Alla fine del Novecento, limpresa
pubblica è entrata in un cono dombra in tutto
lOccidente. Col ritorno al mercato, negli
anni Ottanta, il principio dellinterventismo dello Stato
nelleconomia cominciò ad arretrare, e, insieme
con esso, iniziò a mutare la linea di confine tra le
sfere pubblica e privata. La parabola dellimpresa pubblica
giungeva così alla fine: il suo declino appariva scandito
dai processi di privatizzazione, che si incaricavano di restituire
alliniziativa imprenditoriale quel che aveva gestito
a lungo la mano statale. A questa sorte non è sfuggita
lItalia, dove la tendenza del ritorno al mercato e il
rilancio delliniziativa privata si sono specchiati nella
decisione, nel 2000, di procedere alla liquidazione dellistituzione-simbolo
del modello italiano dimpresa pubblica, lIstituto
per la ricostruzione industriale (Iri). Era la prova che una
stagione si era chiusa.
Per un tratto non breve, lIri servì da termine
di riferimento nella discussione sugli strumenti di gestione
delleconomia mista. Un esempio, per i Paesi europei
cimentatisi col problema delle nazionalizzazioni e con lassetto
da attribuire alle imprese pubbliche. Persino nellAmerica
di Roosevelt, durante la depressione a metà degli anni
Trenta, cera stato chi aveva guardato allItalia
e alla struttura creata da Beneduce nel 33, alla ricerca
di efficaci strumenti contro la crisi.
Ora che la sorte dellimpresa pubblica si è consumata,
è possibile considerare il suo ruolo e le sue trasformazioni
da una prospettiva storica. E quanto sta iniziando a
fare la Fondazione Iri, erede del lascito documentale della
grande holding pubblica, con lavvio di una serie di
attività che dovrebbero permettere sia un riordino
di tutte le carte e dei materiali darchivio, sia il
varo di un programma di studi capace di approdare a una conoscenza
empiricamente fondata dei risultati ottenuti dallazione
dello Stato imprenditore nel nostro Paese.
Questultima si è incardinata nelleconomia
italiana grazie alla sua consonanza con alcuni caratteri specifici
della crescita nazionale. LIri si è situato in
un asse di continuità con lintervento dello Stato
come agente sostitutivo dello sviluppo economico e ha cercato
di trarre una lezione dalla crisi delle banche miste
dopo il 1929. Beneduce il capostipite della figura
del grand commis teso al governo delleconomia
puntava probabilmente a unoriginale via italiana
per integrare e coordinare fra di loro istituzioni, banche
e imprese.
Daltro lato, la storia dellIri (e, più
in generale, delle Partecipazioni Statali) si intrecciava
con quella della grande impresa in Italia. In giorni in cui
tutti i grandi soggetti che formano lopinione economica
del Paese (dalla Confindustria alla Banca dItalia) lamentano
la scarsità di imprese di grandi dimensioni allinterno
del nostro tessuto industriale, e temono anzi nuove consistenti
contrazioni dellapparato produttivo, non sarà
male ricordare che grandi unità industriali hanno potuto
affermarsi in taluni settori (dalla siderurgia alla cantieristica)
grazie allimpulso della mano pubblica. Il progetto dello
Stato imprenditore è stato, dalle origini, un disegno
finalizzato alla creazione di vasti impianti produttivi.
Leffetto modernizzante delle Partecipazioni Statali
è avvertibile su almeno altri due fronti. Il primo
è quello delle grandi infrastrutture: la rete autostradale,
che costituì un solido sfondo al miracolo economico,
è largamente opera dellimpresa pubblica, che
contribuì a determinare la cornice entro cui poterono
trovare slancio numerose iniziative imprenditoriali. Il secondo
è quello, più controverso, delle relazioni industriali.
La struttura della moderna negoziazione collettiva è
stata messa a punto, da principio, entro le grandi concentrazioni
dellindustria di Stato: la contrattazione articolata
nacque allinterno dei complessi a ciclo integrale per
la produzione di acciaio.
Certo, molti fattori oggettivi hanno interagito, in seguito,
per decretare il declino dellimpresa pubblica. Nel contesto
di uneconomia internazionale aperta, si richiedono una
libertà dazione e un grado di mobilità
operativa che non sono stati in genere appannaggio dellindustria
di Stato, troppo soggetta per sua natura a vincoli di tipo
politico e sociale. I diritti di proprietà finiscono
inevitabilmente per essere condizionanti e lautorità
politica non ha mai mostrato molte remore ad avvalersene.
Il graduale ritiro dallarena politico-economica delle
imprese a partecipazione statale non deve quindi essere complessivamente
ricondotto a specifiche ragioni italiane, ma rientra in uno
scenario generale che ha imposto spazi più stretti
allautonomia dei soggetti economici.
La distanza storica che ci divide dal periodo in cui limpresa
pubblica si guadagnò una posizione centrale nellordinamento
economico ci appare breve dal punto di vista temporale, ma
è ampia, se la valutiamo nei termini della difformità
rispetto al nostro presente. Una condizione, questa, che rappresenta
di per sé una garanzia per una nuova fase di ricerca
e di analisi.
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