La rivalutazione
delleuro era
scontata; penalizza però le esportazioni e getta sabbia
su uneconomia per vari motivi incapace di sostituirsi agli
Stati Uniti come
locomotiva mondiale dellespansione
economica.
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La politica monetaria della Federal Reserve mantiene i caratteri
dellaccanimento terapeutico, inonda i mercati di dollari a
costo zero, lascia persistere lesagerata esuberanza di Wall
Street, il cesaropapismo del dollaro, la tendenza allindebitamento
delle imprese e alla dissipazione dei consumatori. Studiosi come
John K. Galbraith e Paul Krugman hanno sostenuto che a nessuno sarebbe
permesso quanto fanno gli Stati Uniti.
Ora però i nodi vengono al pettine, per quanto ancora aggrovigliati
e difficili da districare per leffetto di padronanza esercitata
dallunica superpotenza sul resto del mondo e anche per la
consistenza della sua straordinaria capacità dinnovazione
tecnologica: oltre alla bolla speculativa di Wall Street, si sta
sgonfiando anche quella del dollaro.
Non si tratta di buone notizie per leconomia europea e per
quella italiana. Lespansione americana si rivela molto più
fragile e drogata di quanto non appaia nei pronostici di analisti
e non emerga dalle valutazioni cosmetiche di strategisti, operatori
di Borsa e delle istituzioni economico-monetarie. Alla marcia decisa
delleconomia americana corrisponde una crescita europea e
giapponese ugualmente asfittica, comè il caso dellUnione
europea, dai fondamentali notevolmente più affidabili e rigorosi.
Gli Stati Uniti rimangono lunica locomotiva mondiale. Di qui,
un colpo allirragionevole ottimismo che contrassegna certe
previsioni italiane.
Le riserve sulle statistiche e sulle previsioni americane devono
valere quando esse inclinino verso leuforia e quando indichino
tendenze negative. Laumento della disoccupazione è
un dato cattivo, ma a ciò si contrappongono altri elementi
che manifestano la robustezza americana, vale a dire gli indici
sulle vendite dauto e delle spese per ledilizia, senza
dimenticare la potenza dellinnovazione tecnologica e la consistenza
della produttività, per quanto fondata sullampio ricorso
a forme di darwinismo sociale e di flessibilità del mercato
del lavoro che determinano lattuale basso costo della manodopera
e lelevato utilizzo degli impianti.
E sbagliato sottovalutare la caduta sensibile dei margini
di profitto, il pesante ridimensionamento degli investimenti, le
condizioni di indebitamento delle imprese e delle famiglie, che
tuttavia hanno proseguito a consumare e a dissipare. La politica
espansiva adottata da Alan Greenspan con la continua e sostanziosa
caduta del costo del denaro, la propensione de1 presidente americano
allincremento allarmante delle spese militari e alla riduzione
delle tasse, non correggono le distorsioni di uneconomia che
si finanzia grazie allapporto di ingenti capitali stranieri.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il disavanzo delle
partite correnti americane ha raggiunto il 4 per cento del Prodotto
interno lordo; leconomia, doviziosamente riempita di ricostituenti
e di droghe non tanto leggere, registra un andamento più
modesto di quanto non emerga da certe statistiche sullincremento
del Pil. Il Financial Times ha recentemente proposto il quesito:
siamo vicini alla resa dei conti? Considerazione coerente con lo
squilibrio del saldo con lestero ormai non coperto dallafflusso
di capitali.
La perdita di valore del dollaro rispetto allo yen e alleuro
corrisponde al ritiro dei capitali dai mercati americani. Nel 2001
gli Stati Uniti hanno attirato circa 500 miliardi di dollari dallestero,
mentre per coprire il disavanzo delle partite correnti le cifre
attirate nei primi mesi dellanno dovevano essere almeno doppie.
Il dollaro ne risente. Il rischio principale è lenorme,
crescente deficit delle partite correnti Usa ha sostenuto
Wim Duisenberg e cè solo da sperare che sia
contenuto, perché è insostenibile. Le risposte americane
appaiono insoddisfacenti e preoccupanti, assommano gli effetti del
calo delle tasse e delle bolle speculative a quelli delle spese
in armamenti e delle guerre commerciali. Linasprirsi delle
tensioni nel Vicino Oriente potrebbe favorire scenari terribili.
Nessuna soddisfazione per quanto sta avvenendo. La rivalutazione
delleuro era scontata, può favorire il contenimento
dellinflazione e lafflusso di capitali in Eurolandia;
penalizza però le esportazioni e getta sabbia su uneconomia
per vari motivi incapace di sostituirsi agli Stati Uniti come locomotiva
mondiale dellespansione economica. Altri rischi sono alle
porte. Chi ha memoria ricorderà che negli anni Ottanta gli
Stati Uniti adottarono una strategia unilaterale di riduzione del
valore del dollaro. I giapponesi furono puniti per la loro tracotanza
e la loro ingenuità, dopo avere fatto grandi investimenti
in titoli e in aziende statunitensi smobilitarono il campo e tornarono
a casa con la coda tra le gambe. E da allora, non si sono ancora
ripresi.
Lincognita adesso sta nella rapidità della caduta del
dollaro. Una rotta destabilizzerebbe leconomia mondiale. Banche
e imprese europee stanno subendo gli effetti della caduta dei corsi
di Wall Street, dei fallimenti visibili e di quelli meno appariscenti
di tante società americane. Bankers Trust, Pimco, Case, Chrysler
sono state pagate a carissimo prezzo e con il dollaro alto da Deutsche
Bank, Allianz, Fiat, Daimler. Gli europei sono gravidi dellinfelice
sorte dei giapponesi?
E stata avanzata la proposta di rinnovare laccordo che
servì a governare il ridimensionamento del dollaro. Buona
idea. Ma il presidente degli Stati Uniti deve essere indotto ad
abbandonare il suo unilateralismo e a sposare le ragioni di un nuovo
ordine mondiale. Ragioni che furono molto care a suo padre.
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