Dicembre 2002

TORNANO LE PRIVATIZZAZIONI?

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Parola d’ordine: dismettere
Agostino Bettini  
 
 

 

 

 

 

Le privatizzazioni riprenderanno semplicemente perché non c’è altra maniera
di far diminuire
le tasse.

 

I governi dell’Europa occidentale si stanno ponendo una domanda da 250 milioni di euro: i processi di privatizzazione rappresentano una forza riformatrice ormai del passato, oppure sono semplicemente in un momento di stallo, in attesa di una nuova fase di ripresa?
Nel periodo 1990-2002 i governi dell’Ue hanno raccolto oltre 675 miliardi di euro in proventi da privatizzazioni, in larga parte attraverso offerte di azioni al grande pubblico. I risultati economici e fiscali ottenuti dalle privatizzazioni fin qui realizzate sono stati molto positivi. Tuttavia, anche dopo vendite così ampie, rimangono in mano ai governi quote di imprese che valgono oltre 250 miliardi di euro a prezzi correnti di mercato. Tutti i governi stanno attualmente valutando quale sia il modo migliore di vendere queste partecipazioni. Ma, purtroppo, da quando l’economia ha cominciato a rallentare all’inizio del 2001, i proventi totali delle privatizzazioni in Europa sono decisamente diminuiti, passando dagli 80 miliardi del 2000 ai 40 del 2001, fino a precipitare ai soli 5 miliardi dei primi nove mesi del 2002.
Il rallentamento dei processi di privatizzazione difficilmente poteva arrivare nel momento più sbagliato per i governi europei. La difficile congiuntura economica, infatti, è responsabile della diminuzione dei proventi fiscali, mentre il Patto di stabilità costringe i governi all’interno di un sentiero fiscale molto stretto. Contemporaneamente, il crollo dei valori azionari, a cominciare dal marzo 2000, ha reso ulteriori vendite di azioni al pubblico molto più difficili. La crisi economica ha anche fatto emergere la necessità di altre riforme nei mercati dei prodotti e del lavoro, rendendo più urgente una maggiore liberalizzazione e, in generale, una maggiore apertura dei mercati. In altre parole, saremmo ora in un momento politico favorevole per avviare un’ulteriore fase di privatizzazioni, ma nessun governo è ancora riuscito a farlo. Per quale motivo?

Che cosa ha fatto deragliare il treno delle privatizzazioni, proprio quando erano più necessarie? Uno degli argomenti preferiti nel dibattito finanziario di questi tempi riguarda le ragioni della fine della grande espansione dei valori azionari degli anni Novanta. Poiché, al di fuori degli Stati Uniti, le privatizzazioni sono state una delle principali cause della crescita delle Borse, si può partire dall’ovvia osservazione che le privatizzazioni sono rallentate quando la bolla finanziaria ha incominciato a sgonfiarsi, all’inizio del 2000. La caduta dei valori azionari ha frenato le privatizzazioni per due ragioni. Prima: nessun operatore, pubblico o privato, vuole vendere azioni in un mercato depresso. La tendenza è quella di fermarsi e aspettare che le Borse risalgano; i potenziali investitori si muovono soltanto se hanno la percezione che la ripresa non è molto lontana. Seconda: le Offerte pubbliche di vendita (Opv) delle società privatizzate sono fortemente legate a questioni di carattere politico.
Vendere oggi azioni offerte qualche anno fa a prezzi molto più alti fa sì che gli investitori che hanno comprato per la prima volta azioni qualche anno prima registreranno oggi una perdita; significa anche che le proprie quote nella società vengano diluite. Gli investitori professionali che operano anche nel lungo periodo sono attrezzati per affrontare congiunture borsistiche negative; inoltre, essi possono minimizzare le perdite attraverso la diversificazione del portafoglio. Invece, gli investitori che hanno sottoscritto per la prima volta azioni non sono in grado di affrontare lo status quo dei mercati; inoltre, possiedono mediamente uno o due titoli nel loro portafoglio e difficilmente si faranno convincere a investire ancora negli stessi titoli o in titoli analoghi.
Un’altra questione critica per le privatizzazioni in Europa è il fatto che i cittadini non sembrano essere disposti ad accettare che il controllo delle grandi imprese pubbliche venga completamente ceduto ai privati, soprattutto se a un operatore straniero. Un commentatore ha recentemente osservato che «i cittadini vogliono che il proprio governo privatizzi quanto più possibile delle quote degli operatori nei servizi di pubblica utilità, a condizione che il controllo rimanga nelle mani del ministero di riferimento». La perdita del controllo potrebbe significare l’acquisizione dell’intera società privatizzata da parte di un concorrente straniero. La “golden share” è vista con sempre maggiore sospetto dalla comunità europea. Perciò un governo, una volta ceduto il controllo, non ha nessuno strumento per salvaguardare la proprietà nazionale.
Se non fosse per la recessione e per difficili condizioni dei mercati, i dubbi sulla perdita del controllo da parte dei governi potrebbe essere superata, anche alla luce del prevalente orientamento liberale della gran parte dei governi in carica attualmente in Europa. Senza eccezioni, tutti i governi in questione hanno dichiarato di voler riprendere i processi di privatizzazione senza esitazioni. Finora, tuttavia, alla parola d’ordine non hanno potuto ancora far seguire i fatti. La verità è allora probabilmente la seguente: sembra essere arrivato il momento politico per una ripresa dei processi di privatizzazione, in assenza delle necessarie condizioni finanziarie.
Dalle considerazioni appena svolte sembrerebbe che la forza delle privatizzazioni sia venuta meno. Niente affatto. Si è convinti che una nuova ondata di privatizzazioni stia per cominciare. Non avrà le stesse dimensioni della prima, anche perché la quantità da privatizzare è meno rilevante, ma avrà un effetto molto significativo sui mercati azionari, sui bilanci pubblici e sulla performance economica.
Quattro sono le principali ragioni per cui si crede che le privatizzazioni riprenderanno presto. Le si può chiamare i “quattro imperativi”:

1) Il primo e più importante è l’imperativo fiscale. Le privatizzazioni riprenderanno semplicemente perché non c’è altra maniera per far diminuire le tasse in presenza di una spesa pubblica ancora crescente.

2) Il secondo è l’imperativo economico. La proprietà pubblica delle attività di impresa non è più difendibile. Imprese nei settori delle telecomunicazioni, del bancario, le aviolinee, le imprese manifatturiere, le imprese di pubblica utilità nell’elettricità, nel gas e nel petrolio sono state tutte privatizzate, anche perché erano percepite come inefficienti. La letteratura empirica ha dimostrato in maniera abbastanza incontrovertibile che le imprese passate al settore privato hanno registrato significativi incrementi di efficienza in termini di performance economica e finanziaria.

3) Il terzo è l’imperativo industriale. Mentre l’Europa combatte per essere industrialmente competitiva rispetto agli Stati Uniti e ai Paesi asiatici, dovrà accelerare i processi di liberalizzazione e di apertura dei propri mercati. Il combinato disposto della pressione esterna che viene dal Wto e quella interna che viene dalla Commissione per la concorrenza dell’Ue stimolerà ulteriori trasformazioni nella struttura dell’industria europea. Ciò porterà ulteriore consolidamento industriale e razionalizzazioni attraverso alleanze strategiche e fusioni e acquisizioni transfrontaliere. L’esperienza ha dimostrato che le alleanze strategiche tra imprese con assetti proprietari diversi (le une pubbliche e le altre private) sono politicamente e tecnicamente molto più difficili. La privatizzazione completa dovrebbe quindi rendere più agevole la creazione di grandi imprese transnazionali e favorire il rafforzamento industriale tramite alleanze globali.

4) Quarto e ultimo è l’imperativo demografico, e riguarda la cosiddetta “bomba ad orologeria” delle pensioni. E’ risaputo che l’Europa dovrà affrontare nel futuro prossimo una drammatica crisi fiscale dovuta alla combinazione dei seguenti fattori: una popolazione che sta rapidamente invecchiando, un tasso di natalità estremamente in calo e sistemi pensionistici pubblici costosi, con un’età media pensionabile ancora molto bassa. Il graduale passaggio da sistemi previdenziali pubblici a sistemi privati sarà inevitabile nel prossimo futuro. La conseguenza più ovvia sarà un forte sviluppo dei fondi pensione. Ma questo, a sua volta, necessita di società quotate di grande capitalizzazione, dove i fondi possano investire grandi quantità di risparmio con orizzonti temporali di lungo periodo. Le grandi imprese pubbliche in via di privatizzazione sono le candidate ideali per ricoprire tale ruolo. Anche per questa ragione si è convinti che le privatizzazioni in Europa riprenderanno molto presto, e a ritmi sostenuti.

   
   
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