Il principio della
sussidiarietà
stabilisce
che lEuropa ha il
diritto e il dovere
di intervenire quando a livelli nazionali non si riesca
a raggiungere
soluzioni
soddisfacenti.
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Ma quanto ci costa, lEuropa! E, questo, il lamento-protesta
che ogni tanto ci sentiamo ripetere in dichiarazioni politiche e
articoli di giornali da parte di chi considera una sciagura lintegrazione
europea qual è già oggi e, peggio ancora, quale potrà
essere domani con lallargamento a 10 dei 13 Paesi candidati,
una sua costituzione, modifiche alle strutture e alle regole delle
istituzioni, eccetera eccetera.
Questi eurocritici, in qualche caso veri e propri euronemici
purtroppo ben rappresentati e non solo in quel Paese che, tradizionalmente
è il bastian contrario dellUnione, cioè la Gran
Bretagna oltre a dare una doppia o tripla sottolineatura
ai molti insuccessi politici dellEuropa comunitaria, ne denunciano
con sdegno i costi, secondo loro enormi, scandalosi, inversamente
proporzionali ai risultati ottenuti e forse, forse (questa, per
la verità, è unipotesi sostenuta solo da una
minoranza di euroavversari) causa o concausa delle difficoltà
economiche che oggi affliggono un buon numero dei Paesi del nostro
continente, Italia compresa.
Il tema di questo capitolo della nostra rubrica lEuropa
utile è una risposta alle critiche e agli attacchi
cui, poco sopra, abbiamo fatto accenno. Critiche e attacchi che
lo chiariamo subito non hanno, sotto i piedi, una
solida e seria base di lancio. Non sono cioè sostenuti da
dati e fatti attendibili.
A questo proposito già dicono quanto basta i seguenti dati
che lon. Guido Podestà, Vicepresidente del Parlamento
europeo, ha recentemente ricordato in unintervista al Corriere
della Sera. Nel 92, ha detto Podestà, i governi dei
Paesi dellUnione concordarono di mettere a disposizione delle
istituzioni europee risorse che non superassero l1,27 per
cento del loro Prodotto interno lordo. Bene: a tuttoggi ci
si è sempr emantenuti sotto tale tetto massimo, nel 2002
ci si ferma all1,05 per cento. Ma ancora più interessanti,
ha aggiunto il Vicepresidente del Parlamento europeo, sono i dati
sulluso che lUnione fa del denaro che arriva alle sue
casse. Il 20 per cento copre le spese per il funzionamento delle
istituzioni e per le loro iniziative politiche, l80 per cento
ritorna ai Paesi della famiglia comunitaria sotto forma di contributi
per la politica agricola, per i fondi strutturali a favore delle
regioni più povere, eccetera. E linsieme di queste
uscite costa ad ognuno dei 376 milioni di cittadini dellUnione
14 centesimi di euro al giorno. E troppo?
Potrebbe anche esserlo se quel venti per cento di spese per le istituzioni
fosse assorbito dagli stipendi dei dipendenti (20 mila solo quelli
della Commissione), dai costi dei megapalazzi di Bruxelles, Strasburgo
e Lussemburgo e da quelli di iniziative politiche che, spesso e
volentieri, si concludono con buchi nellacqua, come purtroppo
è spesso accaduto e accade per i molti tentativi di mediazione
internazionale condotti dallineffabile e per certi aspetti
patetico Javier Solana, mister PESC, lo sfortunato e
solitario esecutore della fantomatica Politica Estera e di Sicurezza
Comune (appunto, la PESC) dellUnione Europea.
Ma cè dellaltro: che fa tornare i conti e ci
dice che i soldi spesi per lEuropa i 14 centesimi al
giorno di cui ha parlato Guido Podestà sono, per i
cittadini dellUnione, un ottimo investimento. E con
questi soldi che, tra laltro, si finanzia lEuropa
utile, quella delle iniziative di cui i 376 milioni di uomini
e donne che risiedono nellUnione beneficiano direttamente.
Come crediamo di aver documentato nei nostri precedenti articoli,
queste iniziative danno infatti agli europei garanzie per la tutela
della loro salute e per la difesa dei loro diritti di consumatori,
affrontano il problema della lotta alla disoccupazione, favoriscono
il raggiungimento di pari opportunità per le donne, gli anziani,
gli handicappati, creano le condizioni per la ricerca di nuove fonti
energetiche. E molto ancora.
Un molto ancora che sotto il titolo dellEuropa utile,
dellEuropa che ripaga, e con interessi altissimi, i contributi
che lalimentano, è, si può dire, non stop: nel
senso che è un susseguirsi continuo di nuove iniziative.
Alcune, tra le ultime, fanno letteralmente notizia, grossa notizia.
Accade, ad esempio, per le correzioni negli interventi per la politica
agricola, per i piani diretti a contenere la crisi della pesca e
i riflessi negativi che essa provoca sulloccupazione (solo
in Italia i pescatori recentemente rimasti senza lavoro sono 8.000).
Accade per le norme che si propongono di por fine alle abissali
differenze di prezzi che per lacquisto delle auto ancora sopravvivono
tra un Paese e laltro di unUnione Europea che pure già
nove anni fa ha costituito e messo in funzione un mercato unico.
Accade per le nuove regole che, grazie a una paziente opera di tessitura
condotta dalla Commissione Europea, sono state stabilite lestate
scorsa per il telelavoro, un genere di attività che agli
esordi, pochi anni fa, nellUnione coinvolgeva poche migliaia
di persone, oggi assicura pane e companatico a 4 milioni e 500 mila
persone e in un futuro prossimo impegnerà 10 milioni di europei.
I limiti dello spazio di cui disponiamo su questa Rivista ci obbligano
a dare solo una rapida occhiata alle ultime novità sullattività
dellEuropa utile. Almeno su una delle notizie
prima accennate laccordo per il telelavoro vogliamo
tuttavia fornire qualche particolare in più, partendo da
due considerazioni che sottolineano limportanza del fatto.
Considerazione numero uno: da questo accordo nasce il primo contratto
di lavoro europeo. Considerazione numero due: lEuropa sociale,
da decenni vagheggiata, mostra finalmente di poter esistere in carne
e ossa.
Lasciamo ora che, a sostegno di queste valutazioni, parli lavvenimento.
Lintesa che stabilisce garanzie prima inesistenti per
tutti coloro che operano nel settore del telelavoro è
stata raggiunta lestate scorsa a Bruxelles tra i rappresentanti
delle imprese e quelli dei sindacati dei lavoratori. E unintesa
che vale non solo per lItalia, la Francia o altri singoli
Stati membri dellUnione, ma per tutti i 15 Paesi dellEuropa
comunitaria. E dunque un contratto europeo, il primo finora
sottoscritto. E, come vedremo più avanti, nasce e sta per
operare grazie ai buoni uffici dellEuropa utile.
«Un avvenimento storico»: così lo definisce Anna
Diamantopoulos, il commissario europeo responsabile dei problemi
delloccupazione. E guardando i fatti non si può certo
accusarla di forzature retoriche. Il primo contratto europeo è
il punto darrivo di un impegno congiunto delle istituzioni
dellUnione e delle forze sociali. Parte da uniniziativa
della Commissione Europea che oltre due anni fa, nel giugno del
2000, apre una serie di consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori
e quelli degli imprenditori. Le consultazioni continuano nel 2001
fino a che si creano le condizioni per una trattativa diretta tra
le parti. Nellottobre del 2001, sempre con la collaborazione
della Commissione, sindacati e imprese iniziano la ricerca dellaccordo.
E la concludono lestate scorsa, a Bruxelles: con un contratto
europeo, il primo dallinizio del processo dintegrazione,
reso possibile dalliniziativa dellEuropa utile,
nel caso specifico rappresentata dalla Commissione.
Secondo il commissario Diamantopoulos, questo contratto farà
da battistrada a molte altre successive soluzioni di dimensioni
europee di problemi riguardanti il mondo del lavoro, dando sempre
maggiore visibilità e autorevolezza allEuropa sociale.
E una previsione realistica. Tanto è vero che la Commissione
sta già progettando nuovi interventi che, comè
avvenuto per il telelavoro, la impegnino nel ruolo di mediatore
dellEuropa sociale. E un ruolo che non esisteva. E che
ora non solo è attivo, ma funziona. E che, in un certo senso,
introduce anche nel campo del lavoro il principio della sussidiarietà,
in quanto stabilisce che, anche su questo terreno, lEuropa
ha il diritto e il dovere di intervenire quando a livelli nazionali
non si riesca a raggiungere soluzioni soddisfacenti.
E proprio quanto è avvenuto per il telelavoro. Prima
che attraverso la Commissione lEuropa
utile ci mettesse lo zampino, soluzioni nazionali erano state
cercate e spesso anche trovate in diversi Paesi dellUnione:
ad esempio in Italia con laccordo tra CONFAPI e CGIL, CISL
e UIL e in Gran Bretagna con il contratto della British Gas. Le
regole concordate con queste intese davano tuttavia insufficienti
garanzie a una parte dei lavoratori impegnati nel settore, particolarmente
a coloro che svolgono la loro attività a domicilio o in viaggio.
Non adeguata attenzione si dava inoltre alla dimensione internazionale
che il telelavoro sempre di più assume e ai nuovi diritti
e doveri che questa attività ormai senza frontiere impone
a chi la esercita.
Senza rinnegare i contratti nazionali un contratto europeo stava
così diventando necessario e urgente. Le consultazioni e
le sollecitazioni della Commissione prima, le trattative tra imprenditori
e sindacati poi hanno riconosciuto e risolto questesigenza.
Si è arrivati a un contratto che stabilisce princìpi
e regole valide in tutta lUnione. E lEuropa utile
ha così di nuovo manifestato la sua forza anche se, purtroppo,
contemporaneamente, lEuropa politica su cui abbiamo
pianto insieme a voi, cari lettori, nel nostro precedente articolo
[Apulia, III/settembre 2002, N.d.R.] ha continuato e continua
a confermare la sua debolezza e la sua impotenza: nei fumosi dibattiti
alla Convenzione, nelle trattative sui grandi problemi internazionali,
come il Medio Oriente e lIraq, in tante altre sedi.
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