Giugno 2002

SUL FILO EST-OVEST

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Via della seta
Tonino Caputo - Giulio Marinelli - Ernesto Fara
 
 

 

 

 

Tiro, Antiochia
e Alessandria,
più tardi, furono
i “terminal”
all’altro capo
di questo
lunghissimo
percorso, lungo il quale circolarono merci, ma anche idee...

  La lunga età di Giustiniano (527-565 dopo Cristo), l’imperatore che sedette a Costantinopoli, è generalmente ricordata dagli storici come il periodo di massima espansione della potenza bizantina e, nello stesso tempo, costituì l’estremo tentativo di ricostruire l’unità politica del Mediterraneo sotto un unico scettro, erede della potenza di Roma. Ma va anche ricordato che proprio in quel torno di anni si verificò un evento che avrebbe cambiato profondamente gli equilibri commerciali e politici fra Oriente e Occidente. Fu allora, infatti, che alcuni monaci svelarono all’imperatore il segreto per la produzione della seta.
A tramandare l’avvenimento sono due dei principali autori fra quelli che costituiscono il corpus delle fonti per la storia di Bisanzio. La versione riportata da Procopio di Cesarea di Palestina nel suo De bello gothico è la più attendibile e ha, oltre tutto, il pregio di essere contemporanea all’accaduto. L’episodio risulta però più intrigante nelle Cronache di Teofane, dove il monaco ricorda il trucco grazie al quale i preziosi bachi giunsero nella città sul Bosforo: nascosti nel cavo di un bastone da viaggio, molto probabilmente una canna di bambù.
Il fatto che Teofane – il quale scrisse la sua opera dall’810 all’814 – abbia sentito la necessità di riferire con ricchezza di particolari un fatto apparentemente secondario, verificatosi poco meno di tre secoli prima, dimostra indirettamente quanta importanza venisse conferita al commercio del prezioso filo. D’altra parte, è sufficiente rammentare le lamentele di Plinio il Vecchio, che da una parte si doleva perché le vesti di seta minavano la moralità delle belle romane, evidenziandone le forme sontuose, e dall’altra si preoccupava per l’ingente perdita di denaro patita dall’impero per acquistare la seta dai commercianti parti.

La seta entrò nell’ambito della cultura romana intorno alla metà del primo secolo avanti Cristo, proprio grazie ai rapporti non sempre di buon vicinato con i parti; e sembra, secondo una tradizione non comprovata, che i romani fossero affascinati dalle insegne seriche della cavalleria partica che combatteva Crasso e dalle vesti fruscianti dei signori di quelle terre. Fatto sta, che la seta non impiegò molto a diventare un tipo di merce assai richiesto, e nello stesso tempo una sorta di status symbol, e in quanto tale ricercato tanto dalla nobiltà come dalla classe media, che per averla non esitavano a pagare somme ingenti, contribuendo così a far andare in rosso la bilancia dei pagamenti dell’impero. La stoffa tessuta con il filo del “magico” baco si andava infatti ad aggiungere alla già lunga lista dei beni di lusso, come le spezie (e fra queste va ricordato il pepe, indispensabile per la conservazione delle carni in un’epoca che non conosceva certamente i frigoriferi), le pietre preziose, le pietre dure, gli animali esotici, che contribuivano sicuramente a fare del lontano Oriente una terra favolosa nell’immaginario collettivo, ma provocavano anche non pochi problemi ai conti dell’erario imperiale.

La situazione al tempo di Giustiniano non era, da questo punto di vista, mutata di molto. Al posto dei parti, in Persia regnavano adesso i sasanidi adoratori del fuoco, ma gli equilibri politici ed economici erano sostanzialmente i medesimi e i “romàioi”, i romani, come erano soliti chiamarsi gli abitanti dell’impero di Bisanzio, continuavano a comprare da loro le preziose stoffe per vestire l’imperatore e gli alti dignitari di corte. Così, dopo i parti, i sasanidi gestivano l’opulento mercato della seta, avendone praticamente il monopolio. Si capirà bene, allora, il motivo per cui gli annali bizantini registrino con tanto entusiasmo la “scoperta” del segreto della seta.
Questo significava, infatti, la possibilità di liberarsi da una schiavitù economica che andava ad aggravare la già pesante situazione delle casse statali, che dovevano sopportare, proprio con i sasanidi, il prezzo di una pace mantenuta a suon di monete d’oro.
Nacquero in questo modo i primi laboratori serici bizantini, posti direttamente sotto il controllo imperiale. Essi, fra l’altro, suscitarono l’ammirazione di un’ambasceria turca, primo passo verso un’alleanza turco-bizantina, fondata proprio sul comune interesse per la seta, ai danni del monopolio persiano. Ma se l’area di cultura greco-romana riuscì ad affrancarsi dalla dipendenza economica del mercato sasanide, altrettanto non può dirsi per quel che riguarda la diffusione dei motivi decorativi persiani, che furono adottati tanto in quell’area quanto nella lontana Cina, dove queste sete erano più richieste di quelle centro-asiatiche. Il viaggio lungo il rilucente filo di seta conduce ancora oggi alla scoperta di un’unità culturale sorprendente e inaspettata per noi, facendoci ripercorrere le tappe salienti di un’avventura lunga quasi ottomila chilometri.
La “Via della Seta”, secondo la fortunata definizione di von Richthofen, autore di una monumentale opera sugli itinerari commerciali dell’Asia interna, aveva il suo punto di partenza a Chang’an (l’odierna Xi’an), anche se i prodotti delle regioni centro-orientali della Cina si raccoglievano ancora più verso est, nella città di Luo-yang, sulle sponde dell’ansa meridionale del Fiume Giallo. Da identificarsi, probabilmente, con la Sera Metropolis di Tolomeo, Xi’an fu la capitale dell’impero Han (206 a.C.-221 d.C.). Nelle sue immediate vicinanze fu rinvenuto il mausoleo di Qin Shihuang-ti, fondatore della potenza cinese, che affidò la propria memoria a centinaia di statue in terracotta, a grandezza naturale, che rappresentavano cavalieri e dignitari di una corte eterna. Ma Xi’an costituiva anche il punto d’arrivo per lo smistamento delle merci che provenivano da Occidente: era insomma il corrispettivo orientale di città-terminal, quali potevano essere, nel bacino mediterraneo, Alessandria o Antiochia.
Procedendo verso ovest, il sito più importante che si incontrava lungo questo primo tratto della carovaniera era sicuramente l’oasi di Dunhuang. La sua importanza non risiedeva soltanto nel fatto che, da qui, l’itinerario si divideva in due percorsi, uno settentrionale e l’altro meridionale, ma perché qui sorsero alcuni celeberrimi monasteri buddisti. Per un periodo lungo quasi un millennio, le pareti delle 496 grotte di Mogao Ku, a venticinque chilometri dal centro abitato, si ricoprirono di magnifiche pitture murali, fino a quando, nel XIV secolo, la città non piombò in un lungo isolamento, dovuto alla scelta dei mercanti di arrivare in Occidente via nave, piuttosto che a cavallo o per cammello. Ma le pitture di Dunhuang, popolate di Apsaras musicanti e di figure del Buddha o di Bodhisattva, testimoniano anche della produzione serica cinese, come nel caso delle donatrici della grotta numero 61 o del re Uygur dipinto nella grotta numero 409: la sua veste in seta, appunto, è decorata da elegantissimi draghi che si annodano in circolo sulla stoffa nera.
Il percorso settentrionale passava per Turfan, centro monastico altrettanto famoso e cerniera fra regioni di influenza persiana, mongola e cinese.
Attraversando la Fergana e superando il Syr Darya, la Via della Seta giungeva a Samarcanda, la città amata come una bella donna dal Tamerlano (Timùr Lenk, ovvero Timùr lo Zoppo), il quale, fra il 1380 e il 1405 – anno della sua morte – riunì un immenso impero, che andava dai confini della Cina all’India, alla Persia e alla Georgia, giungendo fino in Crimea. Nel Khorasan, ormai in territorio persiano, i due itinerari della carovaniera si riunivano: quello a nord, che abbiamo sommariamente seguito, e quello meridionale, che da Dunhuang, passando per il lago salato di Lop Nor, giungeva a Miran, culla della pittura dell’Asia centrale, i cui affreschi (conservati a Berlino e a Nuova Delhi) testimoniano l’influenza classicheggiante ereditata dalla grande scuola del Gandhara.
Di là si doveva affrontare la grande depressione desertica del bacino del Tarim per giungere nell’oasi di Khotan, celebre per le sue miniere di giada. Da qui, tra l’altro, proviene una tavoletta votiva in legno, che mostra la “Principessa della seta” (ora al londinese British Museum). Databile al VII secolo, il pezzo in questione mostra una figura a quattro braccia, che reca in mano gli strumenti per la lavorazione della preziosa stoffa.
Attraversando la catena montuosa del Pamir e l’Oxus, si giungeva poi a Balkh, l’antica Bactra che dà il nome all’intera regione, la Battriana, e che, conquistata nel 328 prima di Cristo da Alessandro Magno, divenne subito il centro strategico più importante dell’immenso dominio del Macedone verso Oriente.
Giunta nel Khorasan, la carovaniera si avviava verso Ecbatana (oggi Hamadan), ricordata da Erodoto per le sette cinte murarie colorate e concentriche. Da lì si proseguiva verso Baghdad, la città delle Mille e una notte, e poi verso Palmira, importantissimo centro del dominio partico, distrutto dai sasanidi nel 295 dopo Cristo. Ma il centro, la cui funzione commerciale rimase inalterata per secoli e il cui nome è indissolubilmente legato alla storia della seta, è Damasco, ove si produssero stoffe fiorate e decorate tra le più famose del mondo.

Tiro, Antiochia e Alessandria, più tardi, furono i terminal all’altro capo di questo lunghissimo percorso, lungo il quale circolarono merci, ma anche idee; lungo il quale si annodarono fedi diverse e si contaminarono immagini prodotte da civiltà diversissime, agganciate l’una all’altra dal filo di seta. Così, il motivo decorativo della “rota” (ossia di dischi delimitati da una fascia ornamentale larga e piatta, costituita da fiori stilizzati o da “borchie”, all’interno della quale sono sistemate figure di animali o scene vere e proprie) si trova tanto in Giappone quanto nella Spagna.
L’immagine della fenice, infatti, campeggia al centro delle “rotae” di una stoffa sasanide del VII secolo, realizzata per il mercato nipponico (Nara, Tesoro dello Shôso-in); mentre in Occidente il motivo delle “rotae” accoglie la Natività o l’Annunciazione nelle celebri sete “sargie” siriane dell’VIII secolo, conservate presso i Musei Vaticani. Ma anche motivi più specificamente persiani sono accolti dalla produzione di area mediterranea, come quello dell’elefante o del “senmurv” (l’animale fantastico con il corpo di leone alato e la coda di pavone) che incontriamo su una seta bizantina dell’VIII secolo (Bruxelles, Musée d’Art et d’Histoire), o su un’altra, spagnola dell’XI secolo, conservata presso il Museo del Bargello di Firenze.
La fortuna della decorazione a “rotae” fu enorme, tant’è che la ritroviamo sul rosso piviale di seta ricamato in oro che fu di Bonifacio VIII, il pontefice dello schiaffo di Anagni, rimasto sul trono di Pietro dal 1294 al 1303.
Probabilmente di manifattura siciliana, il manto papale presenta grifoni, pappagalli e aquile bicipiti inserite negli orbicoli di derivazione sasanide lavorati ad “opus cyprense”, una tecnica che permetteva di aggirare le difficoltà derivate dall’uso del filo metallico. I motivi decorativi sono quelli caratteristici del simbolismo regale; in particolare le aquile, che non a caso ritroviamo sulla seta bizantina dell’XI secolo che costituisce la stoffa del piviale detto di “Sant’Alboino”, conservato presso il Museo Diocesano di Bressanone.
Ma i motivi derivati dalle sete divengono anche elemento decorativo nelle pitture murali o nei rilievi. E non soltanto quando questi mostrano personaggi vestiti di seta (come accade, per esempio, nelle raffigurazioni di Balalyk Tepe, di Afrasiab, l’antica Samarcanda, o negli affreschi dell’oratorio di San Silvestro ai Santi Quattro Coronati, a Roma, tutti accomunati dal motivo della “rota”), ma perché essi entrano a far parte anche dei repertori figurativi della grande arte monumentale.
Così, le formelle del Duomo di Sorrento (vicine alla decorazione delle transenne di Sant’Aspreno a Napoli e ad alcuni frammenti conservati nel Museo Barracco, a Roma) mostrano motivi di derivazione serica, come il “senmurv” o il cavallo alato, non lontano dal Pegaso con i nastri ripetuto sulla seta sargia bizantina (VIII secolo) conservata in Vaticano.
Allo stesso modo, le fitte decorazioni murali di Dunhuang altro non sono che immense trine di seta dipinte sulle pareti delle sante grotte. La seta diviene insomma il veicolo culturale privilegiato attraverso il quale corrono motivi decorativi appartenenti a culture distanti migliaia di chilometri, rinsaldando legami che gli eventi storici, in qualche modo, favorivano.
Infatti, sullo splendido manto di Ruggero II confezionato dalle seterie palermitane nel 1133 e successivamente utilizzato per l’incoronazione degli imperatori del Sacro Romano Impero, la scritta che corre lungo il bordo per ricordare con orgoglio il luogo e la data della manifattura è in caratteri cufici. L’arabo si sostituisce al latino sui bordi delle sete e lo pseudocufico diviene ornamento delle vesti della Vergine nei dipinti di Simone Martini: come dire che Maria è madre di tutte le genti.

Ma la scena che costituisce il fulcro della decorazione del manto di Ruggero ripropone l’eterna lotta fra il leone e l’erbivoro, in questo caso un dromedario, alludendo al ciclo della vita e della morte che il sovrano saprà dominare. E’, questo, un motivo di origine classica che migra verso Oriente nella cultura araba degli omayyadi (pensiamo al mosaico pavimentale della Sala delle Udienze di Kirbàt al-Mafjàr, dove un leone assale una gazzella), ma che persisteva già nelle scene sasanidi della caccia imperiale, per poi stamparsi nei motivi decorativi delle sete. Lo ritroviamo, infatti, in una scena di caccia che compare sulla seta del rivestimento interno dell’altare di Sant’Ambrogio a Milano (VIII secolo): il leone attacca l’onagro e il sovrano colpisce la fiera. Ingigantito e un po’ mutato, questo particolare diviene il tema dominante del manto di Ruggero: un ulteriore esempio di come la storia della seta costituisca un filo rosso che, attraverso millenni e spazi immensi, riannoda insieme gli esili frammenti del lungo racconto del mondo e dell’uomo.

   
   
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