Dicembre 2002

EUROPA PROSSIMA VENTURA

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Quasi tutto il Vecchio Continente
Furio Beltrami  
 
 

Un’Europa che si dà istituzioni comuni dal Mediterraneo al Baltico, dai Pirenei ai Carpazi, è una clamorosa novità storica.

 

Sono dieci e sono poveri, con una forte componente agricola. E, a meno di uno stop politico, entreranno nell’Ue nel 2004. L’adesione di questi dieci Paesi – otto ex comunisti (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Repubbliche Baltiche), ai quali si aggiungono Malta e Cipro – potrebbe costare molto cara, come temono alcuni. Eppure la proposta della Commissione, giudicata ancora troppo generosa da alcuni Paesi membri, non prevede per i nuovi entranti che 40 miliardi di euro dal 2004 al 2006: una cifra che non arriva neanche allo 0,15 per cento del Prodotto interno lordo dei Quindici.

Dai 40 miliardi, poi, i dieci dovranno togliere circa 15 miliardi di contributi al bilancio di Bruxelles. E poiché esiste sempre un divario di tempo tra il giorno in cui si ha diritto a uno stanziamento e quello in cui effettivamente lo si incassa, i Paesi candidati potrebbero trovarsi nella situazione di dover sborsare una certa cifra nel 2004 e ricevere poi meno di 9 miliardi in tre anni. I Quindici cercano una soluzione a questo problema. Anche perché Cipro, Malta e la Slovenia, relativamente ricchi e poco agricoli, in poco tempo potrebbero arrivare a pagare più di quanto ricaveranno.
Dal 2004 al 2006, due terzi delle somme assegnate andranno agli aiuti regionali strutturali. Un quarto sarà consacrato alla Pac (Politica agricola comune) e il saldo sarà riservato a modernizzare le amministrazioni o a rendere sicure le centrali nucleari.
Cifre così piccole si spiegano facilmente. La popolazione dei Paesi candidati è di appena 75 milioni di abitanti (metà dei quali in Polonia), contro i 380 milioni dei Quindici. Tutto il loro Prodotto interno lordo è inferiore a quello dei soli Paesi Bassi e non arriva al 5 per cento di quello dei Quindici. Costruire un ponte in Lettonia o aiutare un agricoltore polacco costa molto meno che farlo in Svezia. Questi Paesi relativamente poco popolati sono talmente poveri, che aiutarli non costerà granché, almeno all’inizio. Tanto più che arriveranno solo per gradi agli stessi diritti dell’Occidente. In compenso, pur partendo da un livello molto basso, i contributi potrebbero prendere il volo dopo il 2007, soprattutto se otto milioni di bulgari e ventidue milioni di rumeni, molto poveri e molto rurali, raggiungeranno l’Unione.
Gli aiuti strutturali potrebbero scalare rapidamente il tetto del 4 per cento del Pil, limite fissato dall’esperienza e dall’analisi economica, perché si è visto che uno Stato non è in grado di assorbire una quantità maggiore di aiuti all’investimento, (in passato soltanto l’Irlanda ha raggiunto quella percentuale). Ma quanto più questi Paesi, il cui Pil per abitante è inferiore del 40 per cento alla media dei Quindici, si avvicineranno agli altri, tanto più cara costerà la politica regionale. Ora, questo recupero può essere relativamente veloce: l’Irlanda è uno dei Paesi più ricchi dell’Unione, mentre Grecia, Spagna e Portogallo hanno visto il loro PIL per abitante aumentare molto rapidamente negli anni Novanta.

Passiamo all’agricoltura. Occorrerà attendere il 2013 perché gli agricoltori dell’Est abbiano gli stessi diritti di quelli dell’Ovest. Ma già ci si preoccupa per il costo della Pac a breve, se verrà dato agli agricoltori polacchi e ungheresi lo stesso livello di vita dei colleghi di Francia e Danimarca. Queste preoccupazioni sono espresse dai Paesi che più contribuiscono al bilancio comunitario (Germania e Paesi Bassi), i quali vogliono garanzie che la generosità della Pac dopo il 2007 sarà ridotta.
Questi argomenti avrebbero dovuto esser presi di petto con l’allargamento, ma Commissione e Paesi membri si sono rifiutati di parlarne: sarebbe stato come aprire il vaso di Pandora. L’allargamento sarebbe stato ostaggio degli stanziamenti di bilancio per il periodo 2007-2013, della riforma della Pac, della politica strutturale. Il grande litigio comincerà soltanto nel 2004, quando la Commissione presenterà le sue prime proposte. La battaglia sarà dura, perché ciascuno vorrà tutelare i propri interessi. E tuttavia varrà la pena di discuterne, perché, superati i problemi, nell’Ue confluirà quasi per intero il Vecchio Continente.
La vecchia Comunità, poi diventata Unione europea, aveva impiegato trentotto anni, dal 1957 al 1995, per passare da sei a quindici Stati membri. In breve, dovrebbe passare da quindici a venticinque. Un “big bang” geopolitico, voluto da alcuni grandi Paesi e fortemente promosso dalla Commissione, che ha parlato di un «capolavoro politico», perché estende il processo che ci ha dato per lungo tempo pace e prosperità. E in effetti, questo è il dato più appariscente: l’unificazione dell’Europa, divisa per 44 anni dal muro dei totalitarismi comunisti, ma anche, nei secoli precedenti, da guerre intestine e da conflitti d’ogni tipo. Un’Europa che si dà, in qualche misura, istituzioni comuni dal Mediterraneo al Baltico, dai Pirenei ai Carpazi, è una clamorosa novità storica. Un’occasione immensa, ma che va vista come una sfida: per i candidati, per l’Unione attuale, che deve creare per tempo serie regole decisionali, e per i suoi membri, Italia compresa, che devono ripensare se stessi, negli scenari politico-economici del futuro.

   
   
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