Gli investitori
diffidano del mercato americano, ma sanno benissimo che
la locomotiva
resta questa, per la semplice ragione che al momento non
ce ne sono altre.
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Arriveremo alla parità e si andrà anche oltre, tra
euro e divisa americana, se non interverrà una correzione
del clima di sfiducia nel mercato americano. La causa principale
della debolezza del dollaro, infatti, è la questione morale.
In un certo senso, la fuga dal dollaro è una specie di voto
allAmerica, perché cè poco da illudersi:
General Motors, Ibm, Microsoft non sono tanto diverse da Enron,
Tyco, WorldCom, Xerox.
Si tratta di grandi conglomerati che potrebbero nascondere al proprio
interno cosmesi di bilancio altrettanto devastanti, non per mancanza
di fiducia nei confronti di queste specifiche aziende, ma perché
ormai nessuno crede più allonestà dei controllori.
In una situazione come questa, in cui i top manager realizzano profitti
miliardari disfandosi delle proprie azioni cinque minuti prima della
mezzanotte, mentre i piccoli risparmiatori, come nel caso Enron,
restano imprigionati da una technicality e vedono sfumare tutti
i propri risparmi senza poter vendere, è logico che la gente
non abbia più voglia di investire a Wall Street.
Ma cè unaltra causa importante della fuga dalla
moneta statunitense. Il deficit della bilancia commerciale americana
supera ormai il 4 per cento del Prodotto interno lordo e la regola
generale dice che quando questo valore si avvicina al 5 per cento
del Pil, la moneta locale tende a svalutarsi.
Ormai il ritmo degli acquisti americani allestero è
tale, che per finanziarlo abbiamo bisogno di un flusso di investimenti
che superi il miliardo di dollari al giorno. Per innescare la svalutazione,
gli investitori esteri non hanno nemmeno avuto bisogno di mettersi
a vendere i loro asset in dollari; è stato sufficiente rallentare
il ritmo degli investimenti. E in effetti risulta chiaro dai numeri
che non stiamo perdendo capitali, semplicemente non ne arrivano
abbastanza di nuovi. Si dice che i capitali che non giungono in
America non vanno neanche in Europa, dove le Borse europee cadono,
come quella di Wall Street. Per forza, qui non si tratta di una
fuga verso qualcosa. In altre parole: gli investitori diffidano
del mercato americano, ma sanno benissimo che la locomotiva resta
questa, per la semplice ragione che al momento non ce ne sono altre
abbastanza forti da tirare il mondo fuori dalla crisi.
Per ora, comunque, la crisi dei mercati è soprattutto psicologica.
I fondamentali economici vanno avanti per la loro strada e la ripresa
delleconomia americana rimane abbastanza robusta. Non continueremo
certamente a crescere al ritmo del 5, 6 o oltre lo stesso 6 per
cento, come nella prima parte dellanno, ma ritengo che un
aumento annuale del Prodotto interno lordo del 2-3 per cento sia
plausibile, malgrado la crisi di Wall Street.
E già questo mi sembra un evento storico: in fondo abbiamo
superato lesplosione di una bolla gigantesca e di un attacco
senza precedenti come quello dell11 settembre, senza pagarne
le conseguenze tradizionali, vale a dire il passaggio attraverso
una durissima recessione. Certo, è anche la prima volta,
dagli anni Venti, che i mercati continuano a cadere a ripresa già
cominciata.
Ma limportante è che il governo non si faccia prendere
dal panico, come nel 29. Altrettanto certo è che da
allora abbiamo imparato molte lezioni e la gente non è più
così sprovveduta: se il governo dovesse fare delle stupidaggini,
come fece Herbert Hoover, o come ha fatto il governo giapponese
nel 90, gli americani lo manderebbero a casa.
Si sospetta, fra laltro, che il governo americano stia orchestrando
la caduta della divisa statunitense da dietro le quinte. Ebbene:
so che si parla di un piano segreto del governo in questa direzione,
ma io non ci credo. Non che il ministro del Tesoro si strappi i
capelli per la discesa del dollaro, anzi. Sicuramente, il governo
è ben felice di veder crescere la competitività delle
imprese americane. Perché è ovvio che i primi a soffrire
di questa situazione saranno lEuropa e il Giappone, le cui
economie sono concentrate sulle esportazioni molto più della
nostra.
Per compensare la perdita di clienti americani, le aziende europee
dovranno rivolgersi alla domanda interna; ma non sarà semplice,
perché, a differenza degli americani, gli europei si considerano
innanzitutto lavoratori, e soltanto in secondo luogo consumatori.
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