E' una poesia
attraversata,
tramata
di nostalgia:
il passato
non dà conforto
nè consolazione.
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Su una terrazza di Castro, nella
sera lucida e morbida di un agosto alla fine, Vittore Fiore raccontava:
storie di lotte, di confino; di poesia come lotta, di confino come
poesia di libertà. Raccontava di meridione, di civiltà,
come fosse una fiaba.
Come se scrivesse come aveva scritto diceva di quellottobre
del quarantadue quando, appena ritornato dal confino, la polizia lo
consegnò ad un reggimento di fanteria di stanza a Galatone
e a Copertino. Diceva delle riunioni clandestine in una casa sulla
ferrovia che ingoiava speranze e paure e libri, delle discussioni
sulla questione meridionale, dell eprevisioni di una distruzione dei
paesaggi. Diceva degli amici, delle passioni.
Aveva avuto un buon maestro, Tommaso, suo padre, che nel Popolo di
formiche aveva scritto: «Anzitutto la Puglia è unespressione
archeologica. La nostra vita fu».
Suo padre morì nel giugno del settantatre, e Vittore non fece
in tempo a leggergli Il male è dentro di noi. Ma forse non
gli importava leggerglielo; non più. A quel punto gli interessava
solo impossessarsi di una sua parola, di un suo gesto. A quel punto
non si trattava più di avere da lui un giudizio, ma un contatto
fuggevole ed intenso. Allora gli bastò che gli sorridesse con
gli occhi luccicanti, senza togliergli lo sguardo di dosso.
Ma alla fine del Male è dentro di noi lo salutava: da uomo
a uomo. Senza disperazioni, con la consapevolezza che il tempo è
così, che così è la vita, come si saluta un vecchio
amico che parte, dicendogli soltanto arrivederci: «E allora?
Dici che sei alla fine?/ Tommaso Fiore guarda in faccia alla morte./La
Puglia oggi è triste./Arrivederci, arrivederci».
Su una terrazza di Castro, dove si tagliavano a fette le parole contro
i seni azzurri delle grotte, in una di quelle estati dalle notti senza
fine, col tempo dai confini labili, imprecisi, di belle compagnie
senza unassenza, di pensieri e di progetti, Vittore Fiore raccontava
della vita che fu, come solo un personaggio che ha vissuto la storia
sulla propria pelle può e sa raccontare.
Al largo brulicavano lampare.
Anni dopo scrisse: Castro, non dirmi cento volte addio.
Il pomeriggio del dieci di maggio del novanttatre, nella chiesa di
Caprarica toccava a lui dire qualcosa per salutare Antonio Verri a
nome di tutti.
Toccava a lui.
Dalla tasca della giacca grigia sfilò un libro intitolato Luoghi
di frontiera, una raccolta di racconti di Verri aveva curato mettendo
insieme un pò di amici.
Cominciò a leggere: «Cè un merlo in casa
di mia madre...». Le mani gli tremavano. La voce gli tremava.
Ma doveva andare avanti perché toccava a lui.
«Cè un merlo in casa di mia madre...».
Quando morì, il 21 gennaio del novantanove, si sarebbe dovuto
scrivere da qualche parte su un giornale,un muro, un menhir
: la Puglia oggi è triste. Ma laveva già
scritto lui. Aveva già chiuso lui con queste parole Il male
è dentro di noi. Perché della Puglia Vittore Fiore
aveva scritto anche gli addii. Aveva scritto: le radici, i miti,
gli affanni, le utopie, i sogni, le prospettive, le forze di energia
creativa, di cultura, di erudizione, di abbandono e di arretratezza,
e dei paesi avvinghiati alla tradizione e allorigine, degli
uomini che si sentono sicuri allombra di sontuosi campanili,
delle ragioni, delle illusioni, delle delusioni, delle rabbie, degli
amori che si accendono e si spengono nellintrico dei vicoli
assediati dallafa delle sere.
Forse non cè un solo elemento della terra che non venga
assorbito e rigenerato semanticamente nella sua poesia lunga,
che non venga messo o rimesso in discussione; non cè
nessuna ragione, oltre a quella della libertà e della coscienza
critica, che non venga scandagliata da una parola poetica che non
vuole essere altro che concreta espressione di quella libertà
e di quella coscienza.
E una poesia aperta quella di Vittore Fiore, che trova motivi
e moventi, origini e fini, nel dubbio, nelle costanti interrogazioni,
nelle riflessioni su quello che si è fatto o non si è
fatto, nelle lucide analisi di fatti e occasioni, ma anche nelle
solitudini, nelle tristezze profonde, nei rimpianti, nei colori
del paesaggio, nel passaggio delle stagioni, negli spazi vuoti che
lasciano il tempo e gli esseri che vanno, nei baratri scavati dai
dolori.
E una poesia attraversata, tramata di nostalgia: il passato
non dà conforto né consolazione. Il passato risucchia
il presente, lascia un groppo alla gola, trattenuto, nascosto soltanto
per una ragione superiore: la priorità della storia collettiva
su quella personale, la consapevolezza che quello che si è
fatto a qualcosa è servito, che tutto è andato esattamente
così come doveva andare: con le vittorie che a volte hanno
un sapore di sale, con le sconfitte che a volte hanno anche il loro
miele, vissute sempre con la stessa identica umiltà, con
il rimpianto e il rammarico che hanno un peso uguale, con quel desiderio
confuso di tornare indietro e di continuare a cercare, ma senza
lasciarsi neppure sfiorare dalla tentazione di fermarsi nel punto
in cui si è arrivati. Mai.
Ma anche la sentinella allerta sullaltana ha bisogno
di chiudere gli occhi, un solo istante.
A quel punto, per un solo istante, tutto si fa lontano, diventa
tutto estraneo, tutto diventa una vertigine soltanto, un capogiro,
un macigno di stanchezza che rovina sopra il cuore.
A quel punto ha solo desiderio di sognare; ha solo bisogno di quella
fantasmagoria che si accende dentro gli occhi nel dormiveglia pacato,
riposante.
A quel punto Vittore Fiore ha solo parole damore .
Quando il tramonto non è altro che un tramonto, e una luna
è una luna e nientaltro, quando la terra assomiglia
ai fianchi di uan donna, quando il mare ha il colore di occhi lontani,
il futuro il colore di un abbraccio, quando dal passato emergono
leggere campanule, Vittore Fiore diventa tenero poeta damore.
Ma sempre di un amore trascorso o di un amore presente che si intristisce
nella consapevolezza di dover passare, inevitabilmente.
Certo, come ogni uomo Vittore vorrebbe alzare bastioni contro il
tempo. Come ogni uomo vorrebbe impossessarsi delle ore.
Ma come ogni uomo può solo rassegnarsi o disperarsi.
Lamore ha la concretezza di un fantasma: appare colmando vuoti,
scompare riaprendo vuoti.
Vuoti che si aprono e si chiudono. Si riaprono e si richiudono.
Vivere nella speranza di chiudere temporaneamente i vuoti; trasformare
la realtà che si sfarina in un più durevole sogno
aspettare che una stretta di mano ridia un leggero tremore; illudersi
che possa esserci tempo per altri incanti ancora.
Lamore è un brivido di angoscia, di paura. E
unombra di poesia, uneco che ritorna, che rincomba nellesistenza,
che mantiene vivi i ricordi, tutti i ricordi che fanno da rifugio,
che aprono e chiudono la scena: la scena della vita: anchessa
volte un vuoto da cui ci si salva con la stessa vita,
con lo stesso vuoto.
Passano i giorni, uno dopo laltro. Passano e si perdono, in
quel vuoto. Restano le ferite, le caute illusioni, gli infiniti
furori, le domande concluse, le risposte mai date, le parole cresciute
come fossero figli e figli dei figli.
Resta il passo incerto, una confusa direzione. Il cerchio si stringe
intorno agli anni. I sogni si fanno più rari, dolorosi. Diventano
scheletri daltri sogni, affanni misteriosi che inquietano
le notti e i giorni.
Lamore è uno sconfinamento, la lacerazione di regole
e forme consolidate dalle vicessitudini e dal tempo, una sapiente
via per la conoscenza.
Ma quello che cè da conoscere Fiore lo sa bene.
Dove porti questa via, verso quale orizzonte, verso quale esperienza
del vivere, quale condizione dellessere, Fiore lo sa bene.
Sa che a strada fatta si trova lorlo nellabisso, si
trovano i buchi nel cuore, lo aspettano le estreme contese, un abbraccio
totale e finale degli istanti avuti in concessione. Così
si chiede: «Quanti giorni restano, in segreto,/per esprimere
parole, poche, /sullamore».
Lamore è parola ultima. Definitiva, Essenziale. E
parola che stringe, ad un tempo, la memoria e loblio. E
parola che contiene, ad un tempo, il ritorno e la fuga, la vita
e la morte, realtà e fantasia, lincanto, il turbamento,
lo stupore, levento della speranza che richiama come una sirena,
che seduce come una giovinezza, che rapisce come una malia, che
dà un senso allaver lottato, allaver scritto,
allaver sognato. Allaver vissuto.
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