Occorre volere
e decidere le poche riforme istituzionali necessarie
alla creazione di
un governo europeo
che sia davvero
efficace, legittimo,
autorevole,
residuale.
|
|
Il futuro dellEuropa possiamo disegnarlo e prepararlo, non
conoscerlo. La nostra storia di domani non è ancora scritta.
La costruzione europea è oggi a rischio proprio per il suo
successo: il benessere economico senza precedenti, la pace interna
durata mezzo secolo hanno attenuato agli occhi dei cittadini europei
la percezione dei pericoli che minacciano il pianeta, e noi con
esso. Il mondo dal Medio Oriente allAfrica, dallAmerica
Latina allAsia ha invece un crescente bisogno dellEuropa
come soggetto politico, con il suo patrimonio ineguagliato di valori
e di dolori, di prospettive planetarie e di senso del limite.
I cittadini europei hanno compreso da tempo, più chiaramente
di tanta parte delle classi politiche nazionali, che una difesa
comune e una politica estera comune dellEuropa unita non tolgono
nulla agli Stati, ma significano il recupero di una sovranità,
dunque di una dignità collettiva e individuale, che ormai
a livello nazionale semplicemente non esiste più.
Lalleanza con gli Stati Uniti non può bastare. Una
civiltà che non è in grado di decidere autonomamente
la propria linea dazione e di assicurare con le sue forze
la propria sicurezza è destinata al tramonto. E soltanto
lEuropa unita potrà esprimere la volontà e la
forza di dotare le organizzazioni internazionali e soprattutto lOnu,
debitamente riformata, dei mezzi e delle procedure per evitare la
guerra, per garantire la pace e per rafforzare le istituzioni e
le azioni necessarie alla sicurezza e al benessere dellumanità.
La costruzione europea, nata nelle crisi, può morire nelle
crisi. Solo il suo completamento potrà far sì che
lobiettivo irrinunciabile dellallargamento non comporti
linvoluzione dellUnione riducendola ad una semplice
zona di libero scambio.
Ciò che manca al completamento è meno di ciò
che è stato realizzato sinora: occorre però volere
e decidere le poche riforme istituzionali necessarie alla creazione
di un governo europeo che sia davvero efficace, legittimo, autorevole,
residuale. Nel pieno rispetto delle diversità nazionali e
regionali che sono una grande ricchezza della nostra civiltà.
Punti fermi della riforma dovrebbero essere: a) un quadro costituzionale
unitario dellUnione; b) la rimozione del potere di veto (solo
chi accetta di venire messo in minoranza accetta davvero lUnione);
c) ununica voce dellEuropa in politica estera, nella
sicurezza, nella difesa e negli organismi internazionali; d) un
diverso rapporto istituzionale tra Consiglio, Commissione e Parlamento
europeo, nel segno della democrazia e della distinzione dei poteri
e delle funzioni; e) limplementazione effettiva dei principii
di sussidiarietà e proporzionalità; f) la disponibilità
a procedere sulla via dellUnione anche senza la partecipazione
di tutti gli Stati membri, pur nel rispetto dellacquis communautaire.
Listituzione della Convenzione è il sintomo chiaro
di una crisi istituzionale dellUnione in atto da anni, per
la quale i governi da soli non sono in grado di individuare i rimedi.
Ciò non deve sorprendere: perché limpresa di
creare ununione di Stati nazionali attraverso il consenso
anziché con la guerra o con lunione dinastica
è senza precedenti; e perché la cessione spontanea
di poteri reali o anche solo nominali da parte di uno Stato è
un evento contro natura nellottica tradizionale
della politica.
La Convenzione è loccasione storica per far raggiungere
allUnione europea lo stadio della irreversibilità.
La composizione della Convenzione e la sua radicata legittimazione
popolare potranno consentire di raggiungere gli obiettivi voluti
se i suoi membri si porranno nella prospettiva di disegnare la costituzione
europea per i propri figli e nipoti, cioè per i futuri cittadini
europei. Se il progetto che uscirà sarà di alto profilo,
è verosimile che la Conferenza intergovernativa decida di
farlo proprio senza deformarlo: approvandolo, ove necessario, anche
a maggioranza. Nessuno potrà costringere uno Stato europeo
ad essere membro di una vera unione, ma nessuno Stato dovrà
impedire agli altri Stati di realizzarla.
A questo fine sarà cruciale il ruolo della Francia, sinora
restia a compiere il passo decisivo. Ma per convincere la Francia
è indispensabile unazione congiunta di Germania e Italia.
Né va sottovalutato il ruolo potenzialmente risolutivo degli
individui, anche di un singolo uomo (si pensi a Monnet, a Spinelli,
a Delors, a Kohl), in unassemblea quale la Convenzione, ove
il confronto sarà duro e serrato.
Il tempo si è fatto breve. Laccelerazione impressionante
del corso storico, le profonde trasformazioni demografiche, politiche
e sociali in atto nel mondo, le drammatiche vicende internazionali,
le guerre attuali e potenziali ma anche leclissi della
memoria storica delle tragedie europee del secolo scorso e la miopia
di molti sono fattori di crisi che mettono a rischio limpresa,
ovunque ammirata fuori dEuropa, dellintegrazione politica
ed economica del nostro continente.
Il disegno dellUnione va completato ora. Domani potrebbe essere
tardi. Vorrei ricordare quanto scriveva con sorprendente preveggenza
Luigi Einaudi in un articolo sugli Stati Uniti dEuropa nel
lontano agosto del 1897: «Già i sei ministri degli
Esteri delle grandi potenze si vanno ogni giorno più abituando,
spinti dalla pressione degli avvenimenti, ad agire insieme, quasi
componessero un gabinetto europeo. Finora le deliberazioni del gabinetto
furono regolate dalla norma del liberum veto imperante nellantico
Stato polacco. Da questo stadio imperfetto in cui una sola delle
sei potenze con la sua opposizione può rimandare i piani
accettati da tutte le altre, si giungerà a poco a poco ad
un punto in cui la maggioranza potrà imporsi alla minoranza
e questa ne accetterà i deliberati senza ricorrere allultima
ratio della guerra. In tal modo avvengono le grandi e durevoli creazioni
storiche».
Ma finora è stato un passo del gambero
g.b.
Fino a poco tempo fa, la direzione sembrava
quella auspicata dagli europeisti: su questioni come i Balcani,
la Macedonia, lo Scudo stellare o il protocollo di Kyoto,
lUnione europea pareva sempre più in grado di
parlare con una voce sola. E daltra parte logico
che le competenze militari e diplomatiche tendano ad accentrarsi:
ciò garantisce infatti lefficienza delle maggiori
dimensioni e il consenso di unopinione pubblica che
vede nelle aspirazioni di pace il fondamento delliniziativa
europea. Con questi piani lEuropa si preparava a disporre
di una forza di reazione rapida di 60 mila uomini entro il
2003 e a recuperare il ritardo tecnologico delle proprie forze
armate.
La crisi dell11 settembre ha messo in luce alcune ambiguità
che fanno capo in particolare al ruolo, peraltro non comunitario,
della politica estera europea. La lentezza di decisione e
la scarsa legittimazione hanno dato la sensazione che lEuropa
sia sempre impegnata a prepararsi per la prossima crisi,
ma mai a risolvere i problemi urgenti.
In questo quadro si sono risvegliati gli istinti nazionali
dellInghilterra, della Francia, della Germania. Questultima
ha parlato di un «nuovo ruolo protagonista di politica
estera e della difesa della Germania», scordandosi per
la prima volta (negli ultimi cinquantasei anni) di aggiungere
«nellambito dellEuropa». Londra ha
ritrovato ragione del proprio ruolo di interlocutrice privilegiata
degli Stati Uniti. Parigi, a cui lEuropa sta a cuore
tanto da aver sabotato gli ultimi due vertici, ha visto lopportunità
di sollevare lo stendardo francese anche per avvantaggiarsi
sotto il profilo della politica interna. Come dimostra in
tuttaltro ambito il dibattito sul Patto di Stabilità,
rivolto soltanto a garantire margini opportunistici ai governi
nazionali, listinto domestico dei leader
europei è ancor molto vivo. Ha portato risposte fortunatamente
utili a sostenere gli Stati Uniti, ad esempio, nellimpresa
afghana, ma purtroppo controproducenti a sostenere lEuropa.
In questo spirito, (altro esempio), escludere lItalia
(comè accaduto nellincontro esclusivo tra
Francia, Germania e Inghilterra, unora prima del vertice
dei Quindici di Gand) è una scelta perversa ma coerente,
essendo il nostro il Paese più disponibile a rinunce
di sovranità nazionale a favore del progetto europeo.
Sono queste rinunce di sovranità nazionale, daltronde,
il vero, autentico insegnamento di pace che lUnione
europea ha sviluppato, dopo aver vissuto la guerra sul proprio
territorio e sulla propria pelle. Senza questo messaggio,
resta larmamentario dei vecchi Stati nazionali, il cui
fallimento è legato proprio alle loro ambizioni belliche
e di egemonia.
|
|