Dicembre 2002

PREVISIONI

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Ma sarà un buon affare
Michael Emerson Docente della London School of Economics
 
 

 

 

 

 

Se l’Unione europea diventerà
più attraente
e più grande, ci sarà indubbiamente
beneficio per tutti.

 

L’allargamento sarà un buon affare, perché all’Unione europea, che oggi rallenta, si aggiunge una nuova zona di crescita. Non vedo particolari minacce a settori di mercato dei Quindici. Al contrario, la Ue attuale ha bisogno di un’iniezione di dinamismo. La concorrenza all’interno del mercato europeo non subirà scosse pericolose. Certo, tutte le imprese dei Quindici dovranno rimodulare la propria strategia di esportazione, e dovranno anche investire di più nei dieci Paesi.
Va detto che i dieci candidati hanno fatto bene il loro apprendistato, e l’Unione europea è stata molto dura con loro sulle condizioni. Al punto in cui si è arrivati, il contratto è pronto per essere firmato. E non credo proprio che ci saranno catastrofi economiche. E’ molto più probabile che questi Paesi avranno un nuovo slancio sulla base di una realtà molto semplice: l’allargamento è fatto, loro sono in Europa e gli investitori internazionali li considereranno più sicuri.

In parte, è possibile che investimenti destinati, per esempio, all’Italia finiscano nei nuovi Paesi membri. Ma questo è un punto di vista statico. Se c’è un nuovo blocco che si unisce e l’Europa diventa una zona di crescita, non c’è ragione perché il tasso d’investimento complessivo non possa aumentare. Gli investimenti internazionali non sono una somma di denaro fissa. Se l’Unione europea diventerà più attraente e più grande, ci sarà indubbiamente beneficio per tutti.
Per quanto riguarda la ridistribuzione dei fondi strutturali, i dieci Paesi che arrivano nell’Unione europea, in particolare quelli dell’Est europeo, hanno un basso livello di ricchezza ed è naturale che avranno accesso prioritario nel nuovo sistema di quei fondi, perché quello attuale resterà comunque immutato fino al 2006. Ma è anche evidente che molte regioni europee che vent’anni fa erano povere, oggi sono in grado di prosperare anche senza queste sovvenzioni. Parlo in modo particolare di Spagna, Portogallo e Irlanda. L’Italia, ovviamente, ha il suo Mezzogiorno. Ma io considero l’Italia come uno dei Paesi industrialmente avanzati nella norma europea. Quindi le sfide e le opportunità per la Penisola sono quelle della media europea. Con una particolarità: la Germania è il Paese che ha il maggior numero di frontiere dirette con i nuovi partner, e questo le darà maggiori occasioni di scambi, ma nello stesso tempo anche più problemi. Penso alla possibilità di migrazioni interne all’Unione. Di polacchi, soprattutto.

Il punto di vista cristiano

Aprirsi all’Est
per riunificare l’Europa

Jozef Glemp
Primate di Polonia

L’ingresso nell’Unione europea rappresenta una sfida che i cristiani devono saper raccogliere per rafforzare la loro identità in un mondo secolarizzato che tende ad unificarsi per motivi economici e politici. Ma ci sono anche ragioni ideali: l’allargamento ad Est non è altro che la riunificazione dei popoli europei. Il loro patrimonio comune sono i valori radicati nel Cristianesimo. L’allargamento dunque è un rischio ma anche un’opportunità.
Rispetto a coloro i quali temono la perdita della nostra identità, io capovolgo il ragionamento: l’ingresso nell’Unione europea di Paesi con una forte tradizione cattolica come la Polonia, la Slovacchia, la Lituania, potrà costituire un grande aiuto e un apporto formidabile al recupero della dimensione comunitaria e spirituale dell’Europa, contro la logica dominante dell’individualismo e del materialismo. Se saremo uniti, saremo anche più forti.
Resta il nodo gordiano dell’agricoltura, ed è un rompicapo sul quale continuano a litigare politici ed esperti. Non tocca agli uomini di Chiesa proporre una soluzione tecnica. Ma il giudizio è chiaro: dare il 25 per cento dei sussidi ai contadini polacchi e il 100 per cento a quelli degli altri Paesi è un trattamento ingiusto che acuisce le tensioni sociali. Confido che venga trovata una soluzione più equilibrata, rispettosa delle esigenze dei vecchi membri dell’Unione europea, senza penalizzare i nuovi.
Io ho incontrato a Bruxelles il Commissario per l’allargamento, Guenther Verheugen. L’impressione che ne ho tratto è che le intenzioni sono buone, ma le disposizioni sono troppo rigide. Ci vorrebbe più flessibilità.
Certe imposizioni che giungono da Bruxelles ci fanno venire in mente i diktat che arrivavano da Mosca in epoca comunista: brutta sensazione davvero!

L’Italia non avrà questi problemi, anche se è alle prese con i continui sbarchi di clandestini provenienti dall’Africa, dal Vicino e dal Medio Oriente; dovrà tuttavia fare maggiori sforzi per penetrare nei nuovi mercati.
Non va dimenticato che l’Italia è, dopo la Germania, il secondo partner economico di gran parte dei nuovi Paesi membri. Non si può dire aprioristicamente quali Paesi saranno vincenti o perdenti nel campo degli scambi commerciali con l’allargamento a Venticinque. Certamente, è un’occasione per tutti. Avere dei nuovi Paesi membri in piena crescita sarà positivo anche per le esportazioni degli altri. E nel caso dell’Italia ci sono prospettive di miglioramento perché uno dei suoi punti-forza sono i prodotti di qualità: proprio quello che non c’è in questi Paesi, che chiederanno sempre di più prodotti come quelli del made in Italy.

I maggiori rischi che si possono profilare? Il problema più complesso è quello dell’agricoltura. Perché è un doppio problema. Il primo è se sì oppure no, e con quale velocità sarà riformata l’attuale politica agricola comune. Il secondo è con quale velocità i nuovi Paesi avranno pieno accesso agli aiuti diretti per gli agricoltori. Su questo si giocherà gran parte del successo dell’allargamento, e considero molto criticabile l’atteggiamento della Francia, che non intende toccare le regole. Tutte le politiche europee si dovranno adeguare alla nuova realtà.

   
   
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