risparmio (300 miliardi di dollari soltanto
nel 2000, in massima parte provenienti dallEuropa) è
infatti arrivata al di là dellAtlantico in forma di
investimenti diretti in aziende americane, per finanziare nuovi
investimenti o più semplicemente per acquistarle.
Il rallentamento delleconomia americana (e soprattutto le
preoccupazioni suscitate negli investitori dallo scandalo Enron
e dalla scoperta di altri episodi di contabilità disonesta)
ha bruscamente frenato questo flusso di risparmio. Nella prima parte
del 2002 gli acquisti di azioni e di obbligazioni americane da parte
di risparmiatori del resto del mondo (al netto delle vendite) si
sono ridotti di un buon 35 per cento; gli investimenti diretti in
aziende americane si sono pressoché dimezzati. Il primo effetto
di questa inversione di tendenza nella fiducia dei risparmiatori
è la caduta del dollaro, ma la domanda più interessante
è: dove si dirigerà ora tutto questo risparmio? Qui
risiede la grande opportunità dellEuropa: si aprono,
per chi saprà coglierle, grandi occasioni di investire e
di crescere.
E un momento per molti aspetti favorevole allEuropa:
il Giappone langue in una crisi ormai decennale; in America Latina,
il Brasile, fino a pochi mesi fa grande speranza di quella parte
del mondo, è in fase incerta. Nei prossimi mesi, dunque,
gli investitori valuteranno attentamente la possibilità di
spostarsi nel Vecchio Continente. Ma non tutti i Paesi sono uguali,
e le scelte saranno necessariamente selettive.
In Europa, il 70 per cento degli investimenti diretti, i più
importanti perché i più stabili, si concentra su quattro
soli Paesi (i dati si riferiscono al triennio 1998-2000): Gran Bretagna
(28 per cento), Olanda (20 per cento), Spagna (12 per cento), Irlanda
(8 per cento). Germania, Francia e Italia, messe insieme, contano
poco più della Spagna.
Che cosa determina la capacità di attrarre investimenti?
Innanzitutto, conti pubblici in ordine e debiti limitati. Ne godono
Paesi, come ad esempio lOlanda e lIrlanda, nei quali
è più che improbabile che il governo debba alzare
le tasse per ripagare il debito, e Paesi con imprenditori intelligenti
e con buone idee. Questi ultimi in Italia non mancano: la palla
al piede è il debito pubblico, che è ancora quasi
il doppio della media europea e costituisce la maggior fonte di
preoccupazione degli investitori internazionali.
Abbattere il debito pubblico è il problema dei problemi italiani.
Qualcuno ha detto: si useranno le imprese ancora pubbliche per fare
politica industriale, non si svenderà per fare cassa. E,
infatti, continuiamo a sentir parlare di grandi progetti finanziari,
ma non si è ancora avviata neppure unazione. Sarebbe
interessante sapere che cosa aspetta il nostro ministro dellEconomia,
per vendere, ad esempio, il 3 per cento di Telecom Italia che ancora
possiede, oppure (caso diverso, ma altrettanto straordinario) gli
stabilimenti del Poligrafico dello Stato. Appare quasi una follia
non sfruttare questi grandi spostamenti del risparmio internazionale
per abbattere in misura considerevole il nostro debito pubblico.
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