Dicembre 2002

POLITICHE DI COESIONE E DIVARI REGIONALI

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I Fondi strutturali
D.M.B.  
 
 

 

 

 

 

Entro qualche
anno milioni di
agricoltori polacchi
abbandoneranno
le campagne,
e questo provocherà enormi problemi
sociali.

 

Non sorprende che sia stata la Spagna, prima beneficiaria delle politiche di coesione comunitarie, a gettare il sasso nello stagno, chiedendo garanzie sui meccanismi di erogazione dei fondi strutturali dopo l’allargamento ad Est, in cambio dei sette anni di transizione sui movimenti di lavoratori voluti dalla Germania e dall’Austria.
Tuttavia, la Commissione europea sostiene che questo non è il momento di mettersi a ridiscutere le prospettive finanziarie dell’Unione, in quanto il quadro è già stato fissato dall’accordo di Berlino per i prossimi cinque anni. Nell’arco 2000-2006 ai Quindici Paesi Ue spettano 195 miliardi di euro di fondi strutturali; 18 miliardi di euro vanno al fondo di coesione (per Grecia, Portogallo e Spagna, con l’Irlanda in uscita), e 47 miliardi di euro ai nuovi Paesi candidati. All’Italia spettano circa 60 mila miliardi, di cui 44 mila da erogare nell’ambito dell’Obiettivo Uno, destinato alle zone in ritardo di sviluppo del Mezzogiorno, circa 5 mila attraverso l’Obiettivo Due, per le zone in declino industriale del Centro-Nord, e 7.500 per l’Obiettivo Tre, destinato alla formazione.
Il problema posto da Madrid riguarda però i meccanismi di ripartizione dopo il 2006. Ma il Commissario Ue alle Politiche Regionali ha dichiarato che la questione andrà affrontata non prima del 2004, e che si potranno configurare diversi meccanismi di ripartizione per tener conto dell’arretratezza di alcune aree dei Quindici membri attuali. Non ha comunque escluso un aumento dei contributi da parte dei governi, dal momento che l’attuale 0,45 per cento del PIL destinato alle politiche regionali è da considerarsi appena sufficiente.
Per il post 2006, studi italiani hanno indicato che gli attuali parametri per entrare nell’Obiettivo Uno (meno del 75 per cento della media Ue del PIL) salverebbero soltanto Campania e Calabria, mentre Puglia e Sicilia uscirebbero per pochi decimali di punto. Ma una recente analisi del Tesoro è meno allarmista: solo Sardegna e Basilicata rischierebbero di perdere i fondi dell’Obiettivo Uno dal 2007 in poi.
Di diverso avviso Joan Colom y Naval, docente di Economia all’università di Barcellona e vicepresidente dell’Europarlamento. Il quale ha dichiarato che, dopo aver visitato i Paesi dell’Unione, è arrivato alla conclusione che, «a differenza dei quattro Paesi meno prosperi, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda, che utilizzano i fondi di coesione perché il cofinanziamento rappresenta pur sempre un beneficio considerevole, quelli che stanno meglio sono restii a fare altrettanto, dal momento che l’impatto sul tessuto economico e sociale è minore».
I fondi – ha precisato – non spariranno, «ma la spinta a ridurli è già forte da parte dei Paesi ricchi e ancora di più lo sarà dopo il 2006. Non farà piacere né alla Spagna né all’Italia, ma prevedo che la maggior parte delle regioni che beneficiano attualmente del fondo saranno escluse dall’Obiettivo Uno. Ciò vorrà dire che l’Andalusia e il Mezzogiorno italiano sono usciti da una lunga stagione di sviluppo ritardato».

D’altra parte, non vanno sottovalutate le capacità di assorbimento dei finanziamenti che rischiano di turbare il ciclo economico in un’Europa allargata. Se ci si basa sul bilancio comunitario, oggi ad ogni europeo vanno 250 euro, ma un greco, grazie all’aiuto strutturale, ne riceve 560 che, a conti fatti, concorrono per il 5-6 per cento alla formazione del PIL. Un sostegno delle stesse dimensioni concesso alla Romania corrisponderebbe al 26 per cento del PIL. Nessuna economia può ricevere un aiuto di questo genere senza sgangherarsi. Lo aveva capito il premier portoghese, che rifiutò i finanziamenti europei quando si rese conto che quelli ricevuti contribuivano per il 7 per cento alla formazione del PIL nazionale.
Ciò significa che si dovrà pensare a una riforma radicale dei fondi strutturali. Per capire questa esigenza, basta riflettere sulla evoluzione del mondo agricolo polacco formato dal 18 per cento della popolazione, quattro volte superiore alla media Ue. L’Europa spende 42 miliardi di euro annui per la Politica agricola comunitaria (Pac) e destina all’agricoltura polacca appena 230 milioni di euro. Per quanti accorgimenti si possano prendere, entro qualche anno milioni di agricoltori polacchi abbandoneranno le campagne, e questo provocherà enormi problemi sociali.

   
   
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